Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1217 del 17/01/2019

Cassazione civile sez. II, 17/01/2019, (ud. 12/07/2018, dep. 17/01/2019), n.1217

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5623/2014 proposto da:

C.G., rappresentato e difeso dall’Avvocato MARIO PESCA;

– ricorrente –

contro

M.C., anche in proprio, e M.M., entrambi quali

eredi di P.T., deceduta, rappresentato e difeso

dall’Avvocato VINCENZO DESIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 270/2013 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 19/11/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/07/2018 dal Consigliere Dott. ELISA PICARONI;

lette le considerazioni del P.M., in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. PEPE Alessandro, che ha concluso per

rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Salerno, con sentenza depositata il 19 novembre 2013 e notificata il 2 dicembre 2013, ha accolto l’appello principale proposto da M.C. e rigettato l’appello incidentale proposto da C.G. avverso la sentenza del Tribunale di Vallo della Lucania n. 715 del 2006 e nei confronti di P.T..

1.1. Il Tribunale aveva dichiarato inammissibile l’opposizione proposta dal M. al Decreto Ingiuntivo n. 335 del 1993, con il quale l’architetto C. aveva intimato al M. e alla P. il pagamento di Lire 25.879.295, oltre interessi e spese, a titolo di compenso per la redazione di un progetto di lottizzazione. Lo stesso Tribunale aveva accolto l’opposizione proposta dalla P. e revocato il decreto ingiuntivo nei suoi confronti.

2. La Corte d’appello ha riformato la decisione, ritenendo tempestiva l’opposizione a decreto ingiuntivo proposta dal M., e infondata nel merito la pretesa del professionista, giacchè era provato che le parti avevano condizionato il pagamento del progetto all’approvazione del piano di lottizzazione, circostanza che non risultava essersi verificata.

3. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso C.G., sulla base di cinque motivi. Hanno resistito con controricorso M.C. in proprio e, unitamente a M.M., in qualità di erede della madre P.T.. Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte, ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c. e le parti controricorrenti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso è infondato.

2