Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12202 del 22/06/2020

Cassazione civile sez. lav., 22/06/2020, (ud. 12/02/2020, dep. 22/06/2020), n.12202

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10489-2017 proposto da:

S.B., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ENNIO

QUIRINO VISCONTI 103, presso lo studio dell’avvocato CARLO

SEGNALINI, che lo rappresenta difende unitamente agli avv.ti ELIO

POLITO E GIUSEPPINA DI PASQUALE;

– ricorrente –

contro

AZIENDA SANITARIA LOCALE SALERNO, elettivamente domiciliata presso

l’indirizzo PEC avv.tortora.pec.aslsalerno, rappresentata e difesa

dagli avvocati EMMA TORTORA E GENNARO SASSO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 857/2016 della CORTE D’APPELLO di SALERNO

depositata il 25/10/2016 R.G.N. 1353/2014.

Fatto

RILEVATO

CHE:

la Corte d’Appello di Salerno, in riforma della sentenza della stessa città, ha respinto la domanda con la quale S.B., dirigente medico dell’Unità di Medicina Legale, aveva chiesto la condanna della ASL Salerno al rimborso delle spese sostenute per i trasferimenti con l’auto propria resisi necessari nello svolgimento delle funzioni di medico addetto alle visite fiscali sullo stato di salute dei lavoratori assenti dal lavoro a causa di malattia o infermità (L. n. 833 del 1978, art. 5);

la Corte territoriale premetteva che tra i compensi previsti per i medici incaricati del servizio di vista fiscale su richiesta di enti pubblici non rientrava alcun corrispettivo per l’uso del mezzo proprio e in ogni caso evidenziava come il Regolamento della Asl (n. 947/2007 e n. 376/2016) prevedeva che l’uso del mezzo proprio dovesse essere preventivamente autorizzato, su richiesta motivata, dal dirigente o direttore dell’Unità ove veniva prestato il servizio, provvedimento nel caso di specie mai emesso;

inoltre, a fondamento della pretesa, sempre secondo la Corte territoriale, non poteva valere la Delib. Commissario Straordinario ASL n. 1169 del 2009, in quanto essa era finalizzata a disciplinare i rapporti tra la Asl e i datori di lavoro e non quelli con i dipendenti incaricati, senza peraltro far venire meno gli obblighi di preventiva autorizzazione sopra detti;

così come non poteva ritenersi che fonte del diritto dello S. potesse essere l’indubbia conoscenza dell’Amministrazione rispetto all’uso della vettura da parte del sanitario, ovvero l’inerzia serbata rispetto all’invio mensile, da parte del medesimo, dei prospetti relativi ai percorsi effettuati, essendo altresì irrilevante l’avvenuta corresponsione, in passato, di indennità per alcune visite richieste da enti pubblici, in quanto solo una disposizione normativa e negoziale che attribuisse il beneficio avrebbe potuto consentirne il riconoscimento in sede giudiziale, restando ininfluente la eventuale condotta difforme delle parti;

lo S. ha proposto ricorso per cassazione con un unico articolato motivo, cui ha resistito la Asl con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

con l’unico articolato motivo di ricorso lo S. afferma la violazione e falsa applicazione delle norme di diritto e degli Accordi Collettivi Nazionali per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale del 8.6.2000 (art. 24, punto 5), del 3.11.2005 (art. 24, punto 7), del D.M. Lavoro e della Previdenza Sociale 8 maggio 2008, del tariffario regionale adottato dal Commissario ad acta della Regione Campania con decreto n. 3 del 3.1.2011, della Delib. Commissario Straordinario della Asl Salerno n. 1169 del 2009 (art. 360 c.p.c., n. 3);

il ricorrente muove dall’assunto in ordine all’erroneità della ricostruzione giuridica operata dalla sentenza di appello, sostenendo che l’orientamento giurisprudenziale si è consolidato nel senso che ai medici incaricati delle visite fiscali non sarebbe dovuto alcun compenso ulteriore solo in caso di non recepimento, attraverso apposito atto amministrativo, da parte della USL, del D.M. di disciplina dell’analogo servizio svolto dai medici incaricati dall’INPS;

su tale premessa, il ricorrente sottolinea come nel caso di specie il recepimento vi era stato e derivava dalla Delib. n. 1169 del 2009 del Commissario Straordinario della Asl Salerno, che erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto non contenere la disciplina dei rapporti tra i sanitari e i datori di lavoro, senza subordinarla ad alcuna autorizzazione;

