Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12196 del 07/05/2021

Cassazione civile sez. I, 07/05/2021, (ud. 21/01/2021, dep. 07/05/2021), n.12196

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13541/2019 proposto da:

S.M., rappresentato e difeso dall’avvocato Davide Verlato,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di VENEZIA, depositato il

14/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

21/01/2021 da Dott. FALABELLA MASSIMO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MUCCI Roberto.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – E’ impugnato per cassazione il decreto del Tribunale di Venezia del 14 marzo 2019. Con quest’ultima pronuncia è stato negato che il ricorrente S.M., nato in (OMISSIS), potesse essere ammesso alla protezione sussidiaria e a quella umanitaria.

2. – Il ricorso per cassazione si fonda su due motivi. Il Ministero dell’interno resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo oppone la violazione falsa applicazione di norme di diritto. Deduce l’istante che il Tribunale avrebbe fatto corretta applicazione dei principi elaborati in sede giurisprudenziale relativi alla materia istruttoria e di quelli contenuti nel D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, commi 2 e 3, nonchè nel D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 3, comma 3, lett. a) e lett. c). Lamenta, in particolare, che il Tribunale di Venezia avrebbe omesso di motivare circa la sua non credibilità e che nessuna corretta ed aggiornata informazione era stata acquisita relativamente alla effettiva situazione politica e sociale del paese di provenienza.

Il motivo è inammissibile.

Esso non si confronta con la motivazione del provvedimento impugnato, in cui il Tribunale ha evidenziato plurimi profili che facevano ritenere non credibile la vicenda narrata dal richiedente, incentrata sull’arresto operato ai suoi danni, in quanto simpatizzante del partito di opposizione al regime di J. – l'(OMISSIS) – e sul successivo rilascio, propiziato dall’intervento dei propri familiari. Il Tribunale ha rimarcato: che l’istante aveva rilasciato dichiarazioni generiche; che non apparivano credibili le modalità del suo arresto e la circostanza che lo stesso fosse stato rilasciato grazie alla consegna del documento d’identità da parte dei familiari; che il timore espresso dal richiedente risultava meramente ipotetico, non avendo lo stesso mai subito violenze e minacce; che aveva reso dichiarazioni contraddittorie affermando prima, innanzi alla Commissione territoriale, che – ove avesse avuto la disponibilità dei documenti (di identità, è da intendere) – sarebbe potuto tornare nel proprio paese, in quanto ivi non aveva “nessun problema”, mentre in sede di audizione aveva invece asserito che la sua vita “era ancora in pericolo” perchè il nuovo presidente non riusciva “a gestire questa nuova situazione”; che il governo del Gambia era oramai guidato da una coalizione il cui principale partito era proprio l'(OMISSIS); che il nuovo presidente aveva avviato una politica che si poneva il radicale discontinuità rispetto al predecessore; che il richiedente non aveva depositato alcun documento a supporto delle sue dichiarazioni e non aveva fornito informazioni in ordine ai risvolti processuali delle vicende, nè motivato circa l’impossibilità di farseli inviare dalla famiglia.

Ora, per un verso, il Tribunale ha fatto corretta applicazione degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, valutando la credibilità di quanto dichiarato dal richiedente con riferimento alla vicenda narrata e al rischio da lui prospettato con riguardo ad ipotetiche azioni violente da parte dei parenti dei propri operai. La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce, del resto, un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340).

Per altro verso, non si imponeva alcun ulteriore accertamento da affidare ai poteri istruttori ufficiosi di cui il giudice del merito pure disponeva. Infatti, “la riferibilità soggettiva e individuale del rischio di subire persecuzioni o danni gravi rappresenta un elemento costitutivo del rifugio politico e della protezione sussidiaria dell’art. 14, ex lett. a) e b), escluso il quale dal punto di vista dell’attendibilità soggettiva, non può riconoscersi il relativo status” (Cass. 17 giugno 2018, n. 16925, in motivazione). Ciò significa ove venga in questione, come nel caso in esame, la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e lett. b), in cui rileva la personalizzazione del rischio oggetto di accertamento (cfr. Cass. 20 marzo 2014, n. 6503; Cass. 20 giugno 2018, n. 16275; cfr. pure: Cass. 19 giugno 2020, n. 11936; Cass. 3 luglio 2020, n. 13756), non vi è ragione di attivare poteri di istruzione officiosa finalizzati alla verifica di fatti o situazioni che, in ragione della appurata non credibilità della narrazione del richiedente, devono reputarsi estranei alla vicenda personale di questo.

