Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12185 del 14/06/2016

Cassazione civile sez. VI, 14/06/2016, (ud. 14/04/2016, dep. 14/06/2016), n.12185

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5356-2012 proposto da:

B.F., personalmente e quale titolare dell’omonima

ditta B.F. & C. Snc, B.M.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE BRUNO BUOZZI, 99, presso

lo studio dell’avvocato STEFANIA RINALDI, rappresentati e difesi

dall’avvocato LUIGI SANTARELLI giusta delega speciale a margine del

ricorso;

– ricorrenti –

contro

INTERBRENNERO – INTERPORTO SERVIZI DOGANALI & INTERMODALI

DEL

BRENNERO SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore e

Presidente, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DI VILLA

GRAZIOLI 15, presso lo studio dell’avvocato BENEDETTO GARGANI, che

la rappresenta e difende unitamente agli avvocati FABRIZIO

VAGNERINI, ALDO BEVILACQUA giusta procura speciale a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 598/2011 del TRIBUNALE di TRENTO del

21/06/2011, depositata P11/07/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/04/2016 dal Consigliere Relatore Dott. RAFFAELE FRASCA;

udito l’Avvocato Roberto Catalano (delega avvocato Bebedetto

Gargani) difensore della controricorrente che si riporta agli

scritti e chiede il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. B.F., “personalmente e quale titolare dell’omonima ditta B.F. & C. s.n.c.”, nonchè B. M. hanno proposto ricorso per cassazione contro la s.p.a.

Interbrennero-Intertrasporti Servizi Doganali e Intermodali del Brennero ed avverso la sentenza dell’Il luglio 2011, con cui il Tribunale di Trento ha rigettato l’appello proposto da essi ricorrenti contro la sentenza con cui il Giudice di Pace di Trento che aveva rigettato l’opposizione da loro proposta avverso il decreto ingiuntivo n. 522 del 2008 emesso per la somma di Euro 511,75 corrisposte dalla s.p.a. per le spese di prenotazione di una procedura di intavolazione di ipoteca sulla base di un precedente decreto ingiuntivo ottenuto nei confronti dei qui ricorrenti, decreto che non era stato eseguito perchè gli ingiunti avevano pagato.

2. Al ricorso ha resistito con controricorso l’intimata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. In via preliminare dovrebbe rilevarsi che il ricorso, in quanto proposto da B.M., si dovrebbe dichiarare inammissibile perchè il medesimo non risulta aver rilasciato procura speciale al difensore che ha redatto l’atto, Avvocato Luigi Santarelli.

Tuttavia, ritiene il Collegio che, ancorchè formalmente nell’intestazione il ricorso risulti proposto anche dal medesimo, la circostanza che esso rechi una relazione di notificazione anche nei suoi confronti elide il valore di indicazione dello stesso come parte, sicchè deve reputarsi che egli non abbia in realtà proposto il ricorso.

2. Non è fondata l’eccezione di difetto di procura, proposta dalla resistente per quanto attiene alla s.n.c. E’ vero che la procura a margine della prima pagina del ricorso risulta sottoscritta da B.F. solo dopo l’indicazione a stampa del proprio nome, mentre non risulta sottoscritta sempre da lui, nella qualità di legale rappresentante, dopo l’indicazione sempre a stampa della denominazione della società. L’unica sottoscrizione risulta così apposta al di sotto della indicazione a stampa del nome del sottoscrittore e al di sopra di quella a stampa relativa alla denominazione della società.

Nel caso di specie, la coincidenza nella stessa persona del soggetto agente in proprio e nella qualità di legale rappresentante, peraltro di una società di persone, giustifica la conclusione, conforme al principio della idoneità al raggiungimento dello scopo (art. 156 c.p.c., comma 3), che l’unica sottoscrizione sia stata apposta dal B.F. tanto nell’una che nell’altra qualità del suo autore. Tale conclusione è ulteriormente confortata dal rilievo che il conferimento della procura è avvenuto a margine della prima pagina del ricorso e immediatamente di fianco all’intestazione del ricorso, che indica come proponente il B.F. nella doppia qualità di cui si è detto, sicchè è del tutto ragionevole che egli nell’apporre la sottoscrizione sia stato pienamente consapevole di farlo in quella duplice veste.

Il principio di diritto che si può enunciare è il seguente:

“qualora il ricorso per cassazione sia proposto da una persona fisica sia in proprio sia nella qualità di legale rappresentante di una società, nella specie di persone, la sottoscrizione della procura apposta a margine da parte della persona fisica, pur formalmente effettuata dopo l’indicazione a stampa delle sue generalità e prima dell’indicazione della denominazione della società, è da reputare effettuata da detta persona nella duplice qualità e, quindi, anche in quella di legale rappresentante della società.”. Si vedano per fattispecie similari Cass. n. 7002 del 2000 e Cass. n. 15696 del 2002.

p. 1. Con il primo motivo di ricorso si deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 339 c.p.c.”.

