Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12190 del 22/06/2020

Cassazione civile sez. lav., 22/06/2020, (ud. 03/07/2019, dep. 22/06/2020), n.12190

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BALESTRIERI Federico – Presidente –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5655/2016 proposto da:

RISCOSSIONE SICILIA S.P.A., (già SERIT SICILIA S.p.A. e prima

Montepaschi SE.RI.T. S.P.A.) in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ELEONORA DUSE

35, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO PAPPALARDO (Studio

Legale Vassalli) rappresentata e difesa dall’avvocato GERMANO GARAO;

– ricorrente –

contro

D.M.S., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato GAETANO VENTICINQUE;

– controricorrente –

e contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati

ANTONINO SGROI, GIUSEPPE MATANO, EMANUELE DE ROSE, LELIO MARITATO,

ESTER ADA VITA SCIPLINO, CARLA D’ALOISIO;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 841/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 08/09/2015 R.G.N. 35/2009;

LA CORTE, visti gli atti e sentito il consigliere relatore.

Fatto

RILEVA IN FATTO

che:

la Corte d’appello di Catania con sentenza n. 841 in data 23 luglio – 8 settembre 2015, riformando l’impugnata pronuncia del 31 gennaio 2008, con la quale era stata rigettata la domanda dell’attore D.M.S., dichiarava il diritto di quest’ultimo all’inquadramento, con decorrenza 1 ottobre 2000, quale funzionario di quarto livello secondo il c.c.n.l. riscossione 17 luglio 1995 e dal 1 gennaio 2002 come quadro direttivo di secondo livello, nonchè dal 1 gennaio 2004 come quadro direttivo di quarto livello. Dichiarava, altresì, il diritto dell’appellante D.M.S. alle corrispondenti differenze retributive con decorrenza 1 luglio 2000, condannando quindi la S.p.a. SERIT Sicilia al pagamento, in favore dello stesso, della complessiva somma lorda di Euro 88.883,76 di cui Euro 6039,64 a titolo di differenze per t.f.r. oltre accessori di legge, nonchè la medesima società al versamento, in favore dell’I.N.P.S., delle differenze contributive, quantificate in complessivi Euro 30.184,11 – spese di lite liquidate per ciascun grado del giudizio a carico della soccombente unitamente a quelle di consulenza tecnica d’ufficio, già in precedenza liquidate;

avverso la pronuncia di appello ha proposto ricorso per cassazione la S.p.a. RISCOSSIONE SICILIA (già SERIT Sicilia S.p.a., e prima ancora MONTEPASCHI SE.RI.T. S.p.a.), agente della riscossione per le province siciliane, come da atto del 18 e 19 febbraio 2016, affidato a tre motivi, cui ha resistito il sig. D.M.S. mediante controricorso in data 18, 19 e 21 marzo 2016. L’I.N.P.S., invece, si è limitato a depositare procura speciale in calce alla copia notificatagli del ricorso per cassazione.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Che:

con il primo motivo la società ricorrente ha denunciato la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2103 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, osservando in particolare che i testi escussi si erano limitati a dichiarare che il D.M. era stato assegnato allo sportello di Gravina di Catania, però senza nulla riferire circa il tipo di attività dallo stesso svolta presso detto sportello. Nè il lavoratore aveva dimostrato il contenuto delle mansioni ivi effettivamente disimpegnate, nonchè la loro corrispondenza a quelle delineate dal contratto collettivo in relazione al preteso livello. La stessa Corte d’Appello non aveva specificato, nè individuato in capo al D.M. quelle competenze particolari caratterizzanti l’invocato superiore inquadramento, in termini di autonomia, decisionalità e responsabilità. Pertanto, secondo la ricorrente, l’impugnata sentenza andava cassata, non avendo la Corte territoriale proceduto all’accertamento delle mansioni concretamente svolte dal lavoratore e/o in ogni caso raffrontato le mansioni svolte dallo stesso con quelle descritte dalla normativa contrattuale, quindi stravolgendo completamente il corretto procedimento logico-iuridico diretto alla determinazione dell’inquadramento spettante, violando così apertamente l’art. 2103 c.c.;

