Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12200 del 07/05/2021

Cassazione civile sez. I, 07/05/2021, (ud. 21/01/2021, dep. 07/05/2021), n.12200

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 15437/2019 r.g. proposto da:

M.A., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta

procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Marco

Ravazzolo, presso il cui studio è elettivamente domiciliato in

Piove di Sacco, Via M. Michiel n. 81.

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore il Ministro.

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di Venezia, depositato in data

19.4.2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

21/1/2021 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore;

lette le conclusioni scritte dell’Ufficio della Procura Generale

presso la Corte di Cassazione che, nella persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. MUCCI, ha concluso per la dichiarazione

di inammissibilità del ricorso.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Con il decreto impugnato il Tribunale di Venezia ha respinto la domanda di protezione internazionale ed umanitaria avanzata da M.A., cittadino del (OMISSIS), dopo il diniego di tutela da parte della locale commissione territoriale, confermando, pertanto, il provvedimento reso in sede amministrativa.

Il tribunale ha ricordato, in primo luogo, la vicenda personale del richiedente asilo, secondo quanto riferito da quest’ultimo; egli ha infatti narrato: i) di essere nato e vissuto a (OMISSIS) e di essere di etnia bangla e di religione musulmana; ii) di essere stato costretto a fuggire dal suo paese, perchè, orfano del padre, versava, unitamente alla sua famiglia, in gravissime condizioni di povertà, tanto che si era determinato a trasferirsi in Libia ove tuttavia aveva sofferto ogni genere di vessazioni e violenze.

Il tribunale ha ritenuto che: a) non erano fondate le domande volte al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, del D.Lgs. n. 251 del 2007, sub art. 14, lett. a e b, in ragione della complessiva valutazione di non credibilità del racconto in relazione al riferito rischio di alluvioni e perchè non ricorrevano i presupposti applicativi dell’invocata protezione internazionale; b) non era fondata neanche la domanda di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c, in ragione dell’assenza di un rischio-paese riferito al Bangladesh, stato di provenienza del richiedente, collegato ad un conflitto armato generalizzato; c) non poteva accordarsi tutela neanche sotto il profilo della richiesta protezione umanitaria, perchè il ricorrente non aveva dimostrato un saldo radicamento nel contesto sociale italiano nè una condizione di soggettiva vulnerabilità, non rilevando a tal fine la sola condizione di precarietà economica.

2. Il decreto, pubblicato il 19.4.2019, è stato impugnato da M.A. con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.

La Procura generale presso la Corte di cassazione ha depositato requisitoria scritta.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c, comma 1, in ordine al diniego della richiesta protezione sussidiaria. Si evidenzia che il tribunale – per giustificare la non ricorrenza del grave danno di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c e cioè l’assenza di un conflitto armato generalizzato nel paese di provenienza del richiedente – aveva consultato e citato, da un lato, fonti informative non aggiornate (UNCHR gennaio 2008) e, dall’altro, fonti di conoscenza (UNCHR 2017) che riguardavano profili diversi ed ulteriori (libertà di pensiero, attentati terroristici, etc.) rispetto a quelli rilevanti ai fini del predetto del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c.

2. Con il secondo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, anche in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 1, lett. h-bis in relazione al diniego dell’invocata protezione umanitaria.

3. Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, in relazione alla disposta (e male acquisita) audizione del richiedente.

4. Il ricorso è inammissibile nel suo contenuto anche al di là del preliminare profilo di inammissibilità sollevato dall’Ufficio della Procura generale.

4.1 Già il primo motivo è formulato in modo inammissibile.

4.1.1 Sul punto giova ricordare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte, il riferimento operato dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, alle “fonti informative privilegiate” deve essere interpretato nel senso che è onere del giudice specificare la fonte in concreto utilizzata e il contenuto dell’informazione da essa tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione, così da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità di tale informazione rispetto alla situazione concreta del Paese di provenienza del richiedente la protezione (così, Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 13449 del 17/05/2019). E’ stato anche precisato che “Nei giudizi di protezione internazionale, a fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni socio-politiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione, sicchè il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, potendo incorrere in tale ipotesi, la pronuncia, ove impugnata, nel vizio di motivazione apparente” (così, verbatim, Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 13897 del 22/05/2019; v. anche: Sez. 2, Ordinanza n. 9231 del 20/05/2020; Sez. 2, Ordinanza n. 9230 del 20/05/2020; Sez. 1, Ordinanza n. 13255 del 30/06/2020).

4.1.2 Ciò posto, la doglianza articolata dal ricorrente – nel censurare la motivazione impugnata per l’erronea indicazione delle fonti consultate richiede invero a questa Corte di legittimità un inammissibile nuovo scrutinio di merito sulle fonti di conoscenza oggetto di lettura da parte del tribunale per la valutazione circa l’esistenza o meno di un conflitto armato generalizzato nel paese di provenienza del richiedente asilo.

