Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12175 del 08/05/2019

Cassazione civile sez. I, 08/05/2019, (ud. 11/12/2018, dep. 08/05/2019), n.12175

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 2981/2018 proposto da:

A.M., elettivamente domiciliato presso la cancelleria

della Corte di Cassazione rappresentato e difeso dall’Avv.to Massimo

Gilardoni giusta procura speciale con atto separato al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di Brescia n. 657/2017 in data

15/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella CAMERA DI CONSIGLIO del

11 dicembre 2018 dal Consigliere Dott. MARINA MELONI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Brescia sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, con decreto in data 15/11/2017, ha confermato il provvedimento di rigetto pronunciato dalla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Brescia in ordine alle istanze avanzata da A.M. nato in (OMISSIS), volta ad ottenere il riconoscimento del diritto alla protezione internazionale. In particolare il ricorrente aveva proposto due distinte domande una per l’accertamento della protezione internazionale e l’altra per la protezione umanitaria, riunite dal Collegio del Tribunale per continenza di cause ex art. 39 c.p.c. e trattate con rito camerale ex art. 40 c.p.c., comma 4. Il richiedente asilo proveniente dalla Guinea Bissau aveva riferito alla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Brescia di essere fuggito dal proprio paese in quanto aveva paura di essere arrestato dalla polizia che lo stava cercando perchè aveva involontariamente provocato un incendio in una foresta. Pertanto aveva deciso di lasciare il paese per recarsi in Libia e successivamente in Italia.

Avverso il decreto del Tribunale di Brescia ha proposto ricorso per cassazione il ricorrente affidato a quattro motivi. Il Ministero dell’Interno non ha spiegato difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso il ricorrente solleva questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 13 del 2017, art. 21,comma 1, così come convertito nella L. n. 46 del 2017, per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1 e art. 77 Cost., comma 2, per mancanza dei presupposti di necessità e urgenza nell’emanazione dello stesso decreto legge, in considerazione del differimento dell’efficacia temporale e, quindi, dell’entrata in vigore del nuovo rito in materia di protezione internazionale.

Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente solleva questione di legittimità costituzionale, in materia di controversie di protezione internazionale, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, introdotto dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g), per violazione dell’art. 3, comma 1; art. 24, commi 1 e 2; art. 111, commi 1, 2 e 7, con riferimento al termine di impugnabilità del decreto solo in Cassazione entro 30 giorni dalla comunicazione a cura della cancelleria del decreto di primo grado.

Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 39 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il Tribunale di Brescia, ravvisando un’ipotesi di continenza, ha ritenuto di applicare il rito camerale anche alla domanda di accertamento della protezione umanitaria, nonostante la diversità dei presupposti costitutivi delle domande. Deduce al contrario il ricorrente che il rito camerate deve essere applicato esclusivamente alle controversie relative all’accertamento del diritto alla protezione internazionale, mentre quelle di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, possono essere introdotte con atto di citazione o con ricorso ex art. 702 c.p.c.e devono essere decise dal giudice monocratico.

Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il Tribunale di Brescia ha ritenuto non credibili le dichiarazioni e la vicenda narrata e nonostante la situazione di conflitto armato interno e il rischio di un danno grave alla persona non ha riconosciuto il diritto alla protezione sussidiaria.

Con i primi due motivi di ricorso il ricorrente solleva altrettante questioni di legittimità costituzionale sulle quali questa Corte ha già avuto modo di pronunciarsi in analogo giudizio, ritenendole irrilevanti e manifestamente infondate, con sentenza sez. 1 n. 17717 del 27/6/2018 pienamente condivisa da questo Collegio e dalla quale non vi è motivo per discostarsi.

Il terzo motivo è privo di fondamento, anche se va corretta la motivazione in diritto svolta dal Tribunale di Brescia nel decreto impugnato.

Osserva il collegio che il rito previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, con le peculiarità che lo connotano – composizione collegiale della sezione specializzata, procedura camerale e non reclamabilità del decreto – ha un ambito di applicabilità espressamente limitato alle controversie di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 e a quelle relative all’impugnazione dei provvedimenti adottati dall’Unità Dublino.