con il secondo motivo è stata denunciata la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362 c.c. e ss., nonchè di ogni altra norma e principio in materia di interpretazione del contratto collettivo e di accertamento dei presupposti per l’attribuzione della qualifica occorrenti per l’espletamento di mansioni superiori. La sentenza impugnata andava cassata per avere anche violato il canone ermeneutico dell’interpretazione letterale in ordine all’art. 7 del contratto collettivo. Infatti, la Corte d’Appello aveva valorizzato l’anzidetta disposizione solo in relazione al numero dei dipendenti dello sportello, omettendo però di considerare che la stessa norma al comma 1 richiedeva per il riconoscimento della categoria o della qualifica professionale il riferimento alle funzioni e ai compiti comportanti l’effettivo esercizio di potere decisionale nei confronti dei terzi e di rappresentanza dell’azienda stessa, da esplicarsi con caratteri di autonomia e discrezionalità. In altri termini, il canone ermeneutico prioritario fondato sul significato letterale delle parole ex art. 1362 c.c., comma 1, non era stato rispettato, avendo il giudice di merito “immotivatamente disconosciuto che il funzionario doveva essere incaricato dal concessionario di svolgere Innanzitutto “funzioni e compiti comportanti l’effettivo esercizio di potere decisionale nei confronti dei terzi e di rappresentanza dell’azienda stessa” (comma 1), e poi, in uno “sportello aventi almeno 9 dipendenti, compreso il preposto” (comma 2)”;

con il terzo motivo, infine, la società ricorrente ha denunciato ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2103 c.c., e dell’art. 13 dello Statuto dei Lavoratori, laddove la Corte distrettuale aveva osservato che lo sportello di Gravina era stato sempre, sia prima che dopo la gestione del D.M., retta da personale con qualifica di funzionario, sicchè la stessa qualifica doveva riconoscersi a tutti preposti, ivi compreso quindi il D.M.. L’assunto non poteva trovare accoglimento in quanto in contrasto con il costante indirizzo giurisprudenziale secondo cui ai sensi del citato art. 2103, la sola condizione da verificare è costituita dall’assegnazione alle mansioni superiori in modo pieno, nel senso cioè che abbia comportato l’assunzione della responsabilità e l’esercizio dell’autonomia proprie della corrispondente superiore qualifica. Inoltre, ai fini dell’attribuzione della qualifica superiore rivendicata in base alle mansioni svolte non era rilevante di per sè l’eventuale identità tra tali mansioni e quelle proprie di altri lavoratori della stessa azienda, che abbiano già ottenuto la stessa qualifica, dovendo l’inquadramento del lavoratore dipendente essere operato sulla base delle mansioni contrattualmente previste e delle esemplificazioni trascritte in calce alla declaratoria contrattuale degli inquadramenti, raffrontate con le mansioni in concreto espletate. Per di più, in mancanza di un principio generale di parità di trattamento in materia di lavoro, non assumeva alcun rilievo l’eventuale identità tra le mansioni svolte e quelle proprie di altri lavoratori della stessa azienda inquadrati con la medesima qualifica, ma soltanto la riconducibilità delle mansioni svolte alla qualifica invocata;

