Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12181 del 07/05/2021

Cassazione civile sez. VI, 07/05/2021, (ud. 23/03/2021, dep. 07/05/2021), n.12181

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12230-2020 proposto da:

I.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CHISIMAIO, 29,

presso lo studio dell’avvocato MARILENA CARDONE, che lo rappresenta

e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– resistente –

contro

COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE

INTERNAZIONALE DI ANCONA;

– intimata –

avverso il decreto n. cronol. 2638/2020 del TRIBUNALE di ANCONA,

depositato il 03/03/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di Consiglio non

partecipata del 23/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. TRICOMI

LAURA.

 

Fatto

RITENUTO

che:

I.R., nato in Bangladesh, impugnava la decisione della Commissione Territoriale, con cui era stata respinta la sua domanda di protezione internazionale e di permesso di soggiorno per ragioni umanitarie.

Con il decreto in epigrafe indicato, il Tribunale di Ancona ha rigettato il ricorso avverso tale decisione.

Il ricorrente aveva riferito di essere fuggito dal proprio Paese per sfuggire alla povertà in quanto con il proprio lavoro non riusciva a mantenersi.

Il Tribunale ha ritenuto che il racconto, pur credibile, rimaneva confinato in una vicenda privata. Esaminata la situazione sociopolitica del Bangladesh, alla stregua delle fonti internazionali aggiornate, ha escluso i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria; ha escluso anche la ricorrenza di condizioni particolari di vulnerabilità e di integrazione sociale in Italia, rilevanti per il riconoscimento della protezione umanitaria.

Il richiedente propone ricorso per cassazione con tre mezzi. Il Ministero dell’Interno ha depositati mero atto di costituzione.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo si denuncia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 4 e art. 7, in relazione all’omessa applicazione del principio di verosimiglianza delle dichiarazioni rese dal richiedente.

Il ricorrente si duole che non sia stata adeguatamente considerata la condizione di emarginazione in cui viveva in patria, in ragione della sua appartenenza alla minoranza bede (o beday/bedey), sulla cui condizione il Tribunale non aveva indagato, nonostante da ciò potesse desumersi una situazione di particolare vulnerabilità personale che, stante la ravvisata integrazione in Italia, avrebbe potuto condurre al riconoscimento di una forma di protezione.

Il motivo è inammissibile.

Contrariamente a quanto assume il ricorrente, il Tribunale si è soffermato sull’appartenenza del ricorrente alla minoranza bede, popolo nomade con tradizioni in parte inconciliabili con la cultura dominante bengalese-musulmana, e ne ha ripercorso le condizioni di vita alla luce del Report Easo, dicembre 2017, osservando che non erano segnalate discriminazioni in base alla legge oppure molestie e violazioni dei diritti nella pratica nei loro confronti, per cui ha escluso la loro esposizione ad una particolare vulnerabilità.

Inoltre, va osservato che il ricorrente non risulta avere dedotto, alla stregua del ricorso e del decreto e come era suo onere, specifiche circostanze espressive di una personale e individuale vulnerabilità connessa all’appartenenza al detto gruppo etnico.

L’accertamento circa l’esistenza della condizione di vulnerabilità costituisce apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito (cfr., ex multis, Cass. n. 6191 del 2020, in motivazione; Cass. n. 32064 del 2018; Cass. n. 30105 del 2018), salvo il rilievo che possano assumere i vizi motivazionali, vizi che nella specie non sono stati denunciati.

La doglianza si traduce, quindi, in una impropria sollecitazione del riesame del merito, tanto più che nel caso la motivazione senz’altro possiede i requisiti del minimo costituzionale ed il ricorrente non ha indicato alcun fatto di cui sia stato omesso l’esame, di guisa che la censura non risponde nemmeno al modello legale del vizio motivazionale (Cass. n. 27503 del 30/10/2018; Cass. n. 3340 del 05/02/2019).

2.1. Con il secondo motivo si denuncia la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, lamentando l’inosservanza dell’obbligo di cooperazione istruttoria sia in ordine all’accertamento della situazione oggettiva relativa al Paese di origine, ben più grave di quanto ritenuto dal Tribunale, sia quanto alla verifica delle condizioni per il riconoscimento del permesso per ragioni umanitarie.

2.2. Con il terzo motivo si denuncia la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, nella formulazione anteriore alle modifiche introdotte dal D.L. n. 118 del 2018, in riferimento al denegato permesso per ragioni umanitarie.

2.3. I motivi secondo e terzo possono essere trattati congiuntamente, perchè strettamente avvinti.

Vanno dichiarati entrambi inammissibili.

La doglianza risulta essere assolutamente generica (Cass. n. 5001 del 2/3/2018; Cass. n. 24298 del 29/11/2016): quanto alla mancata attivazione dei poteri officiosi del giudice investito della domanda di protezione e, per conseguenza, risulta priva di decisività, non solo perchè l’approfondimento istruttorio circa le condizioni sociopolitiche del Bangladesh e le condizioni di vita del popolo bede vi è in realtà stato, ma anche perchè non viene indicato quali siano le informazioni che, in concreto, avrebbero potuto determinare l’accoglimento del ricorso (in tema, Cass. n. 2119 del 24/1/2019), nè viene illustrato in che modo il richiedente avesse tempestivamente dedotto davanti al giudice di merito la sussistenza di elementi particolari, rilevanti per il riconoscimento della protezione sussidiaria ex art. 14, lett. c), cit., ovvero ai fini del riconoscimento del permesso di soggiorno umanitario (cfr. Cass. n. 4455 del 23/2/2018).

Invero, entrambe le censure configurano una pura e semplice critica di merito riguardante l’accertamento in fatto della insussistenza dei presupposti richiesti ed un’impropria sollecitazione al riesame.

Infine, nessun decisivo rilievo assume, ai fini della corretta applicazione delle norme di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 2, l’allegata integrazione socio-lavorativa asseritamente raggiunta in Italia dal richiedente, posto che il Tribunale, cui compete l’accertamento in fatto, ha escluso che gli elementi offerti a sostegno di tale prospettazione fossero sufficienti e la statuizione non è stata impugnata sul piano motivazionale ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

3. In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.

Non si provvede sulle spese, in assenza di attività difensiva del resistente.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. S.U. n. 23535 del 20/9/2019).

PQM

– Dichiara inammissibile il ricorso;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 23 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2021

 

 

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