Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12175 del 16/05/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 16/05/2017, (ud. 07/04/2017, dep.16/05/2017),  n. 12175

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4446/2016 proposto da:

L.V.M.L., L.V.D.M., elettivamente

domiciliate in ROMA, VIA TAGLIAMENTO 14, presso lo studio

dell’Avvocato CARLO MARIA BARONE, che le rappresenta e difende

unitamente all’Avvocato ANSELMO BARONE;

– ricorrenti –

contro

S.M., S.A., S.B.,

SP.AN., tutti anche quali eredi di D.E.E.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 28A, presso lo

studio dell’Avvocato GAETANO ALESSI, rappresentati e difesi dagli

Avvocati MICHELE LUPO e SANDRA LUPO;

– controricorrenti –

per la revocazione della sentenza n. 22555/2015 della CORTE DI

CASSAZIONE, depositata l’11/02/2016.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

07/04/2017 dal Consigliere ALBERTO GIUSTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – S.G. conveniva in giudizio L.V.L., con cui aveva a suo tempo acquistato da C.S. un’area edificabile in (OMISSIS), sulla quale entrambi avevano successivamente edificato una palazzina costituita da due appartamenti in (OMISSIS), lamentando che il L.V. aveva realizzato sulla terrazza di copertura, nella parte sovrastante la sua proprietà, un tetto il cui colmo era posto a metri 3,90 di altezza rispetto alla preesistente terrazza, costruzione dannosa per l’edificio costituente unica struttura, e, comunque, illegittima per violazione dell’art. 1117 c.c. e delle norme antisismiche, e chiedendo la demolizione, i danni e le spese.

Il processo, interrotto per la morte delle parti, si concludeva con sentenza n. 170 del 20 maggio 2002 di rigetto delle domande attoree.

La Corte di appello di Caltanissetta, con sentenza in data 9 novembre 2010, in accoglimento dell’appello di S.B., An., M., A. e D.E.E. nei confronti di L.V.M.L. e D.M., in riforma dichiarava l’illegittimità della costruzione a copertura del tetto e ne ordinava la demolizione condannando le appellate alla eliminazione delle infiltrazioni ed alla ricostruzione del muro come descritto dal c.t.u. nonchè alla ricostruzione del prospetto architettonico a confine, compensando le spese dei due gradi, sul presupposto dell’unitarietà strutturale dei due immobili, dell’accertato carico ulteriore del 31,5%, del convincente rilievo del c.t. di parte appellante circa l’applicazione del punto C.9.1.1.a del D.M.LL.PP. 24 gennaio 1986, in tema di adeguamento sismico e non del punto C.9.1.1.b applicato dal c.t.u., dell’impossibilità degli appellanti di coprire a loro volta la parte di terrazzo di loro pertinenza perchè non potrebbero essere operati ulteriori carichi.

Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello proponevano ricorso le L.V. con sette motivi, cui resistevano gli S. e la D., che anche presentavano memoria.

2. – La Corte di Cassazione, con sentenza 4 novembre 2015, n. 22555, rigettava il ricorso.

2.1. – La sentenza della Corte è così motivata:

“Si denunziano: 1) violazione degli artt. 1227 e 2909 c.c., artt. 324, 329 e 342 c.p.c., per avere la Corte di appello erroneamente ritenuto che la decisione di primo grado sia stata impugnata nei suoi punti essenziali mentre il giudice di primo grado aveva accertato la mancanza di condominialità e l’atto di appello aveva dedotto essere ininfluente tale caratteristica; 2) violazione degli artt. 1227 e 2909 c.c., artt. 324, 329 e 342 c.p.c., per violazione del giudicato non esistendo alcun edificio condominiale; 3) vizi di motivazione in ordine al riferimento al D.M.LL.PP 24 gennaio 1986; 4) vizi di motivazione sempre in ordine al D.M. citato avendo il Genio civile ritenuto conforme a legge l’intervento di adeguamento strutturale con tirantatura orizzontale; 5) violazione dell’art. 2909 c.c., dell’art. 324c.p.c., del D.M.LL.PP. 24 gennaio 1986, in ordine all’affermazione che il diritto delle appellate trasfuso nell’atto di divisione non è abrogato ma non può essere esercitato in danno degli altri proprietari finitimi in forza dell’unità strutturale e del pericolo alla staticità; 6) vizi di motivazione posto che il c.t.u. aveva riferito che allo stato non si notavano elementi per ricondurre le infiltrazioni ai lavori eseguiti; 7) violazione degli artt. 1120, 1127 e 2909 c.c., art. 324 c.p.c., in ordine alla alterazione del decoro architettonico.

