Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12173 del 22/06/2020

Cassazione civile sez. I, 22/06/2020, (ud. 21/02/2020, dep. 22/06/2020), n.12173

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30161/2017 proposto da:

S.M., S.V., domiciliate in Roma,

Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di

Cassazione, rappresentate e difese dall’avvocato Chidichimo

Giuseppe, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

Fallimento (OMISSIS) S.r.l., in Liquidazione, in persona del curatore

Dott. G.G., elettivamente domiciliato in Roma, Via G.G.

Avezzana n. 1, presso lo studio dell’avvocato Manfredini Ornella,

rappresentato e difeso dall’avvocato Scripelliti Nino, giusta

procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2431/2017 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

pubblicata il 24/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/02/2020 dal cons. FIDANZIA ANDREA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza depositata il 24 ottobre 2017, la Corte d’Appello di Firenze, in riforma della sentenza n. 2727 del Tribunale di Firenze, depositata il 20 luglio 2016, ed in accoglimento dell’appello proposto dal fallimento (OMISSIS) s.r.l., ha dichiarato inefficace L. Fall., ex art. 66, e art. 2901 c.c., nei confronti della massa dei creditori della predetta procedura la vendita immobiliare stipulata il 15 maggio 2010 per rogito notaio Teti (rep. 15795 racc. 5450) dalla società (OMISSIS) s.r.l. e le acquirenti S.M.E. e S.V., avente ad oggetto l’appartamento sito in (OMISSIS).

Il giudice di secondo grado ha ritenuto la sussistenza dei requisiti previsti dalla legge per l’accoglimento della revocatoria ordinaria, ovvero la preesistenza di crediti all’atto revocando, evincibili dal bilancio della società poi fallita del 2010, l’eventus damni, che può consistere anche in una modificazione qualitativa del patrimonio, tale da rendere più difficile il soddisfacimento del credito, e la scientia damni, evincibile dal carattere prettamente familiare della società fallita e dai ruoli delle acquirenti della medesima società, S.V., socia e consigliere di amministrazione, e S.M.E., socia.

Avverso la predetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione S.V. e S.M.E. affidandolo a due motivi.

Il fallimento (OMISSIS) s.r.l. si è costituito in giudizio con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non avere la Corte d’Appello ” considerato l’unica prova in atti determinante il valore dell’immobile oggetto della revocatoria e consistente nella CTU esperita in prime cure”.

Lamentano le ricorrenti che la Corte d’Appello ha inspiegabilmente stimato il bene oggetto dell’atto revocando il doppio rispetto al prezzo pattuito nella compravendita di cui è causa, senza tenere conto della CTU e senza neppure disporre il rinnovo.

2. Il motivo è inammissibile.

Va osservato che le ricorrenti non hanno colto la ratio decidendi, atteso che l’eventus damni non è stato affatto individuato dalla Corte d’Appello nella non congruità del prezzo di compravendita pagato dalle ricorrenti, ma nella circostanza che l’atto dispositivo ha determinato una modificazione qualitativa del patrimonio, comportando (in ragione della maggiore facilità di cessione e occultamento del danaro) una maggiore incertezza o difficoltà nel soddisfacimento del credito (vedi Cass. n. 19207 del 19/07/2018; conf. Cass. 1896/2012).

Il giudice di secondo grado ha solo osservato che se la cessione immobiliare fosse avvenuta a prezzo vile il pregiudizio sarebbe stato ancora più grave, ma l’eventus damni è stato inequivocabilmente ritenuto integrato nel profilo qualitativo sopra evidenziato. Eloquente è la conclusione della Corte di merito nella trattazione di tale requisito dell’azione revocatoria ordinaria:” Tanto basta a soddisfare il requisito in commento ed esime, nel rispetto della ragione più liquida a servizio della rapida definizione del giudizio, di approfondire l’indagine sulla congruità del prezzo concordato tra le parti”.

3. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 c.c., e della L. Fall., art. 66.

