Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12184 del 08/05/2019

Cassazione civile sez. I, 08/05/2019, (ud. 27/02/2019, dep. 08/05/2019), n.12184

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11238/2018 proposto da:

M.J., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Natale Luigi, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di NAPOLI, del 09/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/02/2019 dal Cons. Dott. FIDANZIA ANDREA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Napoli, con decreto depositato il 9 marzo 2018, ha rigettato la domanda di M.J., cittadino della Nigeria, volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale o, in subordine, della protezione umanitaria.

E’ stato, in primo luogo, ritenuto che difettassero i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, sul rilievo che le dichiarazioni del ricorrente non erano credibili e comunque la lamentata minaccia alla sua incolumità proveniva da soggetti non statali. Inoltre, con riferimento alla richiesta di protezione sussidiaria, è stata evidenziata dal Tribunale l’insussistenza del pericolo del ricorrente di essere esposto a grave danno in caso di ritorno nel paese d’origine, atteso che la violenza alimentata da motivi religiosi, sfociata in un vero e proprio conflitto armato, non interessava l’area di provenienza del ricorrente (Delta State), ma aree diverse della Nigeria.

Infine, il ricorrente non era comunque meritevole del permesso per motivi umanitari, non rientrando nelle categorie di soggetti vulnerabili.

Ha proposto ricorso per cassazione M.J. affidandolo a cinque motivi. Il Ministero dell’Interno si è costituito in giudizio con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, per omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti.

Lamenta il ricorrente che la ricostruzione dei fatti operata dal Tribunale, verosimilmente per un refuso, era completamente diversa da quella dallo stesso fornita.

Contesta le dichiarazioni che, secondo il Tribunale, lo stesso avrebbe reso innanzi alla Commissione Territoriale, essendo, infatti, nato e vissuto nello stato di Bayelsa della Nigeria – e non nel Delta State – non aveva mai frequentato l’Università, non era fuggito perchè minacciato da membri della setta segreta Eyes, ma per le aggressioni e ulteriori minacce della banda di criminali detta “(OMISSIS)”.

2. Il motivo è inammissibile per genericità.

Il ricorrente ha riportato nel ricorso per cassazione il contenuto integrale del verbale della sua audizione innanzi alla Commissione territoriale, ma non ha neppure dedotto di aver riportato tali circostanze nel ricorso innanzi al Tribunale di Napoli, non indicando quindi nè il luogo nè il modo di deduzione in primo grado dei fatti il cui esame ritiene omesso, essendosi limitato genericamente ad affermare di aver dedotto nel ricorso presentato al giudice di merito di essere stato “minacciato e malmenato da una banda di criminali”, senza fornire nessun altro dettaglio attinente alla sua vicenda personale.

Il ricorso difetta quindi, sul punto, del requisito della necessaria autosufficienza e specificità.

3. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 27, commi 1 e 1 bis.

Lamenta il ricorrente che il decreto si è soffermato su alcune imprecisioni del suo racconto senza considerare le difficili condizioni personali in cui lo stesso si trovava e senza escludere la sostanziale verità del fatto raccontato, non valutando quindi la sostanziale coerenza e plausibilità della narrazione.

Lamenta, inoltre, che non è stato attivato il potere istruttorio officioso ai fini della valutazione della credibilità del suo racconto.

4. Il motivo è inammissibile per genericità.

Nel presente motivo il ricorrente non ha indicato alcun elemento concreto attinente alla vicenda processuale che lo riguarda, di talchè le sue deduzioni avrebbero potute essere svolte con riferimento ad un qualunque procedimento. Si tratta per lo più di osservazioni generiche in ordine ai criteri di valutazione che devono seguirsi nei procedimenti di protezione internazionale.

5. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 7, 8 e 11 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2.

Lamenta il ricorrente che il Tribunale ha errato nel ritenere insussistenti i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, atteso che, in caso di rimpatrio nel paese d’origine, vi è il fondato timore che possa subire atti di persecuzione sufficientemente gravi, tali da rappresentare una grave violazione di diritti umani fondamentali.

In particolare, il ricorrente rischia di subire atti di violenza in relazione ai quali i soggetti statuali non sono in grado di fornire protezione.

6. Il motivo è inammissibile.

Anche tale motivo è palesemente generico, non avendo il ricorrente parimenti indicato alcun elemento concreto attinente alla vicenda processuale che lo riguarda.

7. Con il quarto motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a) e art. 14, lett. c) e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3.

