Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12189 del 16/05/2017

Cassazione civile, sez. II, 16/05/2017, (ud. 15/03/2017, dep.16/05/2017),  n. 12189

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15494/2014 proposto da:

E.A., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA DI

VILLA FIORELLI 5 INT. 4, presso lo studio dell’avvocato MARIO DE

SENA, rappresentata e difesa dagli avvocati SALVATORE CACCAVALE,

VIRGINIA CORREALE;

– ricorrente –

contro

A.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ATANASIO

KIRCHER 7, presso lo studio dell’avvocato STEFANIA IASONNA,

rappresentato e difeso dagli avvocati ERNESTO PROCACCINI, FRANCESCO

PROCACCINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1498/2013 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 15/04/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/03/2017 dal Consigliere Dott. LUIGI GIOVANNI LOMBARDO;

udito l’Avvocato CACCAVALE Salvatore, difensore della ricorrente che

ha chiesto di riportarsi al ricorso;

udito l’Avvocato PROCACCINI Francesco, difensore del resistente che

ha chiesto di depositare avvisi di ricevimento e deposita, chiede il

rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELENTANO Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – La controversia ha ad oggetto la servitù di passaggio esercitata da E.A. e da M.M., per accedere ai loro rispettivi fondi nel comune di Saviano, sulla stradella ricadente nel fondo viciniore di A.S. e scaturisce dall’iniziativa dell’ A. di apporre un cancello all’inizio della stradella.

2. – La Corte di Appello di Napoli confermò la sentenza del Tribunale di Nola che respinse la domanda di reintegrazione nel possesso e di manutenzione dello stesso proposta da E.A. e da M.M. nei confronti dello A..

3. – Per la cassazione della sentenza di appello ricorrono E.A. e da M.M. sulla base di tre motivi.

A.S. ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Col primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1168 e 1140 c.c. (ex art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè l’omessa, illogica e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata (ex art. 360 c.p.c., n. 5), per avere la Corte di Appello ritenuto insussistenti sia lo spoglio che la turbativa del possesso della servitù, nonostante che l’apposizione del cancello alla stradella – senza l’apposizione di un meccanismo di apertura automatico con telecomando a distanza – avesse reso più gravoso il transito degli attori e degli operai incaricati della coltivazione del fondo.

Il motivo non è fondato.

Non sussistono innanzitutto le dedotte violazioni degli artt. 1140 e 1168 c.c..

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non v’è ragione di discostarsi, rientra nel diritto del proprietario del fondo servente l’esercizio della facoltà di apportare modifiche al proprio fondo e di apporvi un cancello per impedire l’accesso ai non aventi diritto, pur se dall’esercizio di tale diritto possano derivare disagi minimi e trascurabili al proprietario del fondo dominante in relazione alle pregresse modalità di transito, purchè a quest’ultimo venga consegnata la chiave di apertura del cancello (Cass., Sez. 2, n. 14179 del 27/06/2011).

Nella specie, risulta che l’ A. mise a disposizione degli attori la chiave del cancello, in modo da consentire loro di esercitare la servitù di passaggio. Esattamente, pertanto, i giudici di merito hanno escluso la sussistenza dello spoglio preteso dagli attori.

Esente dai denunciati vizi di legittimità è anche la statuizione della Corte territoriale circa la insussistenza della pretesa turbativa del possesso della servitù, anche con riferimento alla mancata apposizione al cancello di un congegno elettronico di apertura a distanza.

Questa Corte ha statuito sul punto che, in tema di servitù di passaggio, il proprietario del fondo dominante al quale venga consegnata la chiave di apertura del cancello apposto sul fondo servente sul quale esercita il passaggio, ove non dimostri in concreto l’aggravamento o l’ostacolo all’esercizio della servitù, non può pretendere l’apposizione del meccanismo di apertura automatico con telecomando a distanza o di altro similare rimedio, peraltro in contrasto col principio “servitus in faciendo consistere nequit” (Cass., Sez. 2, n. 14179 del 27/06/2011).

