Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12203 del 06/06/2011

Cassazione civile sez. lav., 06/06/2011, (ud. 29/03/2011, dep. 06/06/2011), n.12203

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 11967/2007 proposto da:

FONDAZIONE E.N.P.A.I.A. – ENTE NAZIONALE DI PREVIDENZA PER GLI

ADDETTI E PER GLI IMPIEGATI IN AGRICOLTURA, elettivamente domiciliata

in ROMA, VIALE BELLE ARTI NR 7, presso lo studio dell’avvocato

AMBROSIO Giuseppe, che la rappresenta e difende, giusta comparsa di

costituzione di nuovo avvocato e procura notarile in atti del

16/03/11;

– ricorrente –

contro

NUOVA TIRRENA S.P.A. DI ASSICURAZIONI, RIASSICURAZIONI E

CAPITALIZZAZIONI, già PRAEVIDENTIA S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CASALE SALTARELLI 41, presso lo studio dell’avvocato ROGANI Raffaele,

che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

e contro

G.E., S.I., P.A.,

GENERALI ASSIC SPA, GA.EN., P.M., D.

N.A.L., B.R., S.A.,

P.C., S.M., P.T.,

M.A., G.E.;

– intimati –

sul ricorso 15385/2007 proposto da:

GENERALI ASSICURAZIONI S.P.A., in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CARLO POMA 4,

presso lo studio dell’avvocato GELLI PAOLO, che la rappresenta e

difende, giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

FONDAZIONE E.N.P.A.I.A. – ENTE NAZIONALE DI PREVIDENZA PER GLI

ADDETTI E PER GLI IMPIEGATI IN AGRICOLTURA, elettivamente domiciliata

in ROMA, VIALE BELLE ARTI NR 7, presso lo studio dell’avvocato

GIUSEPPE AMBROSIO, che la rappresenta e difende, giusta comparsa di

costituzione di nuovo avvocato e procura notarile in atti del

16/03/11;

– controricorrente al ricorso incidentale –

e contro

NUOVA TIRRENA S.P.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 402/2006 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 02/03/2006, r.g.n. 634/02;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

29/03/2011 dal Consigliere Dott. ANTONIO FILABOZZI;

udito l’Avvocato AMBROSIO GIUSEPPE;

udito l’Avvocato ENZO GIARDIELLO per delega PAOLO GELLI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale

assorbito l’incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di Appello di Venezia, riformando su questo punto la sentenza del Tribunale di Padova, ha respinto la domanda di surrogazione legale, così qualificata dalla Corte territoriale, esercitata dalla Fondazione Enpaia nei confronti delle Assicurazioni Generali spa e della Nuova Tirrena spa per ottenere il rimborso della somma da essa versata agli eredi di C.P., deceduto in conseguenza delle lesioni riportate in un incidente stradale in cui erano state coinvolte due autovetture assicurate con le predette compagnie. I giudici di appello hanno ritenuto che, diversamente da quanto sostenuto dalla Fondazione, non fosse configurabile nella specie una ipotesi di cessione del credito (che, peraltro, secondo gli stessi giudici, sarebbe stata introdotta inammissibilmente per la prima volta in appello, non essendo stata validamente prospettata nel giudizio di primo grado), bensì quella della surrogazione legale, con la conseguente esclusione del diritto al rimborso per quei danni che non fossero coperti dall’assicurazione sociale, come il danno morale, e con l’ulteriore conseguenza del riconoscimento del diritto al rimborso “solo entro il limite del pregiudizio economico effettivamente patito dai consorti C., ossia entro il limite del valore civilistico del danno patrimonialè.

Avverso tale sentenza ricorre per cassazione la Fondazione Enpaia affidandosi a due motivi di ricorso cui resistono con controricorso le società Nuova Tirrena ed Assicurazioni Generali. Quest’ultima ha proposto anche ricorso incidentale condizionato per prospettare nuovamente tutte le eccezioni svolte nella precedente fase di merito e non accolte dal giudice d’appello.

L’Enpaia ha depositato controricorso avverso il ricorso incidentale.

La Nuova Tirrena e la Assicurazioni Generali hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente, deve essere disposta la riunione dei ricorsi, ex art. 335 c.p.c..

