Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1217 del 22/01/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 1217 Anno 2014
Presidente: SEGRETO ANTONIO
Relatore: TRAVAGLINO GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso 4023-2008 proposto da:
PANE

FEDERICO

PNAFRC73R15H501Q,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA TARANTO 44, presso lo studio
dell’avvocato FAZIO FELICE, che lo rappresenta e
difende giusta delega in atti;
– ricorrente contro

FONDAZIONE SANTA LUCIA IST RICERCA E CURA CARATTERE
SCIENTIFICO 05692831000, in persona del Presidente pro
tempore Sig.ra ADRIANA AMADIO, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE BRUNO BUOZZI 68, presso lo

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Data pubblicazione: 22/01/2014

studio dell’avvocato GAGLIARDINI ALESSANDRO, che la
rappresenta e difende unitamente all’avvocato PENNISI
GIUSEPPE giusta delega in atti;
– controricorrente nonchè contro

– intimato –

sul ricorso 6300-2008 proposto da:
BERARDI ANTONIO, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIALE BRUNO BUOZZI 68, presso lo studio dell’avvocato
GAGLIARDINI LIVIO, che lo rappresenta e difende giusta
delega in atti;
– ricorrente contro

PANE FEDERICO;
– intimato –

avverso la sentenza n. 5579/2006 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 14/12/2006 R.G.N. 663/2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 05/06/2013 dal Consigliere Dott. GIACOMO
TRAVAGLINO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. TOMMASO BASILE che ha concluso per il
rigetto dei ricorsi.

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BERARDI ANTONIO;

I FATTI

Nell’aprile del 1996 Federico Pane convenne in giudizio, dinanzi
al tribunale di Roma, la clinica Centro Residenziale S. Lucia e
Raffaele Bove, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni
subiti in conseguenza dell’omessa diagnosi di endocarditi

successivo ricovero presso altro nosocomio romano.
Il giudice di primo grado respinse la domanda, escludendo – alla
luce del quadro clinico emergente dalla stesse valutazioni del
CTU – che il ritardo di diagnosi, non superiore a 20 giorni,
potesse aver determinato un qualsiasi aggravamento delle
condizioni di salute del’attore.
La corte di appello di Roma, investita del gravame proposto
dall’attore in prime cure, lo rigettò.
Ricorre per cassazione Federico Pane sulla base di un unico,
complesso motivo di censura.
Resiste la Fondazione S. Lucia con controricorso (che non
contiene alcuna impugnazione incidentale, come risultante da non
esatta indicazione di R.G. da parte della cancelleria).
LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso è inammissibile.
Con il primo motivo,

si denuncia

nullità della sentenza

impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 2043
c.c., 40 c.p. in relazione all’art. 115 c.p.c. e conseguente
omessa motivazione su un punto decisivo della controversia.

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micotica dalla quale venne trovato affetto nel corso di un

La censura è corredata dal seguente, plurimo quesito di diritto
(formulato ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., applicabile
ratione temporis, nel vigore del D.lgs. 40/2006):
a) Dica la Corte se sussiste il lamentato vizio di nullità della
sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli

ritenuto insussistenti:

l’imputazione

soggettiva

del

ritardo

diagnostico

sul

presupposto della inevitabilità e imprevedibilità alla data
d’ingresso del paziente della endocardite micotica, invero
accertabile con la dovuta diligenza;
– Il nesso di causalità tra il ritardo e la valvulopatia mitralica
lieve riportata dal ricorrente sull’ulteriore presupposto,
fondato sulla teoria della probabilità inversa che, ove la
malattia fosse stata tempestivamente diagnosticata dal sanitari
della clinica, il danno valvolare si sarebbe comunque verificato
e in ogni caso sarebbe stato ugualmente curato con le medesime
modalità e tempistica, lì dove dalle risultanze della CTU in
atti

emergevano

elementi

di

segno

contrario

attesa

l’ingiustificata prolungata esposizione del paziente alla
malattia e alla degenza in ospedale;
b) Dica la Corte se sussiste il lamentato vizio di nullità della
sentenza impugnata per:

Insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo
della controversia lì dove la Corte distrettuale, nonostante le
risultanze di segno contrario provenienti dalla CTU, riteneva
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artt. 2043 c.c. e 40 c.p. posto che la Corte distrettuale ha

insussistenti

sia

l’imputazione

soggettiva

del

ritardo

diagnostico dell’endocardite alla clinica S. Lucia che il nesso
di causalità tra tale ritardo e la malattia valvolare mitralica
scaturitane;
– Omessa motivazione su un ulteriore punto decisivo della

vita di relazione e biologico derivati al ricorrente dalla
eccessiva durata della degenza e della malattia che la clinica
S. Lucia poteva evitare con l’ordinaria diligenza.
Il motivo, prima ancora che palesemente infondato nel merito
(avendo la Corte territoriale fatto buongoverno, in particolare,
dei principi che regolano la causalità materiale in sede civile,
alla luce degli ormai consolidati insegnamenti di questo giudice
di legittimità: per tutte, Cass. 7997/2005, 21619/2007, ss.uu.
577/2008) è patentemente inammissibile in rito.
Per un duplice, concorrente ragione.
La prima, afferente all’an della censura, per essere le
doglianze irrimediabilmente destinati ad infrangersi sul
corretto impianto motivazionale adottato dal giudice d’appello
volta che esse, nel loro complesso, pur formalmente abbigliate
in veste di una (peraltro del tutto generica) violazione di
legge e di un decisivo difetto di motivazione (a sua volta
generato dalla pretesa violazione di norme di legge sul piano
dell’interpretazione), si risolvono, nella sostanza, in una
(ormai del tutto inammissibile) richiesta di rivisitazione di
fatti e circostanze come definitivamente accertati in sede di

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controversia in relazione ai danni esistenziali, morali, alla

merito. Il ricorrente, difatti, lungi dal prospettare a questa
Corte un vizio della sentenza rilevante sotto il profilo di cui
all’art. 360 c.p.c., si volge piuttosto ad invocare una diversa
lettura delle risultanze procedimentali così come accertare e
ricostruite dalla corte territoriale, muovendo all’impugnata

sentenza censure del tutto inaccoglibili, perché la valutazione
delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle fra esse – ritenute più idonee a sorreggere la motivazione,
postula un apprezzamento di fatto riservato in via esclusiva al
giudice di merito il quale, nel porre a fondamento del proprio
convincimento e della propria decisione una fonte di prova con
esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione
circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e
logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che
quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza
essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola
risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione
difensiva. E’ principio di diritto ormai consolidato quello per
cui l’art. 360 del codice di rito non conferisce in alcun modo e
sotto nessun aspetto alla corte di Cassazione il potere di
riesaminare il merito della causa, consentendo ad essa, di
converso, il solo controllo – sotto il profilo logico/formale e
della conformità a diritto – delle valutazioni compiute dal
giudice d’appello, al quale soltanto, va ripetuto, spetta
l’individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando
le prove (e la relativa significazione), controllandone la ,
i,

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1

logica attendibilità e la giuridica concludenza, scegliendo, fra
esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in
discussione (salvo i casi di prove cd. legali, tassativamente
previste dal sottosistema ordinamentale civile). Il ricorrente,
nella specie, pur denunciando, apparentemente, vizi di legge e

inammissibilmente (perché in contrasto con gli stessi limiti
morfologici e funzionali del giudizio di legittimità) sollecita
a questa Corte una nuova valutazione di risultanze di fatto
(ormai cristallizzate

quoad effectum)

sì come emerse nel corso

dei precedenti gradi del procedimento, così mostrando di anelare
ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in
un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale
ridiscutere

analiticamente

tanto

il

contenuto,

ormai

cristallizzato, di fatti storici e vicende processuali, quanto
l’attendibilità maggiore o minore di questa o di quella
ricostruzione procedimentale, quanto ancora le opzioni espresse
dal giudice di appello – non condivise e per ciò solo censurate
al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai
propri

desiderata -,

quasi che nuove istanze di fungibilità

nella ricostruzione dei fatti di causa fossero ancora
legittimamente proponibili dinanzi al giudice di legittimità.
La seconda, che investe il

quomodo

della censura in esame,

conseguente alla irredimibile inammissibilità dei quesiti che la
sorreggono.

