Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1219 del 17/01/2019

Cassazione civile sez. II, 17/01/2019, (ud. 17/07/2018, dep. 17/01/2019), n.1219

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 15843/2014 R.G. proposto da:

C.G., rappresentata e difesa, in forza di procura

speciale a margine del ricorso, dagli avv.ti Salvatore Abate e

Donatio Fanciullo, con domicilio eletto in Roma, via Paraguay 5,

presso lo studio dell’avv. Giunio Rizzelli;

– ricorrente –

contro

C.L.A., C.A.R., M.M., quale erede

di C.R., C.F., C.A.,

CA.An., C.C., C.P., rappresentati e difesi, in

forza di procura a margine del controricorso, dall’avv. Riccardo

Marzo, con domicilio eletto in Lecce, via dei Salesiani 45, presso

lo studio del difensore;

– controricorrenti –

C.T.;

– intimata –

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Lecce n. 209, depositata

il 20 marzo 2014.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17

luglio 2018 dal Consigliere Dott. Giuseppe Tedesco;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto del

ricorso;

udito l’avv. Giunio Rizzelli, per delega, per la ricorrente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

C.G. ha chiamato in giudizio davanti al Tribunale di Lecce Sez. distaccata di Maglie, i fratelli C.L.A., C.A.R., C.R., C.F., C.A., Ca.An., C.C., C.P. e C.T., chiedendo accertarsi l’acquisto per usucapione della proprietà di un fondo, sito in agro di (OMISSIS), già di proprietà della comune madre L.A. e a questa ancora formalmente intestato al momento della morte di lei, avvenuta il (OMISSIS).

A tal fine deduceva che la madre aveva proceduto al frazionamento di un proprio terreno in due parti, con lo scopo di donare i due fondi derivanti dal frazionamento uno alla figlia G. e l’altro alla figlia T..

Precisava che al frazionamento era seguita l’immissione dell’attrice nel possesso del fondo a lei e destinato.

L’attrice, da quel momento in poi, ne aveva mantenuto la disponibilità per tutto il tempo occorrente ai fini dell’acquisto per usucapione, coltivandolo e percependone e frutti e senza dare in alcun modo conto alla madre delle attività compiute.

I convenuti si costituivano e, per quanto ancora interessa in questa sede, negavano il possesso sotto vari profili, deducendo che il potere sulla cosa era stato esercitato in forza di comodato e comunque per tolleranza dell’avente diritto.

La domanda, accolta in primo grado, era rigettata dalla Corte d’appello di Lecce.

La corte riteneva che l’attrice non avesse dato la prova del possesso.

In particolare essa rilevava che le dichiarazioni rese in sede di interrogatorio formale dal convenuto Ca.An., in quanto provenienti da uno solo dei convenuti litisconsorti necessari, non costituivano confessione, rimanendo liberamente valutabili nei confronti degli altri.

Ad ogni modo il litisconsorte aveva riferito in merito a un’attività sostanzialmente compatibile con un rapporto di comodato.

La corte poneva ancora in luce che l’attrice non aveva pagato i tributi, non aveva chiesto di usufruire di contributi pubblici in relazione al fondo oggetto dell’asserito possesso (a differenza di quanto aveva fatto per altri terreni di sua proprietà) e aveva infine pagato la sua quota di imposta di successione relativa al terreno.

Per la cassazione della sentenza C.G. ha proposto ricorso affidato a quattro motivi.

Gli intimati hanno resistito con controricorso, eccependo l’inammissibilità del ricorso in quanto la copia loro notificata era stata sottoscritta dal solo avv. Donato Fanciullo, non abilitato al patrocinio dinanzi alla Suprema Corte.

C.T. è rimasta intimata.

La ricorrente e i controricorrente hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. L’eccezione dei controricorrenti è infondata.

La procura a margine del ricorso è sottoscritta dal difensore abilitato (avv. Abate), che ha sottoscritto anche il ricorso.

Il richiamo di Cass. n. 3450/2012, operato dai controricorrente nella memoria, non è pertinente, perchè trattasi di decisione intervenuta in un caso in cui non c’era alcuna sottoscrizione di difensore abilitato a tale patrocinio, il cui nome compariva nella procura autenticata dal solo difensore non abilitato.

Risulta inoltre dalla attestazione dell’ufficiale giudiziario che la notificazione è stata richiesta da entrambi i difensori.

“Qualora l’originale del ricorso per cassazione o del controricorso (contenente, eventualmente, anche il ricorso incidentale) rechi la firma del difensore munito di procura speciale e l’autenticazione ad opera del medesimo della sottoscrizione della parte conferentegli tale procura, la mancanza di detta firma e della menzionata autenticazione nella copia notificata non spiega effetti invalidanti, purchè la copia stessa contenga elementi – come l’attestazione dell’ufficiale giudiziario che la notifica è stata eseguita ad istanza del difensore del ricorrente – idonei ad evidenziare la provenienza dell’atto dal difensore munito di mandato speciale” (Cass. n. 636/2007; n. 13524/2014; n 1981/2018).