1. – Con il primo motivo del ricorso principale si denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 184, 324, 342 e 345 in relazione all’art. 360, n.ri 3, 4 e 5 del citato codice e all’art. 2909 c.c.. Secondo la ricorrente, la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto domanda nuova, inammissibile in appello, quella relativa alla cessione del credito, laddove non solo la domanda fondata sulla cessione del credito operata dagli eredi C. in favore dell’Enpaia non sarebbe domanda nuova, essendo stata formulata nel corso del giudizio di primo grado nella comparsa di costituzione del 23.1.1995, ma su di essa si sarebbe formato il giudicato per avere il Tribunale di Padova accolto integralmente la domanda dell’Enpaia, fondata sulla duplice ragione della surrogazione legale ex art. 1916 c.c., e della cessione del credito ai sensi dell’art. 1260 c.c., senza che tale pronuncia fosse stata investita di gravame nella parte in cui era stata accolta la domanda fondata sulla cessione del credito. La Corte d’appello, correttamente qualificata tale domanda, avrebbe dovuto, quindi, ritenerla ammissibile e statuire su di essa; non averlo fatto costituirebbe, secondo la ricorrente, violazione dell’art. 112 c.p.c..

2.- Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione delle norme di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 e 1367 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n.ri 3, 4 e 5, sull’assunto che la Corte territoriale, violando le norme codicistiche sopra indicate, avrebbe degradato la dichiarazione di cessione del credito operata dagli eredi C. e contenuta nell’atto del 25.6.1987 a mero atto ricognitivo della disciplina legale (art. 1916 c.c.), in sostanza privandola di effettivo contenuto e significato.

3.- Il primo motivo è inammissibile per mancanza dei requisiti prescritti dall’art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, e per violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione.

4.- Ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., applicabile ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze e gli altri provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 40 del 2006, e quindi anche al ricorso in esame, nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena d’inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto. Anche nel caso in cui venga dedotto un vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l’illustrazione del motivo deve contenere, a pena d’inammissibilità, la “chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione”. Ciò comporta, in particolare, che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità. Al riguardo, inoltre, non è sufficiente che tale fatto sia esposto nel corpo del motivo o che possa comprendersi dalla lettura di questo, atteso che è indispensabile che sia indicato in una parte del motivo stesso, che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente dedicata (cfr. ex plurimis Cass. n. 8555/2010, Cass. sez. unite n. 4908/2010, Cass. n. 16528/2008, Cass. n. 8897/2008, Cass.n. 16002/2007).

5.- Questa Corte ha più volte ribadito che, nel vigore dell’art. 366 bis c.p.c., non può ritenersi sufficiente – perchè possa dirsi osservato il precetto di tale disposizione – la circostanza che il quesito di diritto possa implicitamente desumersi dall’esposizione del motivo di ricorso, nè che esso possa consistere o ricavarsi dalla formulazione del principio di diritto che il ricorrente ritiene corretto applicarsi alla specie. Una siffatta interpretazione della norma positiva si risolverebbe, infatti, nella abrogazione tacita dell’art. 366 bis, secondo cui è invece necessario che una parte specifica del ricorso sia destinata ad individuare in modo specifico e senza incertezze interpretative la questione di diritto che la S.C. è chiamata a risolvere nell’esplicazione della funzione nomofilattica che la modifica di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006 ha inteso valorizzare (Cass. n. 5208/2010, Cass. n. 20409/2008). E’ stato altresì precisato che il quesito deve essere formulato in modo tale da consentire l’individuazione del principio di diritto censurato posto dal giudice a quo alla base del provvedimento impugnato e, correlativamente, del principio, diverso da quello, la cui auspicata applicazione da parte della S.C. possa condurre a una decisione di segno inverso; ove tale articolazione logico-giuridica mancasse, infatti, il quesito si risolverebbe in una astratta petizione di principio, inidonea sia a evidenziare il nesso tra la fattispecie e il principio di diritto che si chiede venga affermato, sia ad agevolare la successiva enunciazione di tale principio a opera della S.C. in funzione nomofilattica. Il quesito, pertanto, non può consistere in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello alla S.C. in ordine alla fondatezza della censura, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la S.C. in condizione di rispondere a esso con la enunciazione di una regula iuris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata (Cass. sez. unite n. 27368/2009).