Deducono le ricorrenti che la Corte d’Appello, nell’analisi della situazione economica della società poi fallita, nel richiamare il decreto ingiuntivo notificato alla predetta società nel gennaio 2008, o la risoluzione del contratto di finanziamento da parte di banca Unicredit del dicembre 2010, ha fatto riferimento a “fatti di molto antecedenti al contratto, o di molto successivi” che nulla hanno a che fare con la vendita dell’appartamento per cui è procedimento. Le ricorrenti, hanno, altresì, evidenziato che nel 2009 le stesse non potevano avere alcun sentore dello stato di decozione della (OMISSIS), tanto è vero che nel giugno 2010 la Banca Unicredit aveva concesso un extrafido di Euro 100.000,00.

Infine, essendo l’atto di compravendita del 12.5.2010 precedente alla dichiarazione di fallimento, la curatela avrebbe dovuto dimostrare non la mera consapevolezza ma la dolosa preordinazione dell’atto ad inficiare le garanzie dei creditori.

4. Il motivo è inammissibile.

Va, in primo luogo, osservato che le censure sopra riportate delle ricorrenti – le quali, peraltro, neppure hanno dedotto di averle già sottoposte all’esame della Corte d’Appello – si configurano come di mero merito, essendo esclusivamente finalizzate a sollecitare una diversa valutazione del materiale probatorio rispetto a quella operata dal Collegio di appello.

Peraltro, le ricorrenti riportano qualche passaggio motivazionale della sentenza di primo grado che aveva accolto le loro tesi, ma non si sono minimamente confrontate – ignorandole anzi del tutto – con le precise argomentazioni svolte dalla sentenza di secondo grado in ordine ai singoli requisiti dell’azione revocatoria fallimentare sussistenti nel caso di specie.

In particolare, in relazione al requisito della preesistenza dei crediti all’atto revocando, nessun riferimento è stato fatto dalle ricorrenti agli ingentissimi debiti con le banche risultanti dal bilancio (OMISSIS) 2010, se non in relazione all’extrafido di Euro 100.000,00 concesso da Banca Unicredit alla società fallita nel giugno 2010, circostanza che rivela soltanto (tenuto conto che il debito complessivo nei confronti di Unicredit risultante dal bilancio 2010 ammontava ad oltre Euro 250.000,00 circa) che, anche ove tale fido di Euro 100.000,00 fosse stato dalla medesima eventualmente interamente utilizzato, i debiti pregressi di (OMISSIS) solo nei confronti del predetto istituto di credito ammontavano già a circa Euro 150.000,00.

Le ricorrenti nulla deducono, inoltre, in ordine a tutti gli altri debiti risultanti parimenti da tale bilancio ed ammontanti – secondo la ricostruzione della sentenza impugnata – ad Euro 79.948,00 verso Cassa di Risparmio di Lucca, Pisa, e Livorno, ad Euro 139.861,00 verso Banco di Desio, oltre a debiti per finanziamenti a medio e lungo periodo con gli istituti per circa Euro 1.400.000,00 (compreso il debito già considerato verso Unicredit per Euro 73.000,00 circa).

Le ricorrenti nulla hanno ritenuto di osservare (se non nei termini inammissibili già esaminati con riferimento al primo motivo) in ordine alla trattazione da parte della Corte d’Appello del requisito dell’eventus damni, come già evidenziato nel punto 2, e della scientia damni, in relazione alla quale, tenuto conto delle cariche rivestite (rispettivamente di socio e consigliere di amministrazione) da entrambe le acquirenti all’interno della società fallita (avente carattere squisitamente familiare) nel periodo in cui si colloca l’atto revocando, la Corte di merito ha congruamente argomentato la chiara consapevolezza in capo alle stesse delle vicende societarie, comprese ovviamente le passività.

In ordine al profilo soggettivo, le ricorrenti si sono limitate all’affermazione giuridicamente errata (e, peraltro, non pienamente intellegibile) secondo cui, essendo l’atto oggetto della richiesta di revoca precedente alla dichiarazione di fallimento, la curatela avrebbe dovuto dimostrare non la mera consapevolezza, ma la dolosa preordinazione dell’atto medesimo ad inficiare le garanzie dei creditori.

La declaratoria di inammissibilità del ricorso comporta la condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come in dispositivo.


P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 1 5 % ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 21 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2020

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