ciò anche perchè ai servizi di visita fiscale non potevano trovare applicazione le norme di Regolamento aziendale di cui alle Delib. n. 947 del 2002 e Delib. n. 376 del 2012, che prevedevano tale necessità di autorizzazione rispetto al diverso caso delle missioni o delle trasferte presso altra sede, mentre il riconoscimento del diritto rivendicato si poneva in linea con le previsioni della contrattazione collettiva che appunto riconoscevano il diritto dei sanitari ai rimborsi delle spese sulla base anche delle tariffe ACI;

il nucleo decisionale della sentenza impugnata sta invece nell’assunto secondo cui, essendo necessario un provvedimento normativo o negoziale che riconoscesse il diritto rivendicato, tale non poteva essere considerata la Delib. n. 1169 del 2009, sia perchè riguardante i rapporti tra Azienda e datori di lavoro, sia perchè essa non aveva fatto venire meno l’obbligo, stabilito dai Regolamenti Asl, dei medici operanti sul territorio di chiedere ed ottenere la previa autorizzazione all’uso dell’autovettura per ottenere il rimborso delle corrispondenti spese;

autorizzazione che, secondo la Corte, non poteva desumersi dalla indubbia conoscenza che di tale uso da parte del ricorrente la Asl sicuramente aveva, nè dal fatto che talora in passato vi fossero stati tali pagamenti per visite richieste da enti pubblici;

quest’ultimo passaggio argomentativo è rimasto privo di censure, sicchè tutto si concentra sulla questione relativa alla necessità o meno di previa autorizzazione;

in proposito le difese e la sentenza sono coerenti rispetto al fatto che la Delib. n. 1169 del 2009 in sè nulla dicesse rispetto all’autorizzazione, sostenendosi piuttosto, nella sentenza, che permanesse l’obbligo, in quanto stabilito dai Regolamenti Asl, di tale autorizzazione, denegato invece dal ricorrente;

il Regolamento 947/2007, che è poi quello che regola il periodo oggetto di causa (2009/2012), è tuttavia chiaramente un atto amministrativo, la cui interpretazione pertiene all’ambito esclusivo della cognizione del giudizio di merito;

la censura, rispetto alle conclusioni assunte in proposito, non può essere dunque mossa in via diretta affermandosi la violazione di quanto disposto dal provvedimento che viene in evidenza, ma semmai attraverso il richiamo ai principi ermeneutici di cui agli artt. 1362 ss. c.c. (Cass. 20 novembre 2017, n. 27456; Cass. 24 ottobre 1998, n. 10581) accompagnato dalla trascrizione e puntuale critica dei passaggi essenziali, da un lato, del provvedimento e, dall’altro, della sentenza e dei passaggi interpretativi di esso che la medesima contiene e ciò in rigorosa osservanza dei presupposti di specificità di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, (Cass. 24 aprile 2018, n. 10072) e di autonomia del ricorso per cassazione (Cass., S.U., 22 maggio 2014, n. 11308) che la predetta norma nel suo complesso esprime, da cui si desume la necessità che la narrativa e l’argomentazione siano idonee a manifestare pregnanza, pertinenza e decisività delle ragioni di critica prospettate, senza necessità per la S.C. di ricercare autonomamente negli atti i corrispondenti profili ipoteticamente rilevanti;

nel caso di specie, sotto il primo profilo (modalità di impugnativa rispetto all’interpretazione del Regolamento) il motivo afferma l’inapplicabilità del Regolamento 947/2007 al caso dei movimenti sul territorio, senza alcun richiamo ai menzionati criteri ermeneutici;

sotto il secondo profilo (completezza impugnatoria rispetto all’argomentazione interpretativa resa dalla Corte di merito) si rileva che uno dei passaggi che la pronuncia letteralmente riferisce alle norme regolamentari, ritenendole in parte qua applicabili anche ai casi di cui alla Delib. n. 1169 del 2009, consiste nella necessaria esistenza di “richiesta motivata dell’interessato” (il virgolettato è presente nella stessa sentenza impugnata);

tale passaggio non trova riscontro alcuno nel motivo di ricorso, focalizzato esclusivamente sull’assunto che le “missioni” cui si aveva riguardo l’oggetto di quel Regolamento o l’art. 3 del medesimo non riguarderebbero il caso degli interventi sul territorio, sicchè il motivo finisce per non esprimersi specificamente su quella decisiva – nell’economia della sentenza di appello citazione testuale;

in sostanza il motivo non individua correttamente il percorso impugnatorio dal punto di vista giuridico e neppure è completo nella sua stesura quanto a critica di uno dei passaggi argomentativi rilevanti;

ciò comporta l’inammissibilità del ricorso e la regolazione secondo soccombenza delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere alla controparte le spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.500,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15 h ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 12 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2020

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