Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1220 del 22/01/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 1220 Anno 2014
Presidente: MASSERA MAURIZIO
Relatore: FRASCA RAFFAELE

SENTENZA

sul ricorso 7231-2008 proposto da:
PACI

RAIMONDO

PCARND43B091644L,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CIRCONVALLAZIONE CLODIA 5,
presso lo studio dell’avvocato SCIARRA NICOLINO, che
lo rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente contro

FAGNANI

GEMMA FGNGMM23D43B865K,

TILLI

ROSMUNDA

TLLRMN27C69F495B, elettivamente domiciliati ex lege
in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI
CASSAZIONE, rappresentati e difesi dagli avvocati

1

Data pubblicazione: 22/01/2014

CIANCI FRANCO, CIANCI BENEDETTO giusta delega in
atti;

controricorrenti

avverso la sentenza n. 68/2007 della CORTE D’APPELLO
di L’AQUILA, depositata il 22/01/2007 R.G.N.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 14/11/2013 dal Consigliere Dott. RAFFAELE
FRASCA;
udito l’Avvocato NICOLINO SCIARRA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. TOMMASO BASILE che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

2

1229/2002;

R.g.n. 7231-08 (ud. 14.11.2013)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

§1. Raimondo Paci ha proposto ricorso per cassazione contro Gemma Fagnani e Tilli
Rosmunda, nonché contro Enrico Tilli, avverso la sentenza del 22 gennaio 2007, con la
quale la Corte d’Appello di L’Aquila ha pronunciato sulla controversia inter partes decisa
in primo grado dal Tribunale di Vasto.
§2. Al ricorso ha resistito con congiunto controricorso la Fagnani e la Tilli, mentre

non ha svolto attività difensiva Enrico Tilli.

MOTIVI DELLA DECISIONE

§1. Il Collegio ritiene superfluo riferire dei motivi del ricorso, in quanto il ricorso
appare inammissibile per violazione dell’art. 366 n. 3 c.p.c.
Queste le ragioni.
La struttura del ricorso la seguente:
a) dopo la prima pagina nella quale sono indicate le parti e le prime tre righe della
seconda, nelle quali è indicata la sentenza impugnata, è riprodotta integralmente, comprese
le firme del Presidente e del Consigliere relatore ed estensore, la sentenza impugnata fino
alla diciassettesima riga della pagina dieci;
b) successivamente, nelle residua parte di tale pagina si riferisce del tutto
genericamente dell’insorgenza della lite con atto di citazione del 13 agosto 1992 per effetto
di citazione da parte della Fagnani e della Tilli del qui ricorrente e del Tilli Enrico <>; <>.
Si tratta di quesiti che non contengono alcun riferimento pur riassuntivo né alla
vicenda sostanziale né alla motivazione della sentenza impugnata, sicché, pur potendo
evocare astratti principi normativi di doverosa conoscenza per questa Corte, essi risultano
7
Est. Con

affaele Frasca

R.g.n. 7231-08 (ud. 14.11.2013)

assolutamente privi del requisito della conclusività, necessario perché la formulazione del
quesito possa assolvere al suo scopo.
L’art. 366-bis c.p.c., infatti, quando esigeva che il quesito di diritto dovesse
concludere il motivo imponeva che la sua formulazione non si presentasse come la
prospettazione di un interrogativo giuridico del tutto sganciato dalla vicenda oggetto del
procedimento, bensì evidenziasse la sua pertinenza ad essa. Invero, se il quesito doveva
concludere l’illustrazione del motivo ed il motivo si risolve in una critica alla decisione