tanto premesso, le anzidette doglianze vanno disattese in forza delle seguenti ragioni, non senza in primo luogo rilevare la carenza di complete ed esaurienti allegazioni occorrenti a norma dell’art. 366 c.p.c., comma 1, e la mancata rituale produzione della documentazione di parte ricorrente, segnatamente del testo integrale della contrattazione collettiva, cui ineriscono le censure de quibus, ai sensi e per gli effetti di quanto per contro stabilito dall’art. 366 c.p.c., n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, laddove del resto, a parte taluni sintetici e frammentari riferimenti per relationem sul punto, contenuti in ricorso, l’indice in calce allo stesso (pag. 21), sub. n. 3, dopo aver menzionato la copia conforme della sentenza impugnata e la duplice copia dell’istanza di trasmissione ex cit. art. 369, u.c., si è limitato a indicare sommariamente “fascicoli di parte di primo e secondo grado”, senza quindi neppure dare specificamente conto della produzione della contrattazione collettiva nel suo testo integrale (cfr. inoltre Cass. Sez. 6 – 3, ordinanza n. 23452 del 6/10/2017, secondo cui l’adempimento dell’obbligo di specifica indicazione degli atti e dei documenti posti a fondamento del ricorso di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), previsto a pena d’inammissibilità, impone quanto meno che gli stessi risultino da un’elencazione contenuta nell’atto, non essendo a tal fine sufficiente la presenza di un indice nel fascicolo di parte); invero, nel giudizio di cassazione l’onere di depositare i contratti e glì accordi collettivi – imposto, a pena di improcedibilità del ricorso, dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, nella formulazione di cui al D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, – può dirsi soddisfatto solo con la produzione del testo integrale del contratto collettivo, adempimento rispondente alla funzione nomofilattica di questa S.C. e necessario per l’applicazione del canone ermeneutico previsto dall’art. 1363 c.c.; nè, a tal fine, può considerarsi sufficiente il mero richiamo, in calce al ricorso, all’intero fascicolo di parte del giudizio di merito, ove manchi una puntuale indicazione del documento nell’elenco degli atti (Cass. lav. n. 4350 del 04/03/2015. V. in senso analogo pure Cass. I civ. ordinanza n. 15580 del 15/03 – 14/06/2018 – Rv. 649273 – 01. Cfr. altresì Cass. lav. n. 15495 del 02/07/2009, secondo cui l’onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda – imposto, a pena di improcedibilità, dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, nella nuova formulazione di cui al D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, – non può dirsi soddisfatto con la trascrizione nel ricorso delle sole disposizioni della cui violazione il ricorrente si duole attraverso le censure alla sentenza impugnata, dovendosi ritenere che la produzione parziale di un documento sia non solamente incompatibile con i principi generali dell’ordinamento e con i criteri di fondo dell’intervento legislativo di cui al citato D.Lgs. n. 40 del 2006, intesi a potenziare la funzione nomofilattica della Corte di cassazione, ma contrasti con i canoni di ermeneutica contrattuale dettati dall’art. 1362 c.c. e ss., e, in ispecie, con la regola prevista dall’art. 1363 c.c., atteso che la mancanza del testo integrale del contratto collettivo non consente di escludere che in altre parti dello stesso vi siano disposizioni indirettamente rilevanti per l’interpretazione esaustiva della questione che interessa. Conformi Cass. n. 28306 del 31/12/2009, n. 3894 del 18/02/2010, n. 6732 del 19/03/2010, nonchè n. 7891 del 06/04/2011. V. ancora Cass. lav. n. 27876 del 30/12/2009: l’onere di depositare il testo integrale dei contratti collettivi di diritto privato, previsto a pena di improcedibilità del ricorso per cassazione dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, non è limitato al procedimento di accertamento pregiudiziale sull’efficacia, validità ed interpretazione dei contratti e accordi collettivi nazionali di cui all’art. 420 bis c.p.c., ma si estende al ricorso ordinario ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avuto riguardo alla necessità che la S.C. sia messa in condizione di valutare la portata delle singole clausole contrattuali alla luce della complessiva pattuizione, e dovendosi ritenere pregiudicata la funzione nomofilattica della S.C. ove l’interpretazione delle norme collettive dovesse essere limitata alle sole clausole contrattuali esaminate nei gradi di merito. Conformi id. n. 2742 – 08/02/2010, n. 3459 del 15/02/2010.