6.- D’altra parte, è giurisprudenza costante che il ricorso per cassazione, per il principio di autosufficienza, deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito. Pertanto, il ricorrente che denuncia, sotto il profilo di omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, l’omessa o erronea valutazione di alcune risultanze istruttorie (documenti, deposizioni testimoniali, dichiarazioni di parte, accertamenti del consulente tecnico) ha l’onere di indicarne specificamente il contenuto, anche mediante integrale trascrizione delle medesime nel ricorso, e di indicare le ragioni del carattere decisivo delle stesse (cfr. ex plurimis Cass. n. 4205/2010, Cass. n. 15952/2007, Cass. n. 6679/2006, Cass. n. 4840/2006, Cass. n. 10598/2005, Cass. n. 17369/2004, Cass. n. 9711/2004, Cass. n. 1170/2004, Cass. n. 3004/2004).

7.- Nella specie, il ricorso è del tutto carente sotto il profilo della formulazione dei quesiti di diritto, che sono sostituiti, in realtà, dalla formulazione di mere conclusioni, con la richiesta di “dichiarare formatosi il giudicato interno e quindi non suscettibile di pronuncia da parte del giudice del riesame una domanda proposta in primo grado avverso la quale non sono state sollevate eccezioni e non investita da specifica censura” e di “dichiarare che la domanda giudiziale deve essere interpretata non solo e non tanto dalle regioni giuridiche addotte a fondamento della pretesa avanzata, quanto e soprattutto dall’insieme delle circostanze di fatto che la parte pone a base della propria richiesta e delle eventuali modifiche, precisazioni, specificazioni e trasformazioni che la domanda ha subito nel corso del giudizio, nonchè dalla sostanza e dagli scopi, anche impliciti, di tutto quanto dedotto e delle tesi svolte a sostegno della varie domande proposte, senza che vengano indicati, dunque, quali siano stati gli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito e quale il principio di diritto posto dal giudice a quo alla base del provvedimento impugnato.

Anche le dedotte carenze motivazionali non appaiono sufficientemente individuate e precisate nel senso che si è sopra indicato, ovvero mediante la necessaria indicazione del fatto controverso in una parte del motivo che costituisca un momento di sintesi del complesso degli argomenti critici sviluppati nell’illustrazione dello stesso motivo.

E tutto ciò a prescindere dalla considerazione che il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, si configura soltanto quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione, vizio che non è certamente riscontrabile allorchè – come verificatosi nel caso in esame – la decisione appaia comunque assistita da motivazione sufficiente e non contraddittoria e il giudice del merito abbia semplicemente attribuito agli elementi valutati un valore e un significato diversi dalle aspettative e dalle deduzioni di parte, poichè, diversamente, il motivo di ricorso si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento dello stesso giudice di merito, che tenderebbe all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione (cfr. ex plurimis, sui principi sopra indicati, Cass. n. 10657/2010, Cass. n. 9908/2010, Cass. n. 27162/2009, Cass. n. 13157/2009, Cass. n. 6694/2009, Cass. n. 18885/2008, Cass. n. 6064/2008).

8.- A quanto già detto deve aggiungersi che nel ricorso non vengono neppure indicate le norme che la Corte territoriale avrebbe violato nell’interpretazione della domanda, nè viene riprodotto direttamente, nei suoi esatti termini, il contenuto degli scritti difensivi in base ai quali la domanda dovrebbe ritenersi fondata, come sostiene l’Enpaia, sulla cessione del credito, ex art. 1260 c.c.; indicazioni che avrebbero dovuto essere necessariamente contenute nel ricorso per cassazione, in ragione del principio di autosufficienza del ricorso stesso, tanto più considerando che, come più volte affermato da questa Corte, l’interpretazione della domanda e l’apprezzamento della sua ampiezza, oltre che del suo contenuto, costituiscono, anche nel giudizio di appello, ai fini della individuazione del devolutum, un tipico apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito e, pertanto, insindacabile in sede di legittimità, se non sotto il profilo dell’esistenza, sufficienza e logicità della motivazione (Cass. n. 20373/2008, Cass. n. 19475/2005).

