Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12170 del 22/06/2020

Cassazione civile sez. I, 22/06/2020, (ud. 20/11/2019, dep. 22/06/2020), n.12170

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. MACRI’ Ubalda – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 36428/2018 proposto da:

B.M., elettivamente domiciliato in Sarzana, alla via Otto

Marzo n. 3, presso lo studio dell’avv. Federico Lera, che lo

rappresenta e difende come da nomina e procura speciale in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso il decreto n. 2497/18 in data 16 novembre 2018 del Tribunale

di Genova;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 20/11/2019 dal Consigliere relatore Macrì Ubalda.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Genova ha rigettato la domanda del ricorrente di riconoscimento della protezione internazionale, confermando le conclusioni della Commissione territoriale di Torino – Ufficio territoriale di Genova, che aveva ritenuto il racconto del B. generico e poco circostanziato.

Il ricorrente aveva raccontato che, dopo la morte del padre, la madre era tornata in Senegal, mentre lui era rimasto in Gambia con l’altra moglie del padre che l’aveva maltrattato ed aveva assoldato delle persone per l’avevano picchiato e lei stessa lo aveva torturato e minacciato di morte. Inoltre si era trovato un lavoro da apprendista sarto, ma la donna aveva minacciato anche il suo maestro. Dopo varie traversie, tramite la Libia, era giunto in Italia.

Il Tribunale ha espresso ragioni di perplessità in merito alla veridicità del racconto, ma ha in ogni caso escluso i presupposti delle tutele invocate, trattandosi di una vicenda privata e vivendo il Gambia un significativo cambiamento culturale e sociale dal 2016.

Quanto al radicamento sul territorio italiano, ha osservato che il livello di integrazione sociale personale era modesto, tanto che aveva avuto bisogno dell’interprete.

Il ricorrente chiede la cassazione del decreto del Tribunale di Genova sulla base di tre motivi.

Il Ministero dell’Interno non si è costituito.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo del giudizio, cioè la sua condizione personale che, nato nel 1996, era rimasto orfano del padre nel 2011, era stato abbandonato dalla madre nel 2013 ed aveva abbandonato il Paese nel 2015 per i contrasti con la moglie del padre. Insiste quindi sulla sua condizione di vulnerabilità.

Con il secondo deduce la violazione e/o falsa applicazione di legge in relazione al diniego di protezione sussidiaria, perchè non erano stati valutati adeguatamente i trattamenti inumani e degradanti della moglie del padre nei suoi confronti.

Con il terzo eccepisce la violazione e/o falsa applicazione di legge con riferimento al diniego della protezione umanitaria. Il ricorso è manifestamente infondato.

Il Tribunale ha valutato il fatto alla stregua di una vicenda privata. E’ consolidato l’orientamento giurisprudenziale di legittimità, secondo cui la vicenda privata è estranea al sistema della protezione internazionale, non rientrando nè nelle forme dello “status” di rifugiato, nè nei casi di protezione sussidiaria (tra le più recenti, Cass., Sez. 6-1, n. 9043 del 01/04/2019, Rv. 653794). Dal racconto non sono emersi elementi di persecuzione o danno grave nei suoi confronti, perpetrati da soggetti pubblici o privati con influenza politica sul territorio, per ragioni di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un particolare gruppo sociale ed opinione politica (Cass., Sez. 1, n. 30105 del 28/11/2018, Rv. 65322602).

Inoltre, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, il Tribunale ha esaminato in modo compiuto la situazione politica del Gambia concludendo che non vi era una violenza indiscriminata che giustificava la gravità, attualità e concretezza del pericolo per il ricorrente in caso di rientro in patria.

Tale accertamento di fatto è stato genericamente contestato con elementi non documentati, inidonei a ribaltare le conclusioni esposte nel decreto impugnato.

Osserva questo Collegio che la decisione del Tribunale è in linea con il più recente orientamento giurisprudenziale di legittimità che ha affermato che, in materia di protezione umanitaria, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero, che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (Cass., Sez. 1, n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298 e Cass., Sez. U, n. 29459 del 13/11/2019).

Il Tribunale ha compiuto tale giudizio di comparazione pervenendo al rigetto dell’istanza sulla base di argomenti solidi e razionali, cioè che non aveva raggiunto un accettabile livello di integrazione in Italia e che il rimpatrio in Gambia non comportava la violazione dei diritti umani.

Il ricorso è pertanto inammissibile. Nulla per le spese stante la contumacia del Ministero dell’Interno. Sussistono i presupposti di legge perchè la parte versi, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto. Ciò si deve fare a prescindere dal riscontro dell’eventuale provvedimento di ammissione provvisoria del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato, poichè la norma esige dal giudice unicamente l’attestazione dell’avere adottato una decisione di inammissibilità o improcedibilità o di reiezione integrale dell’impugnazione, anche incidentale, competendo poi in via esclusiva all’Amministrazione di valutare se, nonostante l’attestato tenore della pronuncia, vi sia in concreto, per la presenza di fattori soggettivi, la possibilità di esigere la doppia contribuzione (Cass. n. 9661/2019, la cui articolata motivazione si richiama).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 20 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2020

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