Cass. lav. n. 4373 del 23/02/2010: l’onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi – imposto, a pena di improcedibilità del ricorso per cassazione, dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, nella formulazione di cui al D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, – è soddisfatto solo con il deposito da parte del ricorrente dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda, senza che possa essere considerata sufficiente la mera allegazione dell’intero fascicolo di parte del giudizio di merito in cui sia stato già effettuato il deposito di detti atti. In senso analogo v. ancora Cass. lav. ordinanza n. 11614 del 13/05/2010, secondo cui, in particolare, non può essere considerata sufficiente la mera allegazione dell’intero fascicolo di parte del giudizio di merito in cui sia stato effettuato il deposito di detti atti o siano state allegate per estratto le norme dei contratti collettivi. In tal caso, ove pure la S.C. rilevasse la presenza dei contratti e accordi collettivi nei fascicoli del giudizio di merito, in ogni caso non potrebbe procedere al loro esame, non essendo stati ritualmente depositati secondo la norma richiamata. Parimenti, v. Cass. VI sez. – L, ordinanza n. 21366 del 15/10/2010, con principio affermato ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., comma 1, ed analogamente come da ordinanza n. 21358 del 15/10/2010, secondo la quale l’anzidetto deposito deve avere ad oggetto non solo l’estratto recante le singole disposizioni collettive invocate nel ricorso, ma l’integrale testo del contratto od accordo collettivo di livello nazionale contenente tali disposizioni, rispondendo tale adempimento alla funzione nomofilattica assegnata alla Corte di Cassazione nell’esercizio del sindacato di legittimità sull’interpretazione della contrattazione collettiva di livello nazionale);

gli anzidetti principi valgono tanto più nel caso di specie qui in esame, in quanto una valutazione globale della previsione della contrattazione collettiva sarebbe stata necessaria, onde porre a raffronto la qualifica rivendicata con quella di appartenenza, questione sottesa in effetti a tutte le doglianze esposte da parte ricorrente;