Invece, qualora sia stata proposta in giudizio la sola domanda di protezione umanitaria, prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, convertito con modificazioni nella L. n. 132 del 2018 – che, introducendo nel D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19 ter, ha stabilito che le controversie di cui al D.L. n. 13 del 2017, art. 3, comma 1, lett. d) e d bis), convertito con modificazioni nella L. n. 46 del 2017, sono regolate dal rito sommario di cognizione da proporsi davanti al Tribunale, Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, che giudica in composizione collegiale e pronuncia con ordinanza non appellabile, ma ricorribile per cassazione – la competenza per materia, ai sensi del citato D.L. n. 13 del 2017, art. 3, comma 1, lett. d) e comma 4, va attribuita alla sezione specializzata del tribunale in composizione monocratica, che giudica secondo il rito ordinario del procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica di cui agli artt. 281-bis c.p.c. e segg., o, ricorrendone i presupposti, secondo il procedimento sommario di cognizione, di cui agli artt. 702-bis c.p.c. e segg. e pronuncia con provvedimento (sentenza o ordinanza) impugnabile in appello.

Tuttavia, qualora le azioni dirette ad ottenere le protezioni internazionali tipiche (status di rifugiato e protezione sussidiaria) e le azioni volte al riconoscimento di quella atipica (protezione umanitaria) siano state contestualmente proposte con un unico ricorso, si applica per tutte le domande il rito camerale di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, davanti alla sezione specializzata del Tribunale in composizione collegiale, in ragione della connessione esistente tra dette domande e della prevalenza della composizione collegiale del tribunale in forza del disposto dell’art. 281 nonies c.p.c., tenuto altresì conto della natura accessoria (art. 31 c.p.c.) della domanda di protezione umanitaria del carattere umanitario dell’accertamento dei presupposti dei vari tipi di tutela, dell’esigenza di evitare contrasto di giudicati e del principio della ragionevole durata del processo. Infatti, la giurisprudenza di questa Corte ha più volte affermato che il sistema della protezione internazionale secondo il regime antecedente alla diversa disciplina introdotta dal D.L. n. 113 del 2018, convertito con modificazioni nella L. n. 132 del 2018, se pur articolato in una pluralità di strumenti di tutela (stato di rifugiato, protezione sussidiaria e protezione umanitaria) ha un fondamento unitario, in quanto riguarda situazioni “tutte riconducibili alla categoria dei diritti umani fondamentali” (Cass. S.U. n. 19393/2009) sulla base della identità di natura delle situazioni giuridiche dedotte, con la conseguenza che con la domanda di protezione internazionale, ancorchè indistinta, il richiedente ha diritto all’esame delle condizioni di riconoscimento sia dello stato di rifugiato e della protezione sussidiaria, che del permesso sostenuto da ragioni umanitarie o da obblighi internazionali o costituzionali (Cass. n. 6880/2011). Si è quindi coerentemente affermato che, alla stregua del sistema normativo sopraindicato, il diritto di asilo è stato “interamente attuato e regolato attraverso la previsione delle situazioni finali previste nei tre istituti costituiti dallo “status” di rifugiato, dalla protezione sussidiaria e dal diritto al rilascio di un permesso umanitario, ad opera della esaustiva normativa di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, adottata in attuazione della Direttiva 2004/83/CE del Consiglio del 29 aprile 2004, e di cui al D.Lgs.25 luglio 1998, n. 286, art. 5,comma 6″ (Cass. n. 10686/2012).

E’ appena il caso di osservare che il rito camerale ex art. 737 c.p.c., previsto per la trattazione di controversie in materia di diritti e di “status”, è idoneo a garantire il contraddittorio anche nel caso in cui non sia disposta l’udienza (sia perchè tale eventualità è limitata solo alle ipotesi in cui, in ragione dell’attività istruttoria precedentemente svolta, essa appaia superflua, sia perchè in tale caso le parti sono comunque garantite dal diritto di depositare difese scritte) e pertanto non sussiste alcuna lesione del diritto di difesa e tantomeno l’illegittima compressione del diritto di proporre appello (Sez. 1 -, Sentenza n. 17717 del 05/07/2018) non essendo il doppio grado di giudizio principio costituzionalmente tutelato, tenuto anche conto che la definizione del giudizio con decreto non reclamabile si rende necessaria per soddisfare esigenze di celerità e che il procedimento giurisdizionale è preceduto da una fase amministrativa che si svolge davanti alle commissioni territoriali deputate ad acquisire, attraverso il colloquio con l’istante, l’elemento istruttorio centrale ai fini della valutazione della domanda di protezione (Cass. n. 27700/2018).