Nella specie, la Corte territoriale ha spiegato le ragioni per le quali non poteva ritenersi sussistente l’aggravamento della servitù. La motivazione della sentenza impugnata sul punto è incensurabile in sede di legittimità, non risultando essa nè apparente nè manifestamente illogica ed essendo comunque inammissibile il dedotto vizio di motivazione di cui al testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, anteriore alla riforma di cui D.L. n. 83 del 2012 (convertito nella L. n. 134 del 2012), non più applicabile ratione temporis (essendo stata la sentenza impugnata pubblicata il 15.4.2013).

Da ultimo, va osservato che il profilo del motivo col quale si censura l’applicazione dell’art. 841 c.c., risulta inammissibile, non cogliendo esso la ratio decidendi della sentenza impugnata, atteso che il rigetto della domanda possessoria è fondato – essenzialmente sull’assenza di animus spoliandi o turbandi (avendo l’ A. immediatamente posto a disposizione degli attori le chiavi di apertura del cancello, in modo da consentire loro l’esercizio del passaggio).

2. – Col secondo motivo, si deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1170 c.c. (ex art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè il vizio di motivazione della sentenza impugnata (ex art. 360 c.p.c., n. 5), per non avere la Corte di Appello considerato che il cancello, non chiudendo la proprietà dell’ A., non era idoneo a proteggere il fondo del resistente e per aver fatto riferimento ad ipotesi involgenti “diritti di condominio nelle abitazioni”.

Il motivo è inammissibile, in quanto non supera la soglia dell’assoluta genericità.

Sul punto, va ricordato che il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 3, deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla Corte regolatrice di adempiere il suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione. Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di “errori di diritto” individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati per mezzo di una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (Cass., Sez. 1, n. 5353 del 08/03/2007; Sez. 1, n. 11501 del 17/05/2006).

Non avendo i ricorrenti preso in esame il disposto della norma di cui denunciano la violazione (art. 1170 c.c.) e dimostrato in quali termini la sentenza impugnato ne avrebbe violato il precetto (i ricorrenti omettono anche di indicare quali siano i passaggi argomentativi della sentenza impugnata nei quali la Corte di merito avrebbe applicato principi rilevanti in ambito condominiale), il motivo risulta inammissibile.

Il motivo, in realtà, sottintende doglianze di merito relative all’apprezzamento dei fatti, inammissibili in sede di legittimità, non essendo peraltro deducibile – per quanto sopra detto – neppure il vizio di motivazione della sentenza impugnata.

3. – Col terzo motivo, si deduce l’omessa motivazione della sentenza impugnata (ex art. 360 c.p.c., n. 5) in ordine alla mancata ammissione dei mezzi istruttori richiesti (prova testimoniale e C.T.U.), finalizzati a dimostrare che il fondo dominante necessitava, per la coltivazione, di quotidiana frequentazione anche a mezzo di terzi e che il cancello era stato apposto sulla strada in compossesso, anzichè a chiusura della proprietà dell’ A..

Anche questo motivo è inammissibile, perchè, per un verso, non contiene – in violazione del principio di autosufficienza del ricorso – la trascrizione dei capitoli di prova testimoniale dedotti, non consentendo così a questa Corte il vaglio di decisività del mezzo istruttorio (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 6-L, n. 17915 del 30 luglio 2010); per l’altro, punta a censurare l’esercizio del potere del giudice di merito di nominare un consulente tecnico, esercizio che è insindacabile in sede di legittimità (Cass., Sez. 3, n. 10849 del 11/05/2007; Sez. 3, n. 305 del 12/01/2012), non essendo peraltro deducibile – ratione temporis – il vizio della motivazione della sentenza impugnata sul punto.

4. – Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con conseguente condanna della parte ricorrente, risultata soccombente, al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo.

5. – Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto dopo il 30 gennaio 2013), sussistono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte del ricorrente, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.500,00 (duemilacinquecento) per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Si dà atto che il procedimento è stato scrutinato con la collaborazione dell’Assistente di studio Dott. P.A..

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 15 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 16 maggio 2017

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