Osserva questa Corte Suprema:

La Corte di appello, come dedotto, ha sancito l’unitarietà della struttura, l’aggravamento del carico e l’impossibilità degli altri proprietari di operare a loro volta una sopraelevazione.

Questa specifica ratio decidendi non è compiutamente ed analiticamente censurata.

La prima censura riferisce del motivo di appello sulla ininfluenza del carattere della condominialità ma non dimostra la decisività della doglianza rispetto ad una sentenza che si fonda sulla unità strutturale della costruzione e sul pericolo alla staticità.

La seconda invoca un inesistente giudicato, in ogni caso ininfluente sulla asserita esclusione della condominialità.

I dedotti vizi di motivazione in ordine al D.M.LL.PP. 24 gennaio 1986 tendono ad un riesame del merito ed è irrilevante che i lavori siano stati autorizzati dal Genio civile trattandosi di profilo pubblicistico che non incide sui rapporti tra privati e sull’affermato pericolo alla staticità, deduzione che consente di rigettare il terzo, quanto e quinto motivo.

Il sesto motivo va rigettato perchè la sentenza riferisce di un accertamento del c.t.u., con adeguato calcolo di probabilità, circa il riferimento delle infiltrazioni ai lavori ed analogamente va respinto il settimo motivo avendo la sentenza richiamato l’accertamento peritale.

Le censure tendono ad un riesame del merito senza dedurre circostanze decisive a suffragio delle tesi esposte e contestano genericamente l’accertamento in fatto riportato in atti, senza ribaltare la decisione assunta. Donde il rigetto del ricorso con condanna alle spese”.

3. – Avverso la sentenza n. 22555 del 2015 di questa Corte L.V.M.L. e L.V.D.M. hanno proposto ricorso per revocazione, ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c. e art. 395c.p.c., n. 4, con atto notificato l’11 febbraio 2016, sulla base di due motivi.

Gli intimati S.B. e altri hanno resistito con controricorso.

4. – La proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata notificata alle parti in data 14 marzo 2017, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio.

Le ricorrenti hanno depositato una istanza di ripristino del diritto di difesa, lamentando una incompleta formulazione della proposta del relatore, chiedendo – in alternativa al rinvio della trattazione del giudizio alla pubblica udienza – la rimessione del fascicolo al consigliere relatore designato.

I controricorrenti hanno depositato memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – La proposta notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., reca la seguente indicazione: “Inammissibilità del ricorso, non essendo configurabile il dedotto vizio revocatorio”.

1.1. – Nella loro “istanza di ripristino del diritto di difesa”, depositata in data 30 marzo 2017, le ricorrenti lamentano che la proposta del relatore sarebbe “inficiata da un errore percettivo, consistente nella pretermissione della circostanza, risultante per tabulas, che le ricorrenti avevano ed hanno dedotto non uno, ma due vizi revocatori”: sicchè, affermando di non comprendere le ragioni dell’avvio del ricorso alla trattazione camerale, chiedono, in alternativa al rinvio della trattazione del ricorso alla pubblica udienza, la restituzione del fascicolo al consigliere relatore, “affinchè riformuli le proprie valutazioni in relazione all’intero contenuto del ricorso”.

1.2. – Il Collegio ritiene di dover rigettare l’istanza.

Va infatti affermata la validità della instaurazione del procedimento camerale dinanzi all’apposita sezione, giacchè la proposta notificata contiene l’indicazione della ipotesi prefigurata (inammissibilità del ricorso), in conformità di quanto richiesto dal novellato (ad opera della L. 25 ottobre 2016, n. 197, di conversione del D.L. 31 agosto 2016, n. 168) art. 380-bis c.p.c..

