Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1218 del 21/01/2021

Cassazione civile sez. trib., 21/01/2021, (ud. 03/11/2020, dep. 21/01/2021), n.1218

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Presidente –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – rel. Consigliere –

Dott. CATALOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. D’ORIANO Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27865-2018 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

V.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DARDANELLI

46, presso lo studio dell’avvocato GRILLI GINO DANILO, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente-

e contro

V.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1707/2018 della COMM. TRIB. REG. di BARI,

depositata il 28/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/11/2020 dal Consigliere Dott. FASANO ANNA MARIA.

 

Fatto

RITENUTO

Che:

L’Amministrazione finanziaria notificava a V.R. e V.G. l’avviso di liquidazione n. (OMISSIS) con cui procedeva alla riliquidazione dell’imposta di successione dovuta in morte del de cuius V.V., come da denuncia integrativa presentata dagli eredi in data 3.12.1998. Con l’avviso, l’Ufficio chiedeva il pagamento di lire 17.048.070 a titolo di maggiore imposta di successione sul valore globale netto dell’asse ereditario.

I contribuenti presentavano, in data 6.12.2001, un’istanza con cui chiedevano all’Agenzia delle entrate l’annullamento della richiesta di conguaglio ed il rimborso della somma di lire 14.523.486. Avverso i, silenzio dell’Ufficio gli eredi proponevano ricorso dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Bari, lamentando che l’Ufficio ave va errato nella quantificazione dell’imposta in violazione del D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 8, comma 4, in quanto aveva determinato il dovuto sul coacervo per poi sottrarre da tale importo l’imposta relativa alle donazioni.

Concludevano chiedendo l’annullamento dell’avviso di liquidazione ed il rimborso della somma di lire 14.523.486, oltre interessi, in quanto indebitamente versata in eccedenza a seguito di errati conteggi riportati dall’Agenzia delle entrate nell’imposta di successione liquidata. L’adita Commissione, con sentenza n. 450/23/05, accoglieva il ricorso dei contribuenti. L’Agenzia delle entrate proponeva appello, che veniva rigettato dalla Commissione Tributaria Regionale della Puglia con sentenza n. 125/02/07. L’Ufficio ricorreva per la cassazione della sentenza, eccependo la decadenza del diritto a richiedere il rimborso della maggiore imposta versata e lamentando una errata applicazione della aliquota relativa al pagamento dell’imposta di successione da parte degli eredi.

Si rilevava, altresì, che con la modalità di calcolo proposta in alternativa si aggirava la progressività della tassazione prevista dalla legge e si utilizzava una aliquota media di tassazione (il 16,192%) non prevista dalla norma. La Corte di Cassazione con sentenza n. 17310 del 2014 rigettava il primo motivo di ricorso e accoglieva il secondo, statuendo che: “Ai sensi del D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 7, comma 1, secondo il testo che rileva in causa, doveva essere preservati fa progressività delle aliquote di imposizione sull’asse globale ereditario … in questo senso non era consentito al giudice tributano commisurare l’imposta in modo distinto da quello stabilito dalla legge, attraverso l’applicazione di un’asserita aliquota media sul valore del coacervo, da applicare al valore globale retto dell’asse. Sicchè sul punto l’impugnata sentenza va sassata con rinvio. La Commissione Tributaria Regionale della Piglia, diversa sezione, dovrà attenersi al principio in base al quale l’imposta deve essere determinata mediante l’applicazione, al valore netto dell’asse stabilito ai sensi dello stesso D.Lgs., art. 8, delle aliquote progressive indicate nella citata tariffa”.

A seguito della pronuncia, i contribuenti procedevano alla riassunzione dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Puglia che, con sentenza n. 1707/3/18, accoglievano il ricorso dagli stessi proposto. L’Agenzia delle entrate ricorre per la cassazione della sentenza svolgendo due motivi.

V.R. si è costituita con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 384 c.p.c., in quanto la sentenza impugnata sarebbe censurabile per violazione del principio di diritto enunciato dalla pronuncia della Corte di Cassazione n. 17310 del 2014, secondo cui: “non era consentito al giudice tributario commisurare l’imposta in modo distinto da quello stabilito dalla legge, attraverso l’applicazione di un’asserita aliquota media sul valore del coacervo, da applicare al valore globale netto dell’asse”. I giudici di appello, non attenendosi al suddetto principio, si sarebbero limitati ad affermare apoditticamente che: “… l’utilizzo della citata aliquota dal 16, 192% deriva solo dall’intento di semplificare i calcoli, non si sostituisce alle aliquote progressive previste dalla legge ma le racchiude e le rappresenta … nella consapevolezza che il relativo risultato è esattamente uguale a quello che deriva da un calcolo scrupoloso ma alquanto laborioso (…) l’assoluta conformità della quantificazione dell’imposta proposta dai ricorrenti al dettato del D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 8 ed al principio dettato dalla Suprema Corte di Cassazione in sede di rinvio”.

