Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12187 del 16/05/2017


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Cassazione civile, sez. II, 16/05/2017, (ud. 23/02/2017, dep.16/05/2017),  n. 12187

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18168-2014 proposto da:

B.C., (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIALE DELLE MILIZIE 38, presso lo studio dell’avvocato MARIO

MONZINI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato DANTE

SPIAZZI;

– ricorrente –

contro

IMPRESA EDILE EDILNOVA DI M.G., p.iva (OMISSIS) in persona

del suo titolare M.G., elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA VALADIER 36, presso lo studio dell’avvocato RICCARDO GOZZI,

rappresentata e difesa dall’avvocato NATALE CALLIPARI;

– controricorrente –

e contro

MO.AN.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1293/2014 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 27/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/02/2017 dal Consigliere Dott. ANTONINO SCALISI;

udito l’Avvocato DANTE SPIAZZI, difensore del ricorrente, che ha

chiesto di riportarsi al ricorso;

udito l’Avvocato RICCARDO GOZZI, difensore del controricorrente, che

ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni che ha concluso per l’accoglimento dei motivi

del ricorso ad eccezione del sesto che deve ritenersi assorbito.

Fatto

FATTI DI CAUSA

M.G., titolare dell’impresa Edilnova, con citazione del 30 maggio 2002, conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Verona B.C., affinchè venisse dichiarato che egli o persona da nominare era proprietario esclusivo delle porzioni immobiliari site nel fabbricato posto in (OMISSIS), ovvero, in subordine che venisse emessa sentenza ex art. 2932 c.c. in relazione alle stesse unità, instava, anche, per il risarcimento del danno indicato nella somma di Euro 900.000,00 o quella maggiore o minore che venisse accertata in giudizio in relazione alla conseguenza del recesso dal contratto di appalto concluso il (OMISSIS).

Si costituiva B.C. la quale rappresentava di aver stipulato un contratto di appalto, con cui aveva affidato all’appaltatrice Edilnova i lavori di ristrutturazione del fabbricato di proprietà sito in (OMISSIS), con la previsione che i lavori dovevano essere consegnati entro e non oltre il 30 luglio 2001, ma che, con convenzione aggiuntiva in pari data, le parti a modifica dell’art. 11 cioè del pagamento del corrispettivo spettante all’appaltatore avevano stabilito che quanto dovuto dalla B. alla Edilnova Costruzioni doveva essere soddisfatto con la cessione di alcune unità abitative facente parti dell’edificio da ristrutturare e, solo dopo, che le stesse unità immobiliari fossero state ultimate al grezzo, con completa esecuzione della struttura esterna e della galleria con completa messa in opera del tetto completo di gronde in rame, nonchè l’esecuzione di tutte le tramezze interne e già installate, tutti gli impianti idrici ed elettrici con l’esclusone della messa in opera dei termosifoni, degli accessori dei bagni e delle cucine. Tali condizioni non si erano verificate, così come Edilnova non aveva prestato la fideiussione a garanzia dell’esecuzione a regola d’arte dei lavori e dell’assenza di vizi. La committente specificava che l’impresa si era resa inadempiente perchè non aveva ultimato i lavori di ristrutturazione entro il 30 luglio 2001, non aveva acceso la polizza di fideiussione nè aveva procurato la polizza assicurativa per la copertura del rischio da infortuni. L’inottemperanza delle clausole essenziali del contratto dovevano considerarsi essenziali, sicchè si era verificata la risoluzione del contratto di appalto per inadempimento dell’appaltatore. Ciò posto, considerato l’inadempimento della Edilnova Costruzioni, la B. non era più obbligata a trasferire gli appartamenti che avrebbe dovuto quale compenso dell’appalto di cui si dice. Chiedeva, pertanto, la risoluzione del contratto di appalto per grave inadempimento della Edilnova, rappresentando, comunque, che quel contratto avrebbe dovuto essere dichiarato risolto ope legis per diffida ad adempiere e per il decorso del termine della diffida, chiedeva il risarcimento del danno nella misura della penale convenuta.

Il Tribunale di Verona con sentenza n. 1952 del 2008 condannava la convenuta B. a pagare ad Edilnova l’importo di Euro 277.417,62, oltre interessi legali dal 30 maggio 2002 al saldo, a rifondere a parte attrice la metà delle spese di causa, compensava la restante metà.