ciò premesso, va invero rilevato che la Corte di merito con motivazione adeguata e coerente (peraltro nemmeno ritualmente censurata, univocamente in termini di nullità, ex art. 360 c.p.c., n. 4, per eventuale violazione del c.d. minimo costituzionale occorrente a norma dell’art. 111 Cost., art. 132 c.p.c., n. 4, e art. 118 disp. att. dello stesso codice) ha accertato in punto di fatto, perciò insindacabilmente in questa sede di legittimità, che il D.M. svolse, presso lo sportello esattoriale MONTEPASCHI – SERIT di (OMISSIS), da primo luglio 2000 al 21 gennaio 2001, effettivamente mansioni di preposto – in piena autonomia con tutte le responsabilità connesse – in base a quanto inequivocabilmente confermato dai testi D.S. e L.B., i quali per il ruolo ricoperto all’epoca dei fatti vantavano il più pregnante titolo di conoscenza delle circostanze di causa, “trattandosi il, primo del direttore della Concessione di Catania (il diretto superiore) e, il secondo, del vice direttore, nonchè di colui che, per il primo giudice, avrebbe svolto le mansioni di preposto ad interim a Gravina di Catania sino al settembre 2000. A ciò si aggiunga che tali testi (al contrario della teste di parte datoriale A.A.) non erano più dipendenti della società, al tempo della deposizione, sicchè appaiono del tutto scevri da ipotetici condizionamenti…. Sicchè il direttore dell’epoca della direzione di Catania, non solo ha confermato il pieno svolgimento, da parte del D.M., delle mansioni di preposto, ma anche la chiara finalità fraudolenta – per impedire la promozione automatica del D.M. a preposto. lo stesso L.B. ha confermato d’aver ricoperto, da giugno a settembre 2000, l’incarico di preposto ad interim dell’ufficio di Gravina “soltanto formalmente…Desidero precisare che il D.M. aveva la responsabilità completa dello sportello…”, altresì aggiungendo che era lui – ossia sempre il D.M.- a coordinare e dirigere i dodici dipendenti ivi addetti, ad assegnare il lavoro da svolgere e impartire le direttive…”. Per giunta, la Corte territoriale evidenziava che il L.B. aveva lasciato Catania a settembre e che la società, significativamente, nella propria memoria di costituzione in primo grado non aveva fatto alcun cenno all’interim di L.B., nonostante nel ricorso introduttivo fosse stata espressamente denunciata la fittizietà del suo Incarico. Per di più, quanto poi al provvedimento del 5 luglio 2000, di trasferimento a (OMISSIS) del G. e contestuale nomina a preposto, non solo il D.S. non ne aveva fatto cenno, ma anche la teste di parte datoriale, A., aveva confermato che ciò non aveva mai avuto attuazione prima del 22 gennaio 2001. Pertanto, la Corte di merito appurava in base alle evidenziate circostanze fattuali, che nella specie operava la promozione automatica di cui all’art. 2103 c.c., a partire dal primo ottobre 2000, cioè dallo scadere del trimestre di svolgimento delle mansioni superiori, dovendosi ritenere che il trasferimento del G. a (OMISSIS) e di contestuale nomina di costui a preposto non ebbe effettiva esecuzione prima del 21 gennaio 2001, di guisa che non era ipotizzabile la sostituzione di un lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto. D’altro canto, la Corte distrettuale giudicava indubbio il fatto che le mansioni di direttore responsabile dell’ufficio in questione fossero riconducibili alla qualifica di funzionario prevista dal c.c.n.l. 17.7.1995 per il personale direttivo delle aziende concessionarie del servizio di riscossione tributi, vigente all’epoca dei fatti, il quale prevedeva espressamente tale qualifica per il dipendente preposto ad uno sportello avente almeno 9 dipendenti, compreso il preposto, all’art. 7, lett. b, laddove risultava del tutto pacifico che lo sportello di Gravina durante il periodo considerato avesse ben 12 addetti, e che fosse stato sempre retto da personale con la qualifica di funzionario (peraltro, a seguito dell’entrata in vigore del nuovo c.c.n.l. 12-12-2001, unico per gli ex funzionali ed il personale delle aree professionali, il funzionario era transitato, da gennaio 2002, nel secondo livello dei quadri direttivi e, da gennaio 2004, per effetto dell’accordo sindacale 14.10.2003, nel quarto livello di tali quadri);

pertanto, si appalesano del tutto inconferenti in questa sede di legittimità le doglianze di parte ricorrente, volte in effetti a contestare, però indebitamente in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, gli accertamenti fattuali compiuti dalla Corte di merito nei sensi di cui sopra, e per cui inoltre nemmeno rileva il richiamo all’art. 2697 c.c., in quanto tale norma disciplina soltanto l’onere probatorio, ma non già l’apprezzamento da parte del giudice di merito, esclusivamente competente in ordine alle risultanze ed ai contenuti dell’espletata istruttoria, laddove poi con il primo motivo del tutto apodittiche e generiche si manifestano le negazioni in contrapposizione alle valutazioni del collegio giudicante, per giunta senza alcuno specifico parametro di comparazione contrattuale;

