Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12186 del 07/05/2021

Cassazione civile sez. III, 07/05/2021, (ud. 16/12/2020, dep. 07/05/2021), n.12186

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35377/2019 proposto da:

N.M., domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato NUNZIA LUCIA MESSINA.

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– resistente –

avverso la sentenza n. 2081/2019 della CORTE DI APPELLO DI CATANIA,

depositata il 30/09/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

16/12/2020 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. – Con ricorso affidato a sei motivi, N.M., cittadino (OMISSIS), ha impugnato la sentenza della Corte di Appello di Catania, resa pubblica il 30 settembre 2019, che ne rigettava il gravame avverso la decisione di primo grado del Tribunale della medesima Città, che, a sua volta, ne aveva respinto l’opposizione avverso il diniego della competente Commissione territoriale del riconoscimento, in via gradata, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria.

2. – La Corte territoriale, per quanto in questa sede ancora rileva, osservava che: a) il racconto del richiedente (aver lasciato il Paese di origine per timore delle conseguenze di una grave lite insorta tra il padre e il precedente proprietario di un terreno venduto al padre, avendo aggredito uno dei figli di quest’ultimo dopo l’aggressione subita dai propri familiari) non era credibile e, in ogni caso, la stessa “difesa dell’appellante insiste in sede di gravame soltanto per la concessione della protezione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c)”; b) non sussistevano i presupposti per il riconoscimento della protezione di cui alla citata lett. c), in quanto, dalle esaminate COI (Amnesty International 2017/2018, UNHCR 2016) nella zona dell’Edo State, di provenienza del richiedente, non risultava esservi una situazione di conflitto armato generalizzato e di violenza indiscriminata nei confronti della popolazione civile; c) non sussistevano i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, non essendovi nel Paese di origine (ove il richiedente aveva ancora la propria famiglia) una situazione di compromissione del nucleo fondamentale dei diritti umani e non essendo desumibile il necessario grado di integrazione sociale dalla sola effettuazione di prestazioni lavorative come bracciante agricolo e manovale ed avendo la possibilità di reperire in Nigeria una “attività lavorativa assimilabile”.

3. – L’intimato Ministero dell’interno non ha svolto attività difensiva, essendosi limitato al deposito “atto di costituzione” al fine di eventuale partecipazione ad udienza di discussione.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. – Con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 9, per aver la Corte territoriale valutato, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la situazione della Nigeria in base a “generiche informazioni assunte nella zona del nord est del paese, senza impegnarsi ad indagare sulla zona Sud della Nigeria”.

2. – Con il secondo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e della direttiva 83/2004, per aver la Corte territoriale ritenuto non credibili le dichiarazioni di esso richiedente senza procedere alla necessaria procedimentalizzazione richiesta dalla legge.

3. – Con il terzo mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità del decreto (recte: sentenza) per motivazione apparente, non avendo la Corte reso comprensibile il suo ragionamento là dove ha ritenuto che la vicenda narrata fosse di natura privata e che le dichiarazioni reso fossero generiche e inverosimili.

4. – Con il quarto mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, per non aver la Corte territoriale valutato “l’indice di integrazione sociale e lavorativa raggiunto dal richiedente in Italia”.

5. – Con il quinto mezzo è dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il “mancato esame della situazione socio politica in Libia, quale paese di provenienza”.

6. – Con il sesto mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, per aver la Corte territoriale erroneamente escluso che in Nigeria non sussista una situazione di violazione dei diritti umani tale da impedire il rimpatrio di esso richiedente.

7. – Il primo motivo è inammissibile.

In tema di protezione internazionale, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, non può procedersi alla mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva del Paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal giudice, sia pure sulla base del riferimento a fonti internazionali alternative o successive a quelle utilizzate dal giudice e risultanti dal provvedimento decisorio, ma occorre che la censura dia atto in modo specifico degli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, dovendo la censura contenere precisi richiami, anche testuali, alle fonti alternative o successive proposte, in modo da consentire alla S.C. l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria (Cass. n. 26728/2019).

La Corte territoriale ha dato atto – in base a COI, specificamente indicate, del 2016/2018 (cfr. p. 5 sentenza di appello e sintesi nel “Rilevato che”) – della non ricorrenza dei presupposti della lett. c) del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, nella zona di provenienza del richiedente (Edo State), sita al sud della Nigeria, mentre il ricorrente ha soltanto genericamente contestato la motivazione anzidetta, senza porre in rilievo l’esistenza di fonti ancora più aggiornate ed anzi rivalutando quelle stesse (rapporto Amnesty International) già considerate dal giudice del merito, così una doglianza che ne investe direttamente (e inammissibilmente) l’apprezzamento di fatto.

8. – Il secondo e il terzo motivo sono inammissibili.

Con essi si censura la motivazione della Corte territoriale in punto di ritenuta non credibilità della narrazione e della esclusione dei presupposti per la protezione sussidiaria di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), la quale, tuttavia, è resa soltanto ad abundamtiam, giacchè la ratio decidendi che autonomamente sorregge la decisione – ossia che l’appello non verteva su tale forma di protezione, ma solo su quella di cui alla lett. c) (cfr. p. 4 della sentenza impugnata) – non è stata affatto denunciata, nè il ricorrente dà comunque contezza (nel rispetto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6) di aver proposto, in sede di gravame, pertinente censura avverso le altre forme di protezione internazionale.

9. – Il quinto motivo (da scrutinarsi prima dei restanti quarto e sesto mezzo) è inammissibile.

Il ricorrente, infatti, manca di evidenziare quale specifica connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda (Cass. n. 31676/2018), posto che del contenuto specifico di questa neppure si dà idonea contezza, limitandosi il ricorso ad un generico riferimento alla situazione di conflitto e violazione dei diritti umani presente in Libia, ma senza fornire allegazioni specifiche sul vissuto personale, siccome già tempestivamente allegate in sede di merito.

10. – Il quarto ed il sesto motivo, da esaminarsi congiuntamente in quanto connessi, sono inammissibili.

Con essi sono svolte censure affatto generiche che non aggrediscono direttamente la motivazione resa dalla Corte territoriale (cfr. sintesi nel “Rilevato che” e p. 6 sentenza di appello), nè danno conto delle deduzioni che lo stesso richiedente aveva veicolato in sede di gravame al fine di dare evidenza ai fatti pertinenti al riconoscimento della protezione umanitaria richiesta.

11. – Ne consegue l’inammissibilità del ricorso.

Non occorre provvedere alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità in assenza di attività difensiva della parte intimata.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 16 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2021

 

 

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