Il motivo esordisce nella sua illustrazione con l’asserto che “la sentenza impugnata viola e/o applica erroneamente le disposizioni di cui all’art. 339 c.p.c. quando afferma e ritiene che i motivi di gravame non contengono la specifica enucleazione del principio regolatore della materia” e ciò in primo luogo perchè, per i motivi di appello attinenti alla violazione di norme procedurali cioè quelli relativi alla sussistenza della competenza del giudice dell’esecuzione in ordine alle spese di prenotazione dell’intavolazione, quelle concernenti la prova scritta del credito in sede ingiuntiva e la condanna ai sensi dell’art. 96 c.p.c. –

avrebbe erroneamente ritenuto operante la logica dei principi informatori della materia, in secondo luogo “perchè su ogni punto l’appello” aveva “dedotto la norma violata e il principio di diritto che ne stava alla base”.

p. 1.1. Il motivo – che avrebbe dovuto dedursi ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 – è inammissibile perchè non individua in alcun modo la motivazione con cui la sentenza impugnata avrebbe commesso la denunciata violazione, demandando in conseguenza alla Corte di cercare nella sentenza impugnata quella sua parte che potrebbe corrispondere a quanto il motivo denuncia. Poichè la struttura del motivo di ricorso per cassazione, anche allorquando riguardi la violazione di una norma del procedimento ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 e concerna un vizio che ad avviso del ricorrente riveli la motivazione della sentenza impugnata, si concreta in una critica di tale motivazione, è palese che la sua compiuta articolazione deve individuare tale motivazione. Viceversa, nella specie si è detto del tutto genericamente che la sentenza avrebbe ritenuto che i motivi di gravame non contenevano l’indicazione del principio regolatore della materia, ma senza indicare la relativa motivazione nè riproducendola direttamene nè riproducendola indirettamente ed indicando la parte di essa oggetto di indiretta riproduzione.

Sicchè, come si è detto, dovrebbe questa Corte ricercarla. Ne segue che il motivo difetta del contenuto idoneo al raggiungimento dello scopo suo proprio.

p. 1.2. Peraltro, se si superasse il rilievo ora svolto e si procedesse alla ricerca della motivazione cui il ricorso intenderebbe fare riferimento, si dovrebbe rilevare che nella sentenza non v’è alcuna affermazione che l’indicazione dei principi regolatori dovesse riguardare tutti i motivi di appello e, quindi, anche quelli relativi a violazione di norme del procedimento, ma ha affermato tutt’altro.

La motivazione, infatti, così si esprime: “Come correttamente osservato dalla società appellata, avverso le sentenze del Giudice di pace pronunciate secondo equità ai sensi dell’art. 113 c.p.c., comma 2 (quale quello in esame, atteso il valore della controversia), l’appello può essere proposto esclusivamente per violazione delle norme sul procedimento, per violazione di norme costituzionali o comunitarie ovvero per violazione dei principi regolatori della materia. Pertanto ogni singolo motivo di impugnazione avrebbe dovuto essere proposto dagli appellanti con specifica enunciazione del principio che regolava la singola questione giuridica e la indicazione della violazione effettuata dal Giudice di Pace. La lettura dell’atto di appello rende evidente che le censure mosse contro l’impugnata sentenza costituiscono censure di merito senza specifica argomentazione delle questioni sopra indicate. Tali considerazioni valgono anche con riguardo all’individuazione della competenza del Giudice di Pace; non viene dedotta infatti la violazione delle norme che regolano lo svolgimento del processo, bensì una errata interpretazione delle norme in materia di competenza funzionale.”.

In pratica il giudice d’appello, con l’ora riprodotta motivazione ha detto inammissibile l’appello per difetto di specificità delle argomentazioni poste a suo fondamento nella logica dell’appello contro le sentenze equitative del giudice di pace, tant’è che ha poi proceduto, come emerge dalla parte finale della motivazione sopra riportata, allo scrutinio dei motivi di appello, premettendo immediatamente dopo la seguente affermazione: “In ogni caso, anche a voler individuare dalla lettura complessiva dell’atto di appello i principi che regolano le fattispecie dedotte in giudizio, deve essere rilevata la infondatezza delle doglianze proposte dagli appellati”.

Il Tribunale ha, in sostanza, pur senza evocarlo, applicato l’art. 342 c.p.c., altrimenti non si spiegherebbe la declaratoria di inammissibilità dell’appello.

Comunque la motivazione è chiaramente da intendersi nel senso di quell’ applicazione.