La proposta contiene altresì la specificazione della ragione (non configurabilità del dedotto vizio revocatorio) alla quale il relatore ha inteso fare riferimento: specificazione che – dovendo essere necessariamente affidata ad una valutazione “sintetica e complessiva”, stante la “necessità di evitare che l’indicazione prevista dall’art. 380-bis c.p.c., si trasformi in una pur sintetica relazione, vanificando la portata innovativa nella riforma” (come si legge nel Protocollo d’intesa sottoscritto in data 15 dicembre 2016 tra la Corte di cassazione, l’Avvocatura Generale dello Stato ed il Consiglio Nazionale Forense sull’applicazione del nuovo rito civile) – riguarda, evidentemente, il ricorso nei suoi articolati motivi, convergenti, entrambi, nel denunciare un “errore di fatto revocatorio in relazione all’art. 391-bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., n. 4”.

D’altra parte, questa Corte (Cass., Sez. 6-3, 22 febbraio 2017, n. 4541) ha già statuito che la novella del 2016 non prevede affatto ed in alcun modo che la proposta, appunto e significativamente a differenza della precedente relazione, possa e debba essere motivata, sottolineando che non è configurabile alcun diritto della parte a conoscere – e tanto meno particolareggiatamente – in via preventiva l’opinamento o l’orientamento del relatore o del giudicante in genere sul tema da decidere, in modo da potere, appunto in via preventiva, interloquire al riguardo.

2. – Con il primo mezzo le ricorrenti denunciano il “macroscopico errore revocatorio, consistente nella totale pretermissione, da parte della Corte di cassazione, del terzo, del quarto e del quinto motivo del ricorso delle signore L.V.”. Le ricorrenti deducono al riguardo: che con il terzo motivo, prospettante omessa o quantomeno insufficiente e contraddittoria motivazione, fu dedotto che il consulente tecnico d’ufficio di appello non aveva commesso l’errore addebitatogli dalla Corte territoriale, avendo dichiaratamente applicato non il punto C.9.1.1.b. del D.M. 24 gennaio 1986, ma proprio il precedente punto C.9.1.1.a. del medesimo D.M., dalla Corte nissena reputato, invece, conferente parametro normativo della fattispecie, in esplicita adesione alle considerazioni svolte dal consulente di parte appellante; che con il quarto motivo di ricorso (denunciante omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio) fu prospettata l’immotivata pretermissione delle risultanze degli accertamenti peritali in partibus quibus, dimostrative della piena osservanza, da parte L.V., delle prescrizioni antisismiche; che con il quinto motivo fu dedotta l’illegittimità della sentenza di appello per avere ritenuto la controversa sopraelevazione idonea a determinare un pregiudizio per la statica e le condizioni strutturali dell’immobile considerato, pur essendo stata tale situazione espressamente esclusa dal consulente tecnico d’ufficio di appello che aveva altresì accertato la conformità della sopraelevazione alle norme antisismiche poste dal ripetuto D.M. 24 gennaio 1986 e dalla relativa circolare applicativa.

2.1. – Il Collegio ritiene non configurabile il dedotto vizio revocatorio.

Nella sentenza impugnata non vi è alcuna erronea supposizione dell’inesistenza del terzo, del quarto e del quinto motivo di ricorso.

Di tali motivi, invero, si riportano in via sintetica, nella quarta pagina della sentenza, i contenuti, e in rapporto alle censure da essi veicolati vi è, nella quinta pagina, la pronuncia della Corte.

Al riguardo, la Corte ha infatti affermato che i dedotti vizi tendono ad un riesame nel merito, essendo tra l’altro irrilevante che i lavori siano stati autorizzati dal Genio civile, trattandosi di profilo pubblicistico che non incide sui rapporti tra privati e sul ravvisato pericolo per la staticità; e ha statuito che tale rilievo “consente di rigettare il terzo, quarto e quinto motivo”.

La sentenza qui impugnata ha poi ribadito, complessivamente, che le censure, senza dedurre circostanze decisive a suffragio delle tesi esposte, contestano genericamente l’accertamento in fatto riportato in atti, con argomentazioni non idonee a ribaltare la decisione assunta.