La Corte di Appello di Venezia, pronunciandosi su appello principale proposto dalla B. e su appello incidentale proposto dalla impresa Edilnova con sentenza n. 1293 del 2014, rigettava gli appelli incidentali ed in parziale accoglimento dell’appello principale dichiarava risolto il contratto di appalto oggetto del giudizio e confermava per il resto la sentenza impugnata. Secondo la Corte lagunare accertato l’inadempimento dell’Impresa Edilnova nonchè la diffida ad adempire, il contratto di appalto andava dichiarato risolto. Posto, altresì, che non si erano verificate le condizioni a cui le parti avevamo sottoposto il trasferimento delle unità promesso con la convenzione aggiuntiva alla convenzione del 30 luglio 2001.

La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da B.C., con ricorso affidato a sette motivi illustrati con memoria. L’Impresa Edile Edilnova di M.G. ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.= L’eccezione dell’Impresa Edilnova di M.G., di inammissibilità del ricorso per l’invalidità della procura è infondata. Si assume che la procura, apposta a margine del ricorso, difetta della “specialità” voluta dalla legge in quanto appare “priva di ogni e qualsiasi riferimento alla decisione dei giudici di merito che viene impugnata”.

In punto di fatto, la procura, stesa a margine del ricorso, reca la dizione “delego a rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio avanti alla Corte di Cassazione l’avv. Dante Spiazzi di Verona e l’avv. Mario Monzini di Roma. Quanto ai profili giuridici della questione, le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 11178 del 27 ottobre 1995, risolvendo il contrasto insorto tra le sezioni semplici sul tema dei requisiti dai quali desumere la “specialità” della procura richiesta dall’art. 365 c.p.c., premesso che il connotato essenziale della specialità consiste nel rilascio successivo alla pubblicazione della sentenza che determina l’interesse della parte a impugnarla col ricorso per cassazione, e in applicazione, compatibilmente con la struttura dell’atto, dei criteri ermeneutici indicati dagli artt. 1363 c.c. e segg., hanno giudicato che “l’impiego di espressioni di significato non univoco o generali (quali il riferimento al “presente giudizio”) (…) non si prestano (…) ad escludere un’interpretazione dell’atto conforme alla presumibile intenzione della parte”. Posto che la certezza sulla volontà della parte di proporre il ricorso, quale che sia il tenore letterale della procura a margine, può discendere solo dalla certezza che la procura sia stata rilasciata a margine d’un ricorso già redatto (e non invece su un foglio in bianco), nel dubbio su tale ultima circostanza deve dunque valere il principio di conservazione dell’atto (art. 1367 c.c.), non ignoto al processo civile (art. 159 c.p.c.), in forza del quale ogni incertezza “va superata attribuendo alla parte la volontà che consente all’atto di procura di avere effetto”, con l’esame nel merito del ricorso; a meno che non ricorrano “espressioni che univocamente conducano ad escludere che la parte abbia inteso rilasciare procura per proporre ricorso per cassazione”. Alla luce di questo autorevolissimo insegnamento ispirato al rispetto della regola per cui il processo deve tendere, per quanto possibile, all’accertamento della volontà della legge nel caso concreto, piuttosto che a pronunzie meramente formali, esaltando la prevalenza del merito sulle preclusioni di rito, sono superati gli orientamenti più restrittivi a volte emersi nella giurisprudenza di legittimità, sicchè non ha alcun fondamento la pretesa del controricorrente di invalidare la procura solo perchè non contiene la puntuale indicazione della sentenza impugnata e delle parti, la cui collocazione naturale è nel corpo del ricorso (art. 366 c.p.c., n. 1 e 2) o della volontà di proporre la particolare impugnazione, desumibile dal collegamento dell’atto col testo del ricorso, in difetto di elementi che univocamente la escludano.