2. Con il primo motivo, rubricato “violazione e falsa applicazione degli artt. 115,116 c.p.c. e art. 2697 c.c.. Nullità della sentenza (…)per violazione dell’art. 342 c.p.c., art. 329 c.p.c., comma 2 e 112 c.p.c.”, la ricorrente censura la decisione sotto i seguenti profili:

a) la corte ha negato il possesso rivisitando le prove testimoniali assunte in primo grado, senza tenere conto che l’esercizio del potere di fatto sulla cosa era stata ammesso dai convenuti nella comparsa di risposta;

b) la sentenza di primo grado era essenzialmente fondata sulle dichiarazioni rese da uno dei convenuti in sede di interrogatorio formale, dichiarazioni che i convenuti non avevano singolarmente impugnato con il grado di specificità richiesta dall’art. 342 c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis: sulle dichiarazioni non impugnate si era quindi formato il giudicato.

La censura sub a) è inammissibile, perchè non coglie la ratio decidendi.

La corte non ha negato l’esercizio del potere sulla cosa dal punto di vista oggettivo e materiale, ma ha negato che quel medesimo potere si caratterizzasse quale possesso utile per l’usucapione.

Del pari inammissibile è la censura sub b), che è ispirata a una tesi manifestamente in contrasto con la giurisprudenza di questa corte (art. 360-bis c.p.c.).

“Ai fini della selezione delle questioni, di fatto o di diritto, suscettibili di devoluzione e, quindi, di giudicato interno se non censurate in appello, la locuzione giurisprudenziale “minima unità suscettibile di acquisire la stabilità del giudicato interno” individua la sequenza logica costituita dal fatto, dalla norma e dall’effetto giuridico, ossia la statuizione che affermi l’esistenza di un fatto sussumibile sotto una norma che ad esso ricolleghi un dato effetto giuridico. Ne consegue che, sebbene ciascun elemento di detta sequenza possa essere oggetto di singolo motivo di appello, nondimeno l’impugnazione motivata anche in ordine ad uno solo di essi riapre la cognizione sull’intera statuizione” (Cass. n. 24783/2018; n. 12202/2017).

E’ quindi in errore la ricorrente nel pretendere che l’impugnazione fosse specificamente riferita contro la valutazione dei singoli elementi istruttori considerati ai fini della decisione.

3. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1158,843 c.c., artt. 1140,1141,2697,1165,1167,2943,2944 c.c..

La corte non ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui, in presenza della prova del potere di fatto, il possesso si presume, spettando ai convenuti provare che si trattava invece di detenzione.

Nello stesso tempo la sentenza è censurata per avere attribuito rilevanza, in senso sfavorevole per l’attrice, al mancato pagamento delle imposte e al fatto che non aveva richiesto contributi pubblici in relazione al fondo (richiesti invece per altri fondi di sua proprietà), mentre l’una e l’altra circostanza erano compatibili con il possesso.

Si denuncia poi un ulteriore errore in cui è incorsa la corte d’appello, per avere riconosciuto rilevanza al pagamento pro quota, da parte dell’attrice, dell’imposta di successione afferente al terreno oggetto della domanda. Si sottolinea che il pagamento dell’imposta era intervenuto quando l’usucapione si era già compiuta e in ogni caso il fatto non costituiva riconoscimento del diritto altrui.

Il motivo è inammissibile.

L’analisi della corte di merito è partita dalla considerazione del seguente principio, applicabile nel caso in esame poichè la questione del possesso si poneva nella specie in ambito familiare.

“Al fine di stabilire se la relazione di fatto con il bene costituisca una situazione di possesso ovvero di semplice detenzione dovuta a mera tolleranza di chi potrebbe opporvisi, come tale inidonea, ai sensi dell’art. 1144 c.c., a fondare la domanda di usucapione, la circostanza che l’attività svolta sul bene abbia avuto durata non transitoria e sia stata di non modesta entità, cui normalmente può attribuirsi il valore di elemento presuntivo per escludere che vi sia stata tolleranza, è destinata a perdere tale efficacia nel caso in cui i rapporti tra le parti siano caratterizzati da vincoli particolari, quali quelli di parentela o di società, in forza di un apprezzamento di fatto demandato al giudice di merito” (Cass. n. 9661/2006; n 11315/2018; n. 11277/2015; n. 4327/2008).

Dopo aver richiamato tale principio, la corte d’appello ha operato una valutazione complessiva degli elementi di causa in esito alla quale ha riconosciuto che il potere sulla cosa esercitato dall’attrice costituiva detenzione e non possesso.

Diversamente da quanto si assume con il motivo in esame, gli argomenti sui quali si appunta la censura (mancato pagamento dei tributi, mancata richiesta di contributi) non sono considerati dalla corte singolarmente, ma nell’ambito di tale valutazione complessiva, che naturalmente rimane sottratta al sindacato di legittimità (Cass n. 1276/1975; n. 1777/1970).