In nessun modo nella motivazione che si è riportata si legge l’affermazione che i principi regolatori verrebbero in rilievo anche per i vizi di violazione di norme del procedimento.

Essa si coglie solo dopo, cioè allorquando il Tribunale procede allo scrutinio dei motivi successivamente alla motivazione con cui ha ritenuto i motivi privi di specificità. E, peraltro, si rinviene esclusivamente per l’argomentazione svolta sulla questione di competenza e non anche su quella relativa alla documentazione ed alla sussistenza dei presupposti di cui all’art. 633 c.p.c. e su quella relativa alla questione dell’art. 96 c.p.c..

Il primo motivo dovrebbe, dunque, dichiararsi comunque inammissibile perchè impugna una motivazione inesistente e diversa da quella effettivamente resa dal Tribunale. Di modo che verrebbe comunque in rilievo il seguente principio di diritto: “Il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4″ (Cass. n. 359 del 2005, seguita numerosissime conformi).

2. Con un secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, “violazione e falsa applicazione dell’art. 2304 c.c. e insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio”.

Con il terzo motivo si prospetta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 “violazione e falsa applicazione dell’art. 633 e 634 c.p.c.”.

Con un quarto “violazione e falsa applicazione dell’art. 96 c.p.c. e omessa e insufficiente motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio”.

p. 2.1. I motivi sono inammissibili.

Essi impugnano, peraltro sempre senza individuare la motivazione con cui le violazioni sarebbero state commesse (salvo l’ultimo motivo, che riproduce una espressione della motivazione), le rationes decidendi espresse dal Tribunale dopo aver detto l’appello privo di specificità, per come s’è già rilevato, sul motivo di appello concernente la violazione del beneficum excussionis, su quello relativo agli art. 633 e 634 c.p.c. e su quello relativo alla violazione dell’art. 96 c.p.c..

Tutte tali rationes decidendi sono state enunciate dal Tribunale ad abundantiam dopo l’affermazione di mancanza di specificità dei motivi e, quindi, di inammissibilità dell’appello.

Si tratta di affermazioni che il Tribunale ha fatto in asserita carenza di potestas iudicandi, perchè l’espresso convincimento dell’aspecificità dell’appello gli impediva di esaminare i motivi.

Poichè l’affermazione decisiva di aspecificità dei motivi non è stata censurata dal ricorso, essa si è consolidata e tanto rende impossibile e preclude l’esame dei detti motivi, perchè si è formata cosa giudicata sull’inammissibilità dell’appello.

Va detto anzi che, se il ricorso avesse impugnato, come non ha fatto, la ratio decidendi sulla mancanza di specificità dell’appello, la motivazione resa sulle questioni di cui ai motivi in esame non sarebbe stata nemmeno impugnabile (si veda Cass. sez. un. n. 3840 del 2007, al cui principio di diritto si dee rinviare).

3. Il ricorso di B.F. e della s.n.c. dev’essere, dunque, dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza nel rapporto fra dette parti e la resistente e si liquidano in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014.

Il rapporto processuale fra B.M. e la resistente, se il ricorso si intendesse proposto anche dal medesimo, andrebbe, in realtà, riferito dal lato del ricorrente all’Avvocato Luigi Santarelli, onde la condanna alle spese dovrebbe essere pronunciata nei suoi confronti.

Ciò alla stregua del principio di diritto secondo cui “In materia di disciplina delle spese processuali, nel caso di azione o di impugnazione promossa dal difensore senza effettivo conferimento della procura da parte del soggetto nel cui nome egli dichiari di agire nel giudizio o nella fase di giudizio di che trattasi (come nel caso di inesistenza della procura ad litem o falsa o rilasciata da soggetto diverso da quello dichiaratamente rappresentato o per processi o fasi di processo diverse da quello per il quale l’atto è speso), l’attività del difensore non riverbera alcun effetto sulla parte e resta attività processuale di cui il legale assume esclusivamente la responsabilità e, conseguentemente, è ammissibile la sua condanna a pagare le spese del giudizio; diversamente, invece, nel caso di invalidità o sopravvenuta inefficacia della procura ad litem, non è ammissibile la condanna del difensore alle spese del giudizio, in quanto l’attività processuale è provvisoriamente efficace e la procura, benchè sia nulla o invalida, è tuttavia idonea a determinare l’instaurazione di un rapporto processuale con la parte rappresentata, che assume la veste di potenziale destinataria delle situazioni derivanti dal processo.” (Cass. sez. un. n. 10076 del 2006).

S’è detto, tuttavia, che il B.M. non può essere considerato parte proponente il ricorso e, dunque, non si deve far luogo a tale conseguenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna B. F. e la società ricorrente alla rifusione alla resistente delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro millecento, di cui duecento per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 32, il 14 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2016

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