2. – Il secondo mezzo oppone l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione alle richieste, contenute nel ricorso al Tribunale, di concessione della protezione sussidiaria e di quella o per motivi umanitari, nonchè la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, con riferimento al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e D.Lgs. n. 25 cit., art. 32, comma 3. E’ lamentato che il giudice del merito si sia limitato a far riferimento all’astratta inesistenza di una situazione di violenza generalizzata legata a un conflitto armato interno, senza prendere in considerazione le ipotesi di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, alla lett. a) e alla lett. b), (ad esempio con riferimento al sistema carcerario e giudiziario e alla possibilità di esercitare in Gambia i diritti fondamentali della persona). Con riguardo alla protezione umanitaria è dedotto che il Tribunale avrebbe mancato di considerare la lesione di diritti fondamentali avendo particolare riguardo alla tutela accordata dalla Costituzione ai figli nati fuori dal matrimonio (avendo dedotto lo stesso richiedente di essere padre di un minore), nonchè alle difficoltà affrontate nel periodo di tempo di lui trascorso in Libia.

Il motivo è inammissibile.

La prima delle censure svolte replica quanto dedotto, con riferimento alla protezione sussidiaria di cui all’art. 14, lett. a) e lett. b), col primo motivo: è pertanto sufficiente richiamare le considerazioni precedentemente svolte.

Per quel che concerne la protezione umanitaria, il motivo non si confronta con la sentenza impugnata. Il Tribunale ha anzitutto osservato che non erano state allegate circostanze alla stregua delle quali poter ritenere che il ricorrente si era allontanato da una condizione di vulnerabilità effettiva, tale da tradursi nell’impedimento all’esercizio dei diritti umani inalienabili: tale proposizione – correttamente basata sul rilievo per cui l’introduzione del ricorso al tribunale nella materia della protezione internazionale dello straniero non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. 28 settembre 2015, n. 19197; in senso conforme: Cass. 29 ottobre 2018, n. 27336; Cass. 31 gennaio 2019, n. 3016) – non è stata in alcun modo contrastata. Il giudice del merito ha poi osservato, con riguardo alla nascita del figlio, che tale evenienza non assumeva rilevanza, tanto più che il ricorrente, a un anno dalla proposizione della domanda di protezione internazionale, non aveva ancora operato il riconoscimento del medesimo: anche sul punto nulla è stato replicato, limitandosi l’istante a far questione della tutela accordata dalla nostra carta fondamentale ai figli nati fuori dal matrimonio; è da osservare, peraltro, che la condizione di vulnerabilità è riconosciuta, in base al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 1, lett. h-bis, come modificato dal D.Lgs. n. 142 del 2015, art. 25, comma 1, lett. b, n. 1, ai “genitori singoli con figli minori” (sul punto cfr. Cass. 10 luglio 2019, n. 18540; Cass. 9 dicembre 2019, n. 32041) e che tale condizione non è stata dedotta dall’odierno ricorrente. Da ultimo, il Tribunale ha evidenziato come la protezione richiesta non potesse essere accolta avendo riguardo alle vicende vissute in Libia dal richiedente, “in assenza di conseguenze attuali sulla salute e sulla persona” del medesimo. Nemmeno tale passaggio motivazionale è stato aggredito col ricorso per cassazione. La giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte assegna un rilievo centrale alla valutazione comparativa tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale (Cass. Sez. U. 13 novembre 2019, n. 29459, in motivazione). La misura in questione presuppone dunque, anzitutto, una condizione di grave lesione dei diritti umani fondamentali che si consumi appunto nel paese di origine (e di rimpatrio, quindi) del richiedente stesso. Ciò non significa che ai fini del riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria non possano essere prese in considerazione le violenze subite nel paese di transito e di temporanea permanenza del richiedente asilo: tali violenze devono risultare però potenzialmente idonee, quali eventi in grado di ingenerare un forte grado di traumaticità, ad incidere sulla condizione di vulnerabilità della persona (Cass. 15 maggio 2019, n. 13096). Sul punto nulla risulta sia stato specificamente prospettato al giudice del merito e nulla, al riguardo, risulta sia stato accertato in punto di fatto.

3. – Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile.

4. – Le spese di giudizio seguono la soccombenza.

PQM

La Corte:

dichiara inammissibile il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore del Ministero, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100,00 oltre alle spese prenotate a debito; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello,dovuto,per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 21 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2021

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