4. Il terzo motivo denuncia nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 2733 c.c., comma 2, art. 342 c.p.c., art. 329 c.p.c., comma 2, artt. 228,116 c.p.c., artt. 2697,1141,1144 c.c..

La corte di appello ha negato che le dichiarazioni rese in sede di interrogatorio formale da uno dei litisconsorti necessarie fossero vincolanti anche nei confronti degli altri in assenza di una specifica censura, esaurendosi il motivo di appello proposto al riguardo nel richiamo della norma dell’art. 2733 c.c..

Inoltre la corte, al fine di riconoscere come raggiunta la prova della detenzione, ha utilizzato le dichiarazioni rese dal litisconsorte, anche nella parte in cui costui aveva reso dichiarazioni per sè favorevoli e quindi che non costituivano confessione.

Il motivo, che in parte ripropone censure oggetto del primo motivo, già esaminate e disattese, è inammissibile.

La corte ha liberamente valutato le dichiarazioni rese da uno dei litisconsorzi, facendo con ciò corretta applicazione dell’art. 2733 c.c., comma 2.

“La domanda di un condomino volta ad accertare la proprietà condominiale di un locale, trasformato da altro condomino e da quest’ultimo annesso al proprio appartamento, contenente la richiesta di demolizione delle opere su di esso eseguite, determina un litisconsorzio necessario tra tutti i condomini del predetto locale, essendo unico e inscindibile il rapporto dedotto in giudizio. Ciò comporta tra l’altro che le dichiarazioni rese da uno di essi in sede di interrogatorio formale sono liberamente apprezzabili dal giudice del merito, ai sensi dell’art. 116 c.p.c., non potendo esse assumere il valore di prova legale a sfavore degli altri per l’impossibilità di estendere alla parte non confidente la forza vincolante della confessione, mentre d’altro canto è inconcepibile che uno stesso fatto possa esser accertato positivamente per una delle parti e negativamente per un’altra” (Cass. n. 13555/1999; n. 10147/2004).

La sentenza impugnata, pertanto, è sul punto conforme alla giurisprudenza della Corte (Cass. n. 23586/2015; n. 8804/2016), il che, appunto, rende inammissibile la censura ex art. 360-bis c.p.c..

5. Il quarto motivo denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio.

Si sostiene che la cessione in via di fatto del terreno portava in sè la prova della volontà della disponente di trasferire anche il diritto di proprietà, caratterizzandosi quale donazione nulla in quanto priva del requisito formale.

La ricorrente richiamata il principio secondo cui la nullità del negozio traslativo non impedisce l’acquisto del possesso in capo all’acquirente.

Il motivo è inammissibile.

La parte non deduce alcun “omesso esame di un fatto”, ma si duole che il giudice, pur in presenza dell’esercizio del potere di fatto, abbia negato il possesso.

Occorre ancora aggiungere che l’attrice aveva descritto la vicenda acquisitiva del potere sulla cosa in modo diverso, e cioè quale immissione in possesso in conseguenza del frazionamento operato in vista di una futura donazione e non quale traditio che facesse seguito alla stipulazione di un negozio nullo per difetto di forma.

La deduzione è quindi nuova e, pertanto, inammissibile in questa sede.

Resta da aggiungere, con riferimento alla deduzione originaria circa la genesi del possesso, che essa, già dal punto di vista della prospettazione, non evoca una situazione di possesso ma di detenzione, così come ha correttamene riconosciuto la corte d’appello.

“In tema di accessione nel possesso, di cui all’art. 1146 c.c., comma 2, affinchè operi il trapasso del possesso dall’uno all’altro dei successivi possessori e il successore a titolo particolare possa unire al proprio il possesso del dante causa, è necessario che il trasferimento trovi la propria giustificazione in un titolo astrattamente idoneo a trasferire la proprietà o altro diritto reale sul bene; ne consegue, stante la tipicità dei negozi traslativi reali, che l’oggetto del trasferimento non può essere costituito dal mero potere di fatto sulla cosa” (Cass. n. 6353/2010; n. 6290/2015).

Se un soggetto riceve la consegna del bene in previsione di un futuro trasferimento della proprietà, l’accipiens non è possessore, ma per forza di cose detentore, “salvo che intervenga una interversio possessionis, mediante la manifestazione esterna, diretta contro il proprietario/possessore, della volontà di esercizio del possesso uti dominus, atteso che il possesso costituisce una situazione di fatto, non trasmissibile, di per sè, con atto negoziale separatamente dal trasferimento del diritto corrispondente al suo esercizio, sicchè non opera la presunzione del possesso utile ad usucapionem, previsto dall’art. 1141 c.c., quando la relazione con il bene derivi da un atto o da un fatto del proprietario non corrispondente al trasferimento del diritto” (Cass. n. 24637/2016).

Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo del versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; dichiara ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 17 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2019

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