Lamenta il ricorrente che il Tribunale ha errato nel ritenere insussistenti i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria.

Rileva che il giudice di primo grado non ha acquisito le necessarie informazioni in ordine alla situazione socio-politica della regione di provenienza del ricorrente, limitandosi a far riferimento a rapporti datati, atteso che da siti affidabili, quali quello del Ministero degli Esteri ed Amnesty International, emergerebbe una situazione di conflitto all’interno del paese con continui episodi di violenza ad opera di gruppi armati. Sul punto, cita un rapporto di Amnesty International del 2017-2018 sul gruppo armato di Boko Haram ed episodi di uccisioni illegali, tortura e maltrattamenti e altre violazioni di diritti umani in varie regioni del paese.

A fronte di una situazione di violenza indiscriminata in diverse regioni della Nigeria, è mancato un esame rigoroso dell’intervento delle autorità statali sulle situazioni di violenza diffusa.

8. Il motivo è inammissibile.

Il giudice di merito ha ben evidenziato che la violenza interreligiosa della setta islamista Boko Haram non è estesa a tutto il territorio nigeriano, interessando specificamente la zona nord, che dista oltre 400 km dal luogo di provenienza del ricorrente.

Il ricorrente, nel riportare le informazioni tratte dai recenti rapporti di Amnesty International – senza neppure allegare, peraltro, di averle sottoposte all’esame del Tribunale – ha fornito dati che non si riferiscono alla zona di provenienza del ricorrente (in particolare, nè allo stato del Delta State, ritenuto dal Tribunale, nè a quello del Bayelsa, indicato nel presente ricorso), di talchè il ricorso si appalesa aspecifico.

In ogni caso,il Tribunale ha accertato – mediante il ricorso a diverse fonti internazionali aggiornate – la insussistenza di una situazione di violenza indiscriminata nello Stato di provenienza del ricorrente (Nigeria), ed il mezzo di impugnazione si limita a fornire una diversa lettura dei fatti, traducendosi sostanzialmente in una inammissibile rivisitazione del merito (Cass. 8758/2017).

9. Con il quinto motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 8, comma 3 ed al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a) e art. 14, lett. c) e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3.

Lamenta il ricorrente che il Tribunale ha errato nel ritenere insussistenti i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria.

Rileva il ricorrente che l’attuale condizione socio-politico-economica della Nigeria giustifica il rilascio del permesso per ragioni umanitarie.

10. Il motivo è infondato ai limiti dell’inammissibilità.

Va preliminarmente osservato che sebbene con l’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, sia stato soppresso l’istituto della protezione umanitaria, questa Sezione, con sentenza n. 4890/2019, nell’ambito del ricorso deciso all’udienza del 23 gennaio 2019 ed iscritto al n. R.G. 19651/2018 (Bandia Aliou c. Ministero dell’Interno) ha già elaborato il seguente principio di diritto: “La normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina del permesso di soggiorno per motivi umanitari dettata dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e dalle altre disposizioni consequenziali, sostituendola con la previsione di casi speciali di permessi di soggiorno, non trova applicazione in relazione alle domande di riconoscimento di un permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5/10/2018) della nuova legge, le quali saranno pertanto scrutinate sulla base della normativa esistente al momento della loro presentazione…”.

Ne consegue che questo Collegio, condividendo il principio di diritto sopra riportato, provvederà anche all’esame di questa domanda.

Orbene, il ricorrente non ha allegato alcuna specifica condizione di vulnerabilità tale da giustificare la concessione del permesso per motivi umanitari, facendo riferimento in modo assai generico a situazioni di torture, trattamenti inumani e violazioni di diritti umani, ma senza contestualizzarli nella sua regione di provenienza (vi è il richiamo generico al territorio nigeriano) e senza comunque correlarli alla sua vicenda personale.

In proposito, questa Corte ha già affermato che, ai fini di valutare se il richiedente abbia subito nel paese d’origine una effettiva e significativa compromissione dei diritti fondamentali inviolabili, si deve partire sì dalla situazione oggettiva del paese d’origine, ma necessariamente correlata alla condizione personale che ha determinato la ragione della partenza. Infatti, ove si prescindesse dalla vicenda personale del richiedente, si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti, e ciò in contrasto con il parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (in questi termini sez. 1 n. 4455 del 23/02/2018).

Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, essendosi il Ministero dell’Interno costituito in giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 2.100,00, oltre S.P.A.D..

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 27 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 maggio 2019

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