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deficienze motivazionali della sentenza di secondo grado,

Questo giudice di legittimità ha già avuto più volte modo di
affermare che il quesito di diritto deve essere formulato, ai
sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., in termini tali da
costituire una sintesi logico-giuridica unitaria della
questione, con conseguente inammissibilità del motivo di ricorso

tutto inidonea a chiarire l’errore di diritto imputato alla
sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia
(Cass. 25-3-2009, n. 7197), quanto che sia destinato a
risolversi (Cass. 19-2-2009, n. 4044) nella generica richiesta
(quale quelle di specie) rivolta al giudice di legittimità di
stabilire se sia stata o meno violata – o disapplicata o
erroneamente applicata, in astratto, – una norma di legge. Il
quesito deve, di converso, investire la

ratio decidendi

della

sentenza impugnata, proponendo una alternativa di segno opposto,
funzionale ad una soluzione (e ad una affermazione di principio)
che trascenda la fattispecie concreta sottoposta all’esame del
giudice di legittimità: le stesse sezioni unite di questa corte
hanno chiaramente specificato (Cass. ss. uu. 2-12-2008, n.
28536) che deve ritenersi inammissibile per violazione dell’art.
366 bis cod. proc. civ. il ricorso per cassazione nel quale
l’illustrazione dei singoli motivi sia accompagnata dalla
formulazione di un quesito di diritto che si risolve in una
tautologia o in un interrogativo circolare, che già presupponga
la risposta (ovvero la cui risposta non consenta di risolvere il
caso sub ludice).

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tanto se sorretto da un quesito la cui formulazione sia del

La corretta formulazione del quesito esige, in definitiva (Cass.
19892/09), che il ricorrente
fattispecie concreta, poi
tipico, infine formuli,

dapprima indichi in esso la

la rapporti ad uno schema normativo

in forma interrogativa e non (sia pur

implicitamente) assertiva, il principio giuridico di cui_ si

l’inammissibilità del motivo di ricorso il cui quesito si
risolva (come nella specie) in una generica istanza di decisione
sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo.
Sul tema del cd. “quesito multiplo”, quale quello di specie,
questa Corte ha più volte evidenziato come debba ritenersi
inammissibile il quesito formulato in termini tali da richiedere
una previa attività interpretativa della Corte, come accade
nell’ipotesi in cui sia proposto un quesito multiplo, la cui
formulazione imponga alla Corte di sostituirsi al ricorrente
mediante una preventiva opera di semplificazione, per poi
procedere alle singole risposte che potrebbero essere tra loro
diversificate (Cass. 29 gennaio 2008, n. 1906; 29 febbraio 2008,
n. 5471; 23 giugno 2008, n. 17064). Ebbene, i quesiti formulati
dalla difesa ricorrente appartengono, incontrovertibilmente, a
(in senso ulteriormente specificativo, Cass.

tale species facti

14 giugno 2011, n. 12950, stabilisce che va qualificato come
quesito multiplo

quello che sia formulato in modo tale da

rendere necessaria una molteplicità di risposte da parte della
Corte, e tale altresì che le relative risposte risultino tra
loro differenziate),

onde l’impossibilità, per il collegio, di

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chiede l’affermazione; onde, va ribadito (Cass. 19892/2007)

applicare quella diversa (e condivisa) giurisprudenza (Cass. 31
agosto 2011, n. 17886) secondo la quale, specularmente, il
motivo di ricorso deve ritenersi ammissibile volta che il
ricorrente, pur avendo formulato

distinti e plurimi quesiti di

diritto corrispondenti alle diverse articolazioni di cui si

tuttavia denunciato la violazione di diverse norme di legge con
riferimento ad un’unica, eventualmente fondamentale questione di
diritto oggetto della richiesta decisione.
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.
La disciplina delle spese segue – giusta il principio della
soccombenza – come da dispositivo.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione,
che si liquidano in complessivi E. 1700, di cui E. 200 per
spese.
Così deciso in Roma, li 5.6.2013

compone la censura mossa alla sentenza di merito, abbia pur

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