2.= B.C. lamenta:

a) Con il primo motivo di ricorso l’omessa pronuncia in relazione all’eccezione per cui il contratto di appalto si era automaticamente risolto ex lege in base all’art. 1454 c.c., comma 3, stante l’inutile decorso del tempo fissato nella diffida ad adempiere comunicata da B.C. all’impresa edile Edilnova di M.G.. La ricorrente sostiene che la Corte distrettuale avrebbe risolto il contratto di appalto per le notevoli inadempienze dell’appaltatore nonostante la B. avesse chiesto la risoluzione dello stesso contratto per diffida ad adempire. L’eccezione di risoluzione per diffida ad adempiere rispetto alla subordinata di risoluzione per inadempimento era prioritaria per le derivazioni sostanziali e processuali che ne scaturivano.

b) Con il secondo motivo, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1454 c.c., comma 3, che stabilisce la risoluzione automatica ex lege del contratto ove sia scaduto inutilmente il termine per l’adempimento fissato con l’intimata diffida ad adempiere. Secondo la ricorrente, visto il complesso della motivazione e la causalità del riferimento alla risoluzione per scadenza del termine intimato con la diffida ad adempiere la Corte distrettuale non avrebbe esaminato l’eccezione di soluzione per diffida ad adempiere fondata sul disposto dell’art. 1454 c.p.c., comma 3, violando l’art. 112 c.p.c., dato che l’eccezione è lo strumento con il quale si applica l’oggetto della cognizione e della decisione, e il giudice ha il dovere di pronunciarsi anche su di essa.

2.1. = Entrambi i motivi che per la loro innegabile connessione vanno esaminati congiuntamente sono infondati.

E’ appena il caso di evidenziare che la sentenza impugnata ha ampiamente affrontato la questione relativa alla diffida ad adempiere specificando, anche, che aveva errato il Tribunale nel ritenere che la committente avesse abdicato all’effetto risolutivo conseguente alla diffida ad adempiere intimata il 17 ottobre 2001 ed al decorso del termine ivi indicato, così come ha ampiamente chiarito che il comportamento della B. non indicava una volontà inequivoca di abbandonare l’effetto risolutivo. Tuttavia ha specificato la Corte di prossimità che indipendentemente dal fatto che la B. avesse manifestato la volontà di abbandonare l’effetto risolutivo conseguente alla diffida ad adempire, nel caso, concreto di certo, la risoluzione andava pronunciata, comunque, per l’inadempimento dell’appaltatore posto che i lavori non erano stati mai completati.

Pertanto, l’effetto risolutorio è stato, comunque, conseguito. Nel caso concreto, poi, appare ininfluente che la risoluzione sia stata pronunciata per inadempimento dell’appaltatore e non, invece, per inosservanza della diffida ad adempiere, essenzialmente perchè l’eventuale pronuncia per inosservanza della diffida ad adempiere, nel caso specifico, non avrebbe comportato effetti sostanziali diversi posto che, come la stessa Corte distrettuale ha evidenziato, la B. non avrebbe potuto ottenere di più di quanto ha ottenuto con la risoluzione per inadempimento, non avendo, la stessa richiesto, un ristoro per danni” (…) fermo restando l’inadempimento dell’appaltatore è vero che la B. nulla versò come corrispettivo e che nulla è stato richiesto per danni (ad es. per vizi) oltre alla penale (…)”. E, comunque, la ricorrente non specifica quali eventuali effetti più favorevoli avrebbe potuto conseguire con la pronuncia di risoluzione per inadempimento dell’appaltatore.

3.= La ricorrente lamenta, ancora:

a) Con il terzo motivo la violazione dell’art. 112 c.p.c. in ordine al motivo di appello concernente l’eccezione che l’impresa edile Edilnova aveva chiesto il pagamento di somme esclusivamente in base all’art. 1671 c.c. proponendo così una domanda infondata. Violazione e falsa applicazione dell’art. 1671 c.c.. Secondo la ricorrente la Corte distrettuale avrebbe omesso di dichiarare infondata la domanda dell’impresa edile Edilnova con cui ex art. 1671 c.c. aveva chiesto il pagamento delle spese sostenuto per i lavori eseguiti e per il mancato guadagno. E se ove si dovesse ritenere che, invece, la Corte avrebbe accolto la domanda con la formula rigettata ogni altra domanda, avrebbe applicato in maniera scorretta la normativa di cui all’art. 1671 c.c., perchè B. non recedette dal contratto ma ha semplicemente chiesto la risoluzione per inosservanza della diffida ad adempire.

b) Con il quarto motivo, la violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1, in relazione alla mancata persa in considerazione del fatto che B.C. aveva dato la prova di avere intimato la diffida ad adempiere che escludeva come tale, qualunque ipotesi di recesso dal contratto. Secondo la ricorrente la Corte lagunare senza tener conto della lettera di diffida e nonostante in conseguenza della diffida il contratto si era risolto automaticamente ex lege avrebbe confermato la sentenza di primo grado con la quale il tribunale aveva condannato la B. al pagamento della somma di Euro 277.417,62.