Il limite dell’errore percettivo chiaramente posto dalla legge alla revocazione della sentenza della Corte di Cassazione riconduce l’ambito di ammissibilità di detta impugnazione all’ipotesi di svista o mancata attenzione su di un fatto materiale o processuale che si traduca in una omessa percezione dell’esistenza stessa di un motivo di ricorso, sicchè non ricorre un siffatto errore quando, come nella specie, la Corte, dopo avere sinteticamente descritto i motivi che si accinge ad esaminare, ne argomenti la loro valutazione e decisione, esternandole con proposizioni comprensibili (Cass., Sez. 6-1, 22 febbraio 2013, n. 4605). In altri termini, in tema di revocazione delle sentenze della Corte di cassazione, ove il ricorrente deduca, sotto la veste del preteso errore revocatorio, l’errato apprezzamento da parte della Corte di uno o più motivi di ricorso – qualificando come errore di percezione degli atti di causa un eventuale errore di valutazione sulla portata della doglianza svolta con l’originario ricorso – si verte in un ambito estraneo a quello dell’errore revocatorio, potendo configurare l’eventuale errata pronunzia soltanto un error in procedendo ovvero in iudicando, di per sè insuscettibili di denuncia ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c. (Cass., Sez. Lav., 4 marzo 2009, n. 5221).

3. – Il secondo motivo di ricorso per revocazione riguarda l’esame, da parte della sentenza n. 22555 del 2015 di questa Corte, del sesto motivo di ricorso per cassazione.

Con esso le L.V. avevano dedotto vizi di motivazione, prospettando che il c.t.u. aveva riferito che allo stato non si notavano elementi per ricondurre le infiltrazioni ai lavori eseguiti.

Ad avviso delle ricorrenti, la sentenza impugnata, nello statuire che la Corte d’appello “riferisce di un accertamento del c.t.u., con adeguato calcolo di probabilità, circa il riferimento delle infiltrazioni ai lavori”, sarebbe incorsa in errore revocatorio, posto che nella consulenza, a pagina 7, si legge testualmente che “allo stato attuale non si notano elementi che possano ricondurre le infiltrazioni d’acqua ai lavori eseguiti dai L.V.”.

3.1. – Anche questo motivo non è riconducibile allo statuto dell’errore revocatorio, perchè la Corte di cassazione ha risolto la controversia sulla base della complessiva lettura della consulenza data dalla Corte di merito, come è reso palese dalla proposizione “la sentenza (della Corte di Caltanissetta) riferisce di un accertamento del c.t.u., con adeguato calcolo di probabilità, circa il riferimento delle infiltrazioni ai lavori”.

L’ipotizzato errore di percezione dei fatti di causa è semmai stato compiuto dalla sentenza della Corte d’appello di Caltanissetta, a suo tempo non impugnata per revocazione.

Invero, l’errore di fatto che può legittimare la revocazione della sentenza della Cassazione deve avere carattere autonomo, nel senso di incidere direttamente ed esclusivamente sulla sentenza medesima; se, invece, l’errore di fatto, sulla cui base si chiede detta revocazione, è stato causa determinante della sentenza pronunciata in grado di appello, in relazione ad atti o documenti che sono stati o avrebbero dovuto essere esaminati dal giudice del merito, la parte danneggiata è tenuta a proporre impugnazione ex art. 395 c.p.c., n. 4 e art. 398 c.p.c., contro la predetta decisione, non essendole di contro consentito addurre tale errore in un momento successivo (Cass., Sez. 2, 20 maggio 2002, n. 7334).

4. – Il ricorso per revocazione è inammissibile.

Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

5. – Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), ricorrono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato da parte delle ricorrenti, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

dichiara il ricorso inammissibile e condanna le ricorrenti in solido al rimborso delle spese processuali sostenute dai controricorrenti, che liquida in complessivi Euro 3.200, di cui Euro 3.000 per compensi, oltre a spese generali nella misura del 15% e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 2, il 7 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 16 maggio 2017

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