Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12197 del 07/05/2021

Cassazione civile sez. I, 07/05/2021, (ud. 21/01/2021, dep. 07/05/2021), n.12197

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14461/2019 proposto da:

O.E., rappresentato e difeso dall’avvocato Massimo Rizzato,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di VENEZIA, depositato il

29/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

21/01/2021 da Dott. FALABELLA MASSIMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – E’ impugnato per cassazione il decreto del Tribunale di Venezia del 29 marzo 2019. Con quest’ultima pronuncia è stato negato che al ricorrente O.E. potesse essere riconosciuto lo status di rifugiato ed è stato altresì escluso che lo stesso potesse essere ammesso alla protezione sussidiaria e a quella umanitaria.

2. – Il ricorso per cassazione si fonda su di un motivo. Il Ministero dell’interno, intimato, non ha notificato controricorso, ma ha depositato un “atto di costituzione” in cui non è svolta alcuna difesa.

Il pubblico ministero ha rassegnato conclusioni scritte, domandando che la Corte dichiari inammissibile il ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il ricorrente oppone la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. a), artt. 7 e 14. Deduce l’istante che il Tribunale aveva ritenuto di rigettare il ricorso in quanto i fatti posti a fondamento della domanda di protezione internazionale non erano stati provati; viene osservato che nell’accertamento di tali fatti il Tribunale era gravato di un dovere di cooperazione istruttoria e che, inoltre, lo stesso giudice avrebbe dovuto valutare la credibilità-richiedente non sulla mera mancanza di riscontri oggettivi, ma alla stregua dei criteri stabiliti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5. Viene infine lamentato che il Tribunale abbia ritenuto non concedibile la protezione umanitaria “atteso che le dichiarazioni del richiedente apparivano poco credibili e che lo stesso non aveva compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda”.

2. – Il pubblico ministero ha dedotto che il ricorso sarebbe inammissibile per la nullità della procura conferita dal ricorrente al proprio difensore.

Tale questione può ritenersi non decisiva ai fini della deliberazione della sentenza, visto che il ricorso si presenta comunque inammissibile: si può pertanto prescindere dallo scrutinio dell’eccezione sollevata dalla parte pubblica.

Si legge nel decreto impugnato che la vicenda narrata dal ricorrente, il quale sarebbe fuggito dal proprio paese a seguito dell’incendio che aveva interessato la propria abitazione, non dava ragione di un pericolo di persecuzione; il provvedimento reca menzione dei motivi posti dal richiedente a fondamento dell’espatrio, desumibili dalle dichiarazioni dallo stesso rese in sede di audizione, chiaramente inidonei a fondare anche il riconoscimento della protezione sussidiaria (“il motivo per cui sono andato via è che ho provato nella mia vita tutto il possibile per migliorare, ma questo non ha funzionato alla fine non sono riuscite a raccogliere quello che avevo seminato. La mia casa è stata bruciata e ricominciare di nuovo diventava impossibile per cui ero stanco e ho deciso di partire”: pag. 5 del provvedimento). Quanto alla protezione umanitaria, il Tribunale ha ritenuto che non emergesse alcuna concreta ed effettiva integrazione del richiedente in Italia e che, inoltre, non potesse ravvisarsi alcun elemento di vulnerabilità tale da integrare i presupposti per il riconoscimento dell’invocata tutela.

Il ricorso non si misura affatto con tale tessuto argomentativo. Va qui ricordato che la proposizione, mediante il ricorso per cassazione, di censure prive di specifica attinenza al decisum della sentenza impugnata comporta l’inammissibilità del ricorso per mancanza di motivi che possono rientrare nel paradigma normativo di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4. Il ricorso per cassazione, infatti, deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi carattere di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, il che comporta l’esatta individuazione del capo di pronunzia impugnata e l’esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero le carenze della motivazione, restando estranea al giudizio di cassazione qualsiasi doglianza che riguardi pronunzie diverse da quelle impugnate (Cass. 18 febbraio 2011, n. 4036; Cass. 3 agosto 2007, n. 17125).

3. – Non deve statuirsi alcunchè in punto di spese.

PQM

La Corte;

dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 21 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2021

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