E di più, l’impresa Edilnova di M.G. non avrebbe fornito la prova dell’asserita circostanza che la committente B.C. fosse receduta dal contratto di appalto. La Corte avrebbe violato anche la normativa di cui all’art. 2697 c.c. in tema di onere della prova.

3.1. = Entrambi questi motivi che vanno esaminati congiuntamente per la loro innegabile connessione sono in fondati. Il motivo è infondato.

In liminis va qui evidenziato che la Corte di appello ha espressamente evidenziato che veniva sostanzialmente confermata la sentenza del Tribunale e pertanto, deve ritenersi che sia stata, esplicitamente, confermata anche la sentenza del Tribunale nella parte in cui condannava la B. al pagamento della somma di Euro 277.417,62 oltre interessi legali quale corrispettivo spettante all’impresa Edilnova. Pertanto, nessuna omissione di pronunciata è stata commessa dalla Corte distrettuale.

Va, altresì, evidenziato che la sentenza non contiene nessun riferimento ad un possibile recesso da parte committente, ma l’intero ragionamento della Corte distrettuale è fondato su una valutazione dell’inadempimento dell’appaltatore, ricollegando alla risoluzione il principio della reintegrazione dei patrimoni delle parti contraenti.

Infatti, corretta è, poi, la decisione relativa alla condanna della B. di corrispondere la somma di Euro 277.417,62 quale corrispettivo spettante all’impresa Edilnova per l’opera già realizzata, posto che la risoluzione del contratto di appalto comporta la reintegrazione di entrambi i patrimoni dei contraenti, salvo ovviamente il risarcimento del danno a vantaggio della parte adempiente. Va qui precisato che questa corte ritiene, condividendo un consolidato orientamento, che nel caso di risoluzione del contratto di appalto, sebbene pronunciato per colpa dell’appaltatore, non osta a che questi, in detrazione alle ragioni di danno spettanti al committente, abbia diritto al riconoscimento di compenso per le opere già effettuate, e delle quali comunque il committente stesso si sia giovato (v. Cass. 13 dicembre 1977 n. 5444).

4.= Con il quinto motivo la ricorrente lamenta vizio di ultra ed extrapetizione con violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’affermazione contenuta nella sentenza di appello secondo cui andrebbe confermata la sentenza di primo grado nel punto concernente la condanna di B.C. a pagare Euro 277.417,62 all’impresa Edile Edilnova di M.G. poichè è altresì vero che la B. nulla versò come corrispettivo e che nulla è stato chiesto per danni (ad es. per vizi). La ricorrente sostiene che la Corte di appello nel ritenere che andava confermato il riconoscimento del corrispettivo spettante ad Edilnova salvo il danno da penale sarebbe andata ultra ed extra petita perchè in causa non sarebbe stato mai fatto questione del mancato pagamento del corrispettivo da parte della B..

4.1. = Anche questo motivo è infondato per quelle stesse ragioni che sono state già indicate esaminando i motivi precedenti. Qui va e deve essere ulteriormente specificato che una volta pronunciata la risoluzione del contratto, in forza della operatività retroattiva di essa, stabilita dall’art. 1458 c.c. si verifica per ciascuno dei contraenti ed in modo avulso dall’imputabilità dell’inadempienza, rilevante ad altri fini, una totale “restitutio in integrum” e, pertanto, tutti gli effetti del contratto vengono meno e con essi tutti i diritti che ne sarebbero derivati e che si considerano come mai entrati nella sfera giuridica dei contraenti stessi. Ne consegue che nel contratto di appalto non potendo l’appaltatore trattenere l’opera realizzata avrà diritto (ai fini di riequilibrare i patrimoni dei contraenti) ad una somma pari al valore dell’opera realizzata fino al momento della risoluzione, e/o, comunque, alla parte di corrispettivo corrispondente all’opera realizzata.