4.1.3 Occorre in primo luogo precisare che non corrisponde al vero che le citate fonti internazionali (UNHCR 2017) avrebbero un contenuto decentrato rispetto ai presupposti applicativi della richiesta tutela sussidiaria, posto che la lettura integrale della motivazione impugnata rende evidente che il tribunale ha tratto adeguate informazioni dalle sopra citate fonti per escludere l’esistenza dei presupposti applicativi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c.

4.1.4 Va evidenziato, proprio in relazione alla dedotta violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c), denunciata con riguardo al mancato approfondimento istruttorio officioso relativo alla situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, che, alla stregua delle indicazioni ermeneutiche impartite da questa Corte, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (Grande Sezione, 18 dicembre 2014; C-542/13, par. 36; C-285/12; C-465/07), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Sez. 6-1, Ordinanza n. 13858 del 31/05/2018).

4.1.5 Il motivo – così articolato in relazione al diniego della reclamata protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c – è inammissibile proprio perchè volto a sollecitare questa Corte ad una rivalutazione delle fonti informative per accreditare, in questo giudizio di legittimità, un diverso apprezzamento della situazione di pericolosità interna del Bangladesh, giudizio quest’ultimo inibito alla corte di legittimità ed invece rimesso alla cognizione esclusiva dei giudici del merito, la cui motivazione è stata articolata – sul punto qui in discussione – in modo adeguato e scevro da criticità argomentative, avendo specificato anche le fonti informative consultate.

4.2 Il secondo motivo – declinato in relazione al diniego della protezione umanitaria – è inammissibile perchè si compone solo di generiche osservazioni sull’istituto invocato, senza che lo stesso si confronti con le rationes decidendi del provvedimento impugnato che fondano il rigetto della domanda, da un lato, sulla mancata dimostrazione di un adeguato inserimento del ricorrente nella realtà socio lavorativa italiana e, dall’altro, sull’assenza di profili di soggettiva vulnerabilità del richiedente.

4.3 Il terzo motivo è del pari inammissibile.

4.3.1 In relazione alla questione dell’audizione del richiedente, giova ricordare che, secondo un orientamento espresso recentemente da questa Corte (cui anche questo Collegio intende fornire continuità applicativa, condividendone le ragioni), in riferimento alla mancata audizione del richiedente in sede giurisdizionale in caso di procedimento D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 bis, “nei giudizi in materia di protezione internazionale il giudice, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale, ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente, a meno che a) nel ricorso non vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda (sufficientemente distinti da quelli allegati nella fase amministrativa, circostanziati e rilevanti); b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) il richiedente faccia istanza di audizione nel ricorso, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire chiarimenti e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile” (Sez. 1, Sentenza n. 21584 del 07/10/2020; in senso conforme, anche Sez. 1, Sentenza n. 22049 del 13/10/2020, secondo cui verbatim “il corredo esplicativo dell’istanza di audizione deve risultare anche dal ricorso per cassazione, in prospettiva di autosufficienza; in particolare il ricorso, col quale si assuma violata l’istanza di audizione, implica che sia soddisfatto da parte del ricorrente l’onere di specificità della censura, con indicazione puntuale dei fatti a suo tempo dedotti a fondamento di quell’istanza”).

43.2 Ciò posto, la doglianza articolata dal ricorrente si pone, in primis, in frontale contrasto con la giurisprudenza da ultimo citata perchè – secondo i principi sopra espressi (e qui confermati) – non esiste un obbligo del giudice ad “audire” il richiedente, con la conseguenza che la censura risulta formulata in modo inammissibile perchè non spiega nè specifica i fatti a suo tempo dedotti a fondamento dell’istanza di audizione avanzata innanzi ai giudici del merito, non deducendo neanche la rilevanza ed utilità del predetto mezzo istruttorio.

A ciò va aggiunto – ad ulteriore conferma dell’inammissibilità della censura che, nel caso in esame, l’audizione era stata anche disposta dal Tribunale, dolendosi peraltro il ricorrente solo del mancato approfondimento dell’esame del richiedente, senza neanche specificare – anche in tal caso – i temi di interesse, rilevanti ai fini della decisione, che avrebbero dovuto essere approfonditi in sede di audizione.

Nessuna statuizione è dovuta per le spese del giudizio di legittimità, stante la mancata difesa dell’amministrazione intimata.

Per quanto dovuto a titolo di doppio contributo, si ritiene di aderire all’orientamento già espresso da questa Corte con la sentenza n. 9660-2019.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 21 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2021

 

 

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