A non diverse conclusioni deve pervenirsi nel caso in cui, come nella fattispecie in esame, il richiedente abbia separatamente ma contemporaneamente proposto davanti al tribunale due distinti ricorsi, uno da trattarsi con rito camerale collegiale per ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato o la protezione sussidiaria e l’altro da trattarsi con rito monocratico ai sensi dell’art. 702 bis c.p.c., per conseguire il riconoscimento della protezione umanitaria (v. la sentenza impugnata, pag. 2 e il ricorso per cassazione, pag. 3). Infatti, il fondamento unitario dell’accertamento, comunque basato sull’allegazione dei medesimi fatti, e il carattere residuale della domanda di riconoscimento della protezione umanitaria rispetto a quelle relative allo status di rifugiato e al riconoscimento della protezione sussidiaria (Cass. n. 4139/2011; n. 26887/2013; n. 23604/2017) comportano come conseguenza previa riunione dei relativi giudizi, l’applicazione del rito camerale di cui agli artt. 737 c.p.c. e segg., espressamente previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, inserito dal D.L. n. 13 del 2017, convertito con modificazioni nella L. n. 46 del 2017, per le controversie aventi ad oggetto l’impugnazione dei provvedimenti della Commissione territoriale e di quella nazionale in tema di status di rifugiato e di protezione sussidiaria, anche ai provvedimenti concernenti le richiesta di protezione umanitaria, tenuto altresì conto, oltre che delle ragioni in precedenza svolte, anche della considerazione che fondamentali esigenze di rispetto del principio di ragionevole durata dei giudizi di cui all’art. 111 Cost., impedisce la cognizione separata di situazioni giuridiche tra loro strettamente connesse.

Deve pertanto concludersi, alla stregua di quanto fin qui osservato, per la infondatezza della censura mossa dal ricorrente alla decisione del Tribunale di Brescia che ha ritenuto di applicare il rito camerale, oltre che alle domande di accertamento del diritto al riconoscimento dello status di rifugiato e alla protezione sussidiaria, anche a quella di accertamento del diritto della protezione umanitaria, previa riunione dei ricorsi per ragioni di connessione, impropriamente qualificata nella specie, dal primo giudice, come continenza.

Il quarto motivo proposto è inammissibile ed infondato in quanto, pur rubricato sotto il solo profilo della violazione di legge (art. 360 c.p.c., n. 3), contiene in realtà una serie di critiche agli accertamenti in fatto espressi nella motivazione del Tribunale che, come tali, si palesano inammissibili, in quanto diretti a sollecitare un riesame delle valutazioni riservate al giudice del merito, che del resto ha ampiamente e rettamente motivato la statuizione impugnata, esponendo le ragioni del proprio convincimento circa l’intrinseca inattendibilità del racconto del ricorrente ed alla sua non credibilità.

Il primo giudice infatti ha ritenuto che le vicende riferite dal ricorrente non siano credibili, sia pure nell’ambito dell’onere probatorio cd. attenuato, avendo egli narrato episodi inverosimili e fantasiosi.

Secondo il Tribunale il racconto reso era scarsamente attedibile non avendo il ricorrente fatto riferimento nelle dichiarazioni rese alla Commissione, di gravi situazioni di conflittualità etnica neppure emerse dai report internazionali. Pertanto, stante la non credibilità della narrazione della vicenda personale resa dal ricorrente, doveva escludersi l’esistenza di una situazione di pericolo legata alla situazione individuale dell’istante.

In riferimento poi ai presupposti per la concessione della protezione sussidiaria la sentenza impugnata oltre alle ragioni della ritenuta genericità ed illogicità del racconto esamina la situazione della zona di provenienza; di conseguenza il Giudice non ha reputato sussistere i presupposti per la protezione sussidiaria ritenendo con motivazione coerente ed esaustiva che l’insussistenza di un concreto pericolo di torture o di trattamenti inumani o degradanti anche in relazione alle complessive condizioni carcerarie del paese e l’assenza di situazioni di violenza indiscriminata e diffusa e di un conflitto armato interno o internazionale nel paese d’origine escludano il diritto alla protezione sussidiaria.

La censura si risolve quindi in una generica critica del ragionamento logico posto dal giudice di merito a base dell’interpretazione degli elementi probatori del processo e, in sostanza, nella richiesta di una diversa valutazione degli stessi, ipotesi integrante un vizio motivazionale non più proponibile in seguito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, apportata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012 (v. Cass., sez. un., n. 8053/2014).

Per quanto sopra si impone il rigetto del ricorso. Nulla per le spese.

Non ricorrono i presupposti per l’applicazione del doppio contributo di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, essendo il ricorrente stato ammesso al gratuito patrocinio a carico dello Stato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima della Corte di Cassazione, il 11 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 8 maggio 2019

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