Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12203 del 22/06/2020

Cassazione civile sez. I, 22/06/2020, (ud. 05/11/2019, dep. 22/06/2020), n.12203

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 34689/2018 proposto da:

E.P., elettivamente domiciliato in Roma, presso la

cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avv. M. Gilardoni, per procura rilasciata con atto separato.

– ricorrente –

e contro

Ministero Dell’interno (OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma

Via Dei Portoghesi 12 Avvocatura Generale Dello Stato che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 871/2018 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 23/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

05/11/2019 da SOLAINI LUCA.

Fatto

RILEVATO

che:

La Corte d’Appello di Brescia ha respinto il gravame proposto da E.P. cittadino nigeriano, avverso l’ordinanza del tribunale di Brescia che confermando il provvedimento della competente Commissione territoriale aveva negato al richiedente asilo il riconoscimento della protezione internazionale anche nella forma sussidiaria e di quella umanitaria.

Il ricorrente di religione cristiana ha riferito che i miliziani appartenenti al gruppo jiahdista di Boko Haram avevano attaccato il suo villaggio uccidendo il padre e ferendo gravemente il fratello, successivamente morto durante la fuga, mentre della sorella si erano perse le tracce e solo la madre era riuscita a sfuggire all’attacco lasciando il villaggio, mentre egli aveva abbandonato la Nigeria, rifugiandosi prima in Niger e poi in Libia ed infine in Italia.

Contro la sentenza della medesima Corte d’Appello è ora proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.

Il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Il ricorrente censura la decisione della Corte d’appello: (i) sotto un primo profilo (rubricato come secondo), per violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5,6,7,14, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, degli artt. 2 e 3 CEDU, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per avere la Corte d’appello escluso la protezione sussidiaria senza esaminare la situazione generale del Pakistan (rectius Nigeria) e per aver omesso di esaminare la situazione del paese di provenienza e dei paesi di permanenza, in particolare la Libia; (ii) sotto un secondo profilo (rubricato come terzo), per violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 2 avuto riguardo al percorso d’integrazione sociale, in quanto la Corte d’appello, erroneamente, aveva escluso la sussistenza dei presupposti della protezione umanitaria perchè il ricorrente non aveva allegato fattori di oggettiva vulnerabilità.

Il primo motivo è inammissibile, perchè non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata, basata sul giudizio di non credibilità, non solo per l’errata indicazione del villaggio di provenienza (Balanga è una provincia del Gombe State e non un villaggio) ma anche per l’inesistenza dell’etnia e della lingua indicate dal dichiarante, che ha riferito di essere scolarizzato e di aver studiato per circa quindici anni. Il secondo motivo è infondato, in quanto la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese d’origine, per verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti fondamentali (Cass. n. 4455/18), è stata effettuata dalla Corte d’appello che ha accertato, con giudizio di fatto, l’insussistenza di situazioni di vulnerabilità meritevoli di tale protezione, non rientrando la vicenda narrata nel perimetro normativo del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 18,19 e 20 (v. p. 4 della sentenza impugnata).

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente a pagare all’amministrazione statale le spese di lite del presente giudizio che liquida nell’importo di Euro 2.100,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 si dà atto che non sussistono, allo stato, i presupposti processuali per il

versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello corrisposto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis sempre che l’ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato non risulti revocata dal giudice competente.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 5 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2020

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