analoghe considerazioni valgono per le censure di cui al secondo motivo, in relazione al quale, fermo l’anzidetto preliminare rilievo circa il difetto di rituale allegazione / produzione del testo integrale della contrattazione collettiva di riferimento, non si precisa in qual modo sarebbe erronea l’interpretazione di quest’ultima riguardo all’art. 7 c.c.n.l. 1995, ivi peraltro solo in parte riprodotto, non bastando di certo a tal riguardo l’ermetico richiamo delle norme (art. 1362 c.c. e segg.) asseritamente violate o falsamente applicate. Ed invero, stando pure all’incompleta trascrizione del (solo) art. 7, riportata nelle pagine 17 e 18 del ricorso de quo, subito dopo la declaratoria generale concernente i funzionari (comma 1), testualmente è detto che in applicazione di quanto previsto dal comma precedente (relativo appunto alla suddetta declaratoria)… è nominato funzionario (id est ha diritto a tale inquadramento, per effetto dell’art. 2103 c.c., in questione):… b) il dipendente che venga preposto dai concessionari alla direzione di uno sportello avente almeno 9 dipendenti, compreso il preposto…. Di conseguenza, per come formulata la disposizione, la stretta connessione del comma 2 al 1, di cui al succitato art. 7, induce a ritenere che l’anzidetta preposizione costituisce appunto, secondo la medesima espressa previsione collettiva, l’estrinsecazione dei compiti e delle funzioni menzionati dal comma 1. Diversamente opinando, infatti, non avrebbe senso la locuzione di cui all’incipit del comma 2 (“In applicazione di quanto previsto al comma precedente”). Per altro verso, ancorchè con motivazione sintetica sul punto, da leggersi tuttavia unitamente alle deposizioni, in particolare dei testi S. e L.B. riportate nelle pagine 5 e 6 della sentenza impugnata, la Corte d’Appello nemmeno ha fondato la sua decisione soltanto sull’accertata mera preposizione di fatto, avendo altresì ritenuto lo svolgimento delle mansioni di preposto, in piena autonomia e con tutte le connesse responsabilità;

del pari inconferente appare la terza doglianza, laddove peraltro del tutto fuori luogo si appalesa altresì il richiamo all’art. 360 c.p.c., n. 5 (non risultando per giunta nemmeno accennata la ragione di un tal riferimento, tanto più che non è stato in alcun modo denunciato l’omesso esame di un fatto rilevante ai fini della decisione), visto che la ratio decidendi della sentenza qui impugnata consiste essenzialmente nell’accertamento in concreto dei surriferiti requisiti utili, a norma dell’art. 2103 c.c., in relazione al succitato art. 7, all’inquadramento superiore vantato dall’attore – appellante, mentre l’accenno fatto pure alla circostanza che il posto in questione (di preposto alla direzione dello sportello di (OMISSIS), cui erano adibiti ben 12 dipendenti) fosse stato sempre occupato da un funzionario (cfr. in part. punto 3, pag. 7, della sentenza de qua) chiaramente, per come formulato l’intero periodo, non può intendersi come errata applicazione dell’art. 2103 riguardo ad un supposto diritto a parità di trattamento, quanto invece per confermare la corretta applicazione, in passato e anche dopo la gestione D.M., da parte datoriale, della normativa nel caso specifico, conformemente quindi alle succitate previsioni della contrattazione collettiva, nei sensi di cui sopra legittimamente interpretata dalla Corte d’Appello;

pertanto, restando nei sensi anzidetti altresì assorbita ogni altra questione, il ricorso deve disattendersi, con conseguente condanna della parte rimasta soccombente al rimborso delle relative spese, per cui, inoltre, stante l’esito negativo dell’impugnazione, va dato anche atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento dell’ulteriore contributo unificato;

nulla tuttavia è dovuto all’I.N.P.S., in quanto l’Istituto è rimasto intimato, non avendo svolto alcuna attività difensiva in proprio favore, essendosi limitato a depositare soltanto l’anzidetta procura speciale (a favore dell’avv. Antonino Sgroi ed altri difensori).

PQM

La Corte RIGETTA il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida, a favore del controricorrente, in complessivi Euro 4500,00 per compensi professionali ed in Euro 200,00per esborsi, oltre spese generali al 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge, con attribuzione all’avv. Gaetano Venticinque, procuratore speciale anticipatario costituitosi per il D.M..

Nulla per spese in favore dell’I.N.P.S..

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002 art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per

il ricorso, a norma del’art. 13, comma 1 bis, del citato D.P.R..

Così deciso in Roma, il 3 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2020

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