5.= Con il sesto motivo la ricorrente lamenta omesso esame di un fatto deciso discusso tra le parti in relazione alla condanna di B.C. al pagamento di Euro 3.650,00 per metà delle spese giudiziali (art. 360 c.p.c., n. 5), la ricorrente sostiene che la Corte distrettuale nel confermare la condanna di B.C. al pagamento delle metà delle spese giudiziali non avrebbe tenuto conto che l’impresa Edilnova era rimasto soccombente sia per quanto riguarda la domanda di attribuzione degli immobili in diretta proprietà ex art. 2932 c.c. sia con riguardo alla risoluzione del contratto di appalto.

5.1. = Il motivo è inammissibile perchè non coglie l’effettiva ratio decidendi, posto che la sentenza ha riconfermato la condanna di B. alla meta delle spese giudiziali relative al primo grado del giudizio, sia perchè sostanzialmente veniva riconfermata la sentenza di primo grado e sia e/o, soprattutto, perchè l’impugnativa dell’appellante principale ( B.C.) sul capo delle spese era stata subordinata al rigetto del suo gravame, condizione che non si è verificata. Senza dire, comunque, che l’impresa Edilnova in primo grado non è risultata totalmente soccombente, posto che il Tribunale ha condannato la B. al pagamento della somma di Euro 277.417,62, accogliendo la relativa domanda formulata con l’atto di citazione sia pure in via subordinata.

6.= Con il settimo motivo la ricorrente denuncia l’omessa pronuncia sulla domanda dell’appellante principale B.C. concernente il risarcimento dei danni e conseguente violazione dell’art. 112 c.p.c.. Secondo la ricorrente, la Corte distrettuale avrebbe omesso la pronuncia sulla domanda della B. al risarcimento dei danni conseguenti all’inadempimento del contratto d’appalto nella misura di Euro 38.165,00 con gli interessi legali e la rivalutazione.

6.1. = Il motivo è inammissibile.

Questa Corte ha affermato che, affinchè possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronunzia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., è necessario, da un lato, che al giudice del merito siano state rivolte una domanda od un’eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente ed inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronunzia si sia resa necessaria ed ineludibile, e, dall’altro, che tali istanze siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente, ovvero, per riassunto del loro contenuto, nel ricorso per cassazione, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, in primis, la ritualità e la tempestività ed, in secondo luogo, la decisività delle questioni prospettatevi. Ove, infatti, si deduca la violazione, nel giudizio di merito, del citato art. 112 c.p.c., riconducibile alla prospettazione di un’ipotesi di error in procedendo per il quale la Corte di cassazione è giudice anche del “fatto processuale”, detto vizio, non essendo rilevabile d’ufficio, comporta pur sempre che il potere-dovere del giudice di legittimità di esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato, a pena di inammissibilità, all’adempimento da parte del ricorrente per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione che non consente, tra l’altro, il rinvio per relationem agli atti della fase di merito, dell’onere di indicarli compiutamente, non essendo legittimato il suddetto giudice a procedere ad una loro autonoma ricerca, ma solo ad una verifica degli stessi (Cass. 19 marzo 2007 n. 6361; Cass. 14 ottobre 2010 n. 21226).

Nella specie, la questione di cui al motivo in esame non risulta in alcun modo trattata nella sentenza impugnata. Il ricorrente, nell’affermare che in sede di appello aveva censurato il rigetto “sic et simpliciter” della domanda di cui trattasi, non riporta, in violazione del principio di specificità ed autosufficienza del ricorso per cassazione, in quali termini tutto ciò è avvenuto, limitandosi ad affermare genericamente che la doglianza era stata segnalata anche in grado di appello, senza però indicare i motivi per i quali il giudice di primo grado aveva rigettato la domanda e le censure al riguardo proposte, che il giudice d’appello ha tutto omesso di prendere in considerazione.

In definitiva, il ricorso va rigettato e la ricorrente in ragione del principio di soccombenza ex art. 91 c.p.c. condannata a rimborsare parte controricorrente delle spese del presente giudizio di cassazione che vengono liquidate con il dispositivo. Il Collegio da atto che, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare a parte controricorrente le spese del presente giudizio di cassazione che liquida in Euro 10.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese genarali pari al 15% del compenso ed accessori come per legge, dà atto che, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater sussistono i presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Sesta Civile – 2 di questa Corte di Cassazione, il 23 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 16 maggio 2017

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