9.- Il secondo motivo è infondato. Come questa Corte ha già affermato (cfr. ex multis, Cass. n. 16132/2005, Cass. n. 15798/2005, Cass. n. 12775/2004), essendo preliminare alla qualificazione del contratto la ricerca della comune volontà delle parti, che costituisce un accertamento di fatto riservato al giudice di merito, nell’ipotesi in cui con il ricorso per cassazione sia contestata la qualificazione da quest’ultimo attribuita al contratto intercorso tra le parti, le relative censure, per essere esaminabili, non possono risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, ma debbono essere proposte sotto il profilo della mancata osservanza dei criteri ermeneutici di cui all’art. 1362 c.c., e segg., o dell’insufficienza o contraddittorietà della motivazione. In particolare, sulla parte che denuncia la violazione delle regole di ermeneutica contrattuale grava anche l’onere, al di là dell’indicazione degli articoli di legge in materia; di fornire specifica dimostrazione del modo in cui il ragionamento del giudice di merito abbia deviato dalle regole stesse: ai fini dell’ammissibilità del ricorso, infatti, non è idonea la mera trascrizione di massime giurisprudenziali in materia, senza una specifica esposizione ed un’esauriente dimostrazione delle ragioni per le quali il giudice di merito, nel pervenire alle conclusioni esposte nella sentenza impugnata, abbia operato in contrasto con i principi stabiliti nelle massime stesse (Cass. n. 10753/2009). Sulla stessa linea, si è affermato che la denuncia del vizio di motivazione deve essere effettuata mediante la precisa indicazione delle lacune argomentative, ovvero delle illogicità consistenti nell’attribuzione agli elementi di giudizio di un significato estraneo al senso comune, oppure con l’indicazione dei punti inficiati da mancanza di coerenza logica, e cioè connotati da un’assoluta incompatibilità razionale degli argomenti, sempre che questi vizi emergano appunto dal ragionamento logico svolto dal giudice di merito, quale risulta dalla sentenza. In ogni caso, per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che quella data dal giudice sia l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, sicchè, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (cfr.

ex multis, Cass. n. 10232/2009, Cass. n. 2560/2007, Cass. n. 18377/2006, Cass. n. 10131/2006, Cass. n. 3772/2004).

10.- Nella specie, la Corte territoriale ha ritenuto che l’atto del 25.6.1987 non integrasse gli estremi del contratto di cessione del credito di cui all’art. 1260 c.c., osservando che le espressioni adoperate dai dichiaranti (“cedere, ai sensi dell’art. 1916 c.c. …

il credito proprio verso il terzo responsabile o chi per lui fino alla concorrenza dell’importo complessivamente erogato dall’Enpaia … e ciò ad integrazione del diritto di surrogazione previsto dalla legge a favore dell’Enpaia per la somma erogata”) costituivano un riconoscimento delle ragioni dell’ente in relazione al diritto di surrogazione spettante all’assicuratore, “trattandosi in definitiva di atto avente valore ricognitivo della disciplina di legge … oltre a contenere – tra l’altro – l’impegno dei consorti C. a prestare ogni necessaria collaborazione con il suddetto ente ed a fornire ogni occorrente notizia sulle iniziative assunte nei confronti dei responsabili del danno”.

Si tratta di una valutazione di fatto, devoluta al giudice del merito, non censurabile nel giudizio di cassazione in quanto comunque assistita da motivazione adeguata e coerente sul piano logico, rispetto alla quale le censure espresse dall’ente ricorrente rimangono confinate ad una mera contrapposizione, inidonea ad individuare specifiche lacune argomentative, ovvero illogicità consistenti nell’attribuire agli elementi di giudizio un significato estraneo al senso comune, e così a radicare un deducibile vizio di motivazione di tale valutazione di merito (anche perchè l’interpretazione di una clausola contrattuale nel senso che ad essa sia attribuito un significato conforme ad un precetto di legge non può ritenersi contraria al principio della conservazione del contratto – cfr. Cass. n. 5399/81, nonchè Cass. n. 617/69 – tenendo conto anche che tale principio ha comunque un carattere solo integrativo e un sussidiario rispetto agli altri criteri previsti dall’art. 1362 c.c., e segg.: cfr. ex plurimis, Cass. n. 7972/2007).

11.- Il ricorso principale deve quindi essere rigettato.

Il rigetto del ricorso principale comporta l’assorbimento del ricorso incidentale, avanzato condizionatamente all’accoglimento del ricorso proposto dalla Fondazione Enpaia. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il principale, assorbito l’incidentale; condanna la Fondazione ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate per ciascuna delle controricorrenti in Euro 34,00 oltre Euro 2.500,00 per onorari, oltre I.V.A., C.P.A. e spese generali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 29 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 6 giugno 2011

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