2. Con il secondo motivo 1-.1 denuncia violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per omessa motivazione, atteso che i giudici di appello avrebbero accolto il ricorso per riassunzione proposto dai contribuenti avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Puglia n. 125/2/2007, senza esporre, alcuna chiara argomentazione a sostegno della propria decisione.

3. Il primo motivo è fondato.

Dall’accoglimento del mezzo consegue l’assorbimento della seconda censura.

3.1. Questa Corte, in più occasioni, ha affermato che:” I limiti dei poteri attribuiti al giudice di rinvio sono diversi a seconda che la pronuncia di annullamento abbia accolto il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ovvero per vizi di motivazione in ordine a i, unti decisivi della controversia, ovvero per entrambe le ragioni; nella prima ipotesi, il giudice deve solo uniformarsi, ex art. 384 c.p.c., comma 1, al principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione, senza possibilità di modificarne l’accertamento e la valutazione di fatti acquisiti al processo” (Cass. n. 448 del 2020, Cass. n. 17780 del 2014).

Nella fattispecie, l’Agenzia delle entrate aveva chiesto la cassazione della sentenza n. 125/2/2007 della Commissione Tributaria Regionale della Puglia, lamentando che con la modalità di calcolo proposta in alternativa si aggirava la progressività della tassazione prevista dalla legge e si ut lizzava una aliquota media di tassazione (il 16,192%) non prevista dalla norma.

Questa Corte, con sentenza n. 17310 del 2014, aveva accolto il motivo, affermando che non era consentito al giudice tributario commisurare l’imposta in modo distinto da quello stabilito dalla legge, attraverso l’applicazione di un’asserita aliquota media sul valore del coacervo da applicare al valore globale netto dell’asse.

Il giudice di legittimità, cassando con rinvio la sentenza impugnata, aveva statuito che: “La Commissione Tributaria Regionale della Puglia, diversa sezione” dovrà attenersi al principio in base al quale l’imposta deve essere determinata mediante l’applicazione, al valore netto dell’asse stabilito ai sensi dello stesso D.Lgs., art. 8, delle aliquote progressive indicate nella citata tariffa. La Commissione rinnoverà dunque l’accertamento di merito e provvederà anche sulle spese del giudizio svoltosi in questa sede di legittimità”.

Ai sensi dell’art. 384 c.p.c., il giudice del rinvio non può sindacare la correttezza del principio di diritto e, comunque, quanto statuito dalla Corte, ma deve uniformarsi. E’ stato precisato che: “Nell’ipotesi di annullamento con rinvio per violazione di norme di diritto, la pronuncia della Corte di Cassazione vincola al principio affermato ed ai relativi presupposti di fatto, sicchè il giudice del rinvio deve uniformarsi non solo alla regola giuridica enunciata, ma anche premesse logico-giuridiche della decisione adottata, attenendosi agli accertamenti già compresi nell’ambito di tale enunciazione”(Cass. n. 19594 del 2018), “senza poter estendere la propria indagine a questioni che, pur se non esaminate ne giudizio di legittimità, costituiscono il presupposto stesso della pronuncia, formando oggetto di giudicato implicito interno, atteso che 4(riesame delle suddette questioni verrebbe a porre nel nulla o a limitare gli effetti della sentenza, in contrasto con il principio di intangibilità”(Cass. n. 20981 del 2015; Conf. Cass. n. 20887 del 2018).

3.2. Tutto ciò premesso, va rilevato che la Commissione Tributaria Regionale non ha date) applicazione all’enunciato principio di diritto, riproponendo in motivazione l’utilizzo dell’aliquota del 16, 192% nel calcolo dell’imposta, sulla base del rilievo che tale aliquota “non si sostituisce alle aliquote progressive previste dalla legge ma le racchiude e lo rappresenta e non cerca in alcun modo di aggirare la progressività della tassazione”, invece di applicare le aliquote progressive specificamente indicate dal D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 8.

Dalla piana lettura del contenuto della sentenza impugnata si evince l’inottemperanza all’ordine disposto dal giudice del rinvio ai sensi dell’art. 384 c.p.c., con la conseguenza che la sentenza impugnata va cassata, con ulteriore rinvio alla Commissione Tributaria Regionale della Puglia, in diversa composizione, per il riesame secondo i principi già espressi dalla sentenza di questa Corte n. 17310 del 2014, la quale provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo ricorso, dichiara assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia, per il riesame, alla Commissione Tributaria Regionale della Puglia, in diversa composizione, la quale provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 3 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2021

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