Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12204 del 22/06/2020

Cassazione civile sez. I, 22/06/2020, (ud. 10/01/2020, dep. 22/06/2020), n.12204

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5416-2019 proposto da:

O.D., rappresentata e difesa dall’avvocato CARLA MANNETTI e

domiciliata presso la cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2305/2018 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 07/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/01/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA

udito il P.G., in persona del sostituto Dott. IGNAZIO PATRONE, il

quale ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso D.Lgs. n. 150 del 2011, ex art. 19 O.D., cittadina della Nigeria proveniente dall’Edo State, impugnava il provvedimento della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Ancona con il quale era stata rigettata la sua richiesta volta ad ottenere, in via principale, lo status di rifugiato, in subordine la protezione sussidiaria ed in ulteriore subordine il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari. A sostegno dell’istanza la ricorrente deduceva di essere fuggita dalla Nigeria perchè la sua famiglia si era dovuta allontanare dal villaggio natio a seguito del fatto che il padre aveva preso le difese di una donna accusata di adulterio; a seguito della morte del padre, la richiedente si era trasferita insieme alla madre presso uno zio, che le aveva proposto di prostituirsi; abbandonata anche la casa dello zio, aveva lavorato come babysitter subendo le profferte sessuali del datore di lavoro, che aveva rifiutato; si era quindi licenziata ed aveva vissuto di elemosina, subendo uno stupro di gruppo, rimanendo incinta e perdendo il feto a causa delle sue penose condizioni di vita; quindi aveva deciso di fuggire in Libia, aveva subito violenze sessuali durante il viaggio ed alla fine, non volendo cedere all’ennesima richiesta di prostituirsi in Libia, aveva deciso di imbarcarsi per l’Italia. Su tali presupposti, la O. insisteva per la concessione della protezione sussidiaria o, in subordine, di quella umanitaria.

Con ordinanza del 15.12.2017 il Tribunale di L’Aquila rigettava l’opposizione ritenendo insussistenti i presupposti per la concessione di ambedue le misure di protezione invocate dalla richiedente.

Avverso tale decisione interponeva appello l’odierna ricorrente, affidandosi a due motivi di gravame, con i quali censurava in particolare la mancata concessione della protezione sussidiaria e della tutela umanitaria.

Il Ministero dell’Interno non si costituiva in seconde cure. La Corte di Appello di L’Aquila, con la sentenza oggi impugnata, n. 2305/2018, respingeva l’impugnazione.

Propone ricorso per la cassazione della decisione di rigetto O.D. affidandosi a due motivi.

Il Ministero dell’Interno, intimato, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. da 2 a 6 e art. 14 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente rigettato la domanda di protezione sussidiaria formulata dalla richiedente. Ad avviso della O., il giudice del gravame avrebbe dovuto valorizzare, tra l’altro, il fatto che le fonti internazionali (rapporto COI 2018) evidenziavano che la situazione interna dell’Edo State non era affatto tranquilla, ma anzi caratterizzata da notevoli problematiche legate alla tratta delle donne ed al loro reclutamento forzato per avviarle alla prostituzione.

Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 perchè la Corte aquilana avrebbe erroneamente negato anche la sussistenza dei presupposti per la concessione della tutela umanitaria.

La prima censura è fondata.

La Corte di Appello ha invero apprezzato la condizione interna della Nigeria, e dell’Edo State in particolare, facendo esclusivamente riferimento all’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) senza in alcun modo considerare le diverse ipotesi di cui alle lettere a) e b). Il collegio aquilano, infatti, ha escluso la sussistenza di una condizione di violenza generalizzata e di pericolo collegata alla presenza, nella zona dell’Edo State, dei ribelli di Boko Haram (attivi, secondo le C.O.I. richiamate a pag.3 della sentenza impugnata, nei soli stati dello Yobe, del Borno e dell’Adamawa) senza tuttavia considerare in alcun modo nè la storia particolare della richiedente la protezione, nè la sua condizione femminile. In proposito, la O. aveva raccontato di aver subito diversi tentativi di avvio alla prostituzione e di esser stata sottoposta in varie occasioni a violenza sessuale ed aveva impugnato la decisione di primo grado, nella parte relativa al rigetto della protezione sussidiaria, deducendo, in particolare con il secondo motivo di appello, il difetto della motivazione a cagione della mancata considerazione delle effettive condizioni interne dell’Edo State, zona di origine della richiedente la tutela. Di conseguenza, la Corte abruzzese avrebbe dovuto apprezzare la condizione interna della predetta area del Paese di origine con specifico riferimento al pericolo, per le donne, di subire violenza a sfondo sessuale e di essere avviate alla tratta per scopo di prostituzione – che costituiva il tratto saliente della storia personale riferita dalla O. – e quindi relativamente al profilo di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, già richiamato art. 14, lett. b).

In proposito, occorre evidenziare che ai sensi della disposizione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. c) “L’esame della domanda di protezione internazionale è effettuato su base individuale e prevede la valutazione:… c) della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente, in particolare la condizione sociale, il sesso e l’età, al fine di valutare se, in base alle circostanze personali del richiedente, gli atti a cui è stato o potrebbe essere esposto si configurino come persecuzione o danno grave”.

La Corte di Appello era dunque tenuta, alla luce delle specifiche deduzioni della ricorrente, a valutare la domanda di protezione internazionale non soltanto considerando la situazione interna del Paese di provenienza in riferimento alle specifiche informazioni tratte dalle C.O.I. disponibili, ma anche tenendo conto dei particolari profili di pericolo connessi alla sua situazione individuale, alle circostanze personali emergenti dalla storia, alla sua età, al sesso, e quindi anche apprezzando il peculiare tratto distintivo della storia personale, costituito come già detto – dal pericolo di avviamento alla tratta per scopo di prostituzione. Il principio è stato a più riprese affermato da questa Corte, che ha chiarito come la verifica del contesto di origine del richiedente la protezione vada condotta – sia con riguardo alla protezione sussidiaria, sia con riferimento a quella umanitaria – tenendo conto della particolare condizione del richiedente la protezione, alla luce dei criteri di valutazione comparativa della vulnerabilità di cui alla giurisprudenza di questa Corte (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4455 del 23/02/2018, Rv.647298; Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 9304 del 03/04/2019, Rv.653700; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 13096 del 15/05/2019, Rv.653885; Cass. Sez. U, Sentenza n. 29459 del 13/11/2019, Rv.656062).

Con riferimento alla valutazione dei presupposti per la concessione della protezione sussidiaria, pertanto, la condizione interna dello Stato di origine del richiedente, o della specifica zona di esso, non va apprezzata soltanto in relazione alle ipotesi previste dalla lett. c), ma anche – con riguardo alle fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) – in stretta relazione alla condizione personale del richiedente stesso, poichè la condizione di violenza ed insicurezza, seppur non rilevante per la totalità dei cittadini, può tuttavia assumere connotazioni di peculiare aggressività in relazione a determinate categorie di soggetti (come ad esempio le donne, i minori, gli omosessuali, gli appartenenti ad una determinata etnia, confessione religiosa o partito politico) che possono trovarsi, di fatto, esposti ad un rischio specifico, o comunque ad un pericolo maggiore, rispetto a quello interessante la generalità della popolazione.

All’accoglimento, nei termini suindicati, del primo motivo, consegue l’assorbimento del secondo, relativo al diniego della protezione umanitaria, la cassazione della decisione impugnata in relazione alla censura accolta ed il rinvio della causa alla Corte di Appello di L’Aquila, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

la Corte accoglie il primo motivo del ricorso e dichiara assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di L’Aquila, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima sezione civile, il 10 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2020

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