impugnata e, quindi, al modo in cui la vicenda dedotta in giudizio è stata decisa sul punto
oggetto dell’impugnazione e criticato dal motivo, appare evidente che il quesito, per
concludere l’illustrazione del motivo, doveva necessariamente contenere un riferimento
riassuntivo ad esso e, quindi, al suo oggetto, cioè al punto della decisione impugnata da cui
il motivo dissentiva, sì che ne risultasse evidenziato — ancorché succintamente – perché
l’interrogativo giuridico astratto era giustificato in relazione alla controversia per come
decisa dalla sentenza impugnata. Un quesito che non presenta questa contenuto è, pertanto,
un non-quesito (si veda, in termini, fra le tante, Cass. sez. un. n. 26020 del 2008; nonché n.
6420 del 2008).
E’ da avvertire che l’utilizzo del criterio del raggiungimento dello scopo per valutare
se la formulazione del quesito sia idonea all’assolvimento della sua funzione appare
perfettamente giustificato dalla soggezione di tale formulazione, costituente requisito di
contenuto-forma del ricorso per cassazione, alla disciplina delle nullità e, quindi, alla
regola dell’art. 156, secondo comma, c.p.c., per cui all’assolvimento del requisito non
poteva bastare la formulazione di un quesito quale che esso fosse, eventualmente anche
privo di pertinenza con il motivo, ma occorreva una formulazione idonea sul piano
funzionale, sul quale emergeva appunto il carattere della conclusività. Da tanto l’esigenza
che il quesito rispettasse i criteri innanzi indicati.
Per altro verso, la previsione della necessità del quesito come contenuto del ricorso a
pena di inammissibilità escludeva che si potesse utilizzare il criterio di cui al terzo comma
dell’art. 156 c.p.c., posto che quando il legislatore qualifica una nullità di un certo atto
come determinativa della sua inammissibilità deve ritenersi che abbia voluto escludere che
il giudice possa apprezzare l’idoneità dell’atto al raggiungimento dello scopo sulla base di
contenuti desunti aliunde rispetto all’atto: il che escludeva che il quesito potesse integrarsi
con elementi desunti dal residuo contenuto del ricorso, atteso che l’inammissibilità era
parametrata al quesito come parte dell’atto complesso rappresentante il ricorso, ivi

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Est. Coils. Rae1e Frasca

R.g.n. 7231-08 (ud. 14.11.2013)

compresa l’illustrazione del motivo (si veda, in termini, già Cass. (ord.) n. 16002 del 2007;
(ord.) n. 15628 del 2009, a proposito del requisito di cui all’art. 366 n. 6 c.p.c.).
E’, altresì, da avvertire, che l’intervenuta abrogazione dell’art. 366-bis c.p.c. non può
determinare — in presenza di una manifestazione di volontà del legislatore che ha
mantenuto ultrattiva la norma per i ricorsi proposti dopo il 4 luglio 2009 contro
provvedimenti pubblicati prima ed ha escluso la retroattività dell’abrogazione per i ricorsi
proposti antecedentemente e non ancora decisi — l’adozione di un criterio interpretativo

della stessa norma distinto da quello che la Corte di Cassazione, quale giudice della
nomofilachia anche applicata al processo di cassazione, aveva ritenuto di adottare anche
con numerosi arresti delle Sezioni Unite.
L’adozione di un criterio di lettura dei quesiti di diritto ai sensi dell’art. 366-bis c.p.c.
dopo il 4 luglio 2009 in senso diverso da quanto si era fatto dalla giurisprudenza della
Corte anteriormente si risolverebbe, infatti, in una patente violazione dell’art. 12, primo
comma, delle preleggi, posto che si tratterebbe di criterio contrario all’intenzione del
legislatore, il quale, quando abroga una norma, tanto più processuale, e la lascia ultrattiva o
comunque non assegna effetti retroattivi all’abrogazione, manifesta non solo una voluntas
nel senso di preservare l’efficacia della norma per la fattispecie compiutesi anteriormente
all’abrogazione e di assicurarne l’efficacia regolatrice rispetto a quelle per cui prevede
l’ultrattività, ma anche una implicita voluntas che l’esegesi della norma abrogata continui a
dispiegarsi nel senso in cui antecedentemente è stata compiuta. Per cui l’interprete e,
quindi, anche la Corte di Cassazione ai sensi dell’art. 65 dell’Ordinamento Giudiziario,
debbono conformarsi a tale doppia voluntas e ciò ancorché, in ipotesi, l’eco dei lavori
preparatori della legge abrogativa riveli che l’abrogazione possa essere stata motivata
anche e proprio dall’esegesi che dla norma sia stata data. Invero, anche l’adozione di un
criterio esegetico che tenga conto della ragione in mente legislatoris dell’abrogazione
impone di considerare che l’esclusione dell’abrogazione in via retroattiva ed anzi la
previsione di una certa ultrattività per determinate fattispecie sempre in mente legislatoris
significhino voluntas di permanenza dell’esegesi affermatasi, perché il contrario interesse
non è stato ritenuto degno di tutela.
§3. Il ricorso è, dunque, dichiarato inammissibile.
§4. Le spese del giudizio di cassazione possono compensarsi ravvisandosi giusti
motivi nel fatto che all’epoca di proposizione del ricorso non si era ancora formato
l’orientamento poi sfociato definitivamente nell’arresto di cui a Cass. sez. un. n. 5698 del

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Est. ConRaffaele Frasca

R.g.n. 7231-08 (ud. 14.11.2013)

2012, posto che esso si manifestò per la prima volta con Cass. sez. un. n. 16628 del 2009 e,
quindi, con Cass. (ord.) n. 20395 del 2009.
P. Q. M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Compensa le spese del giudizio di
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile, il 14
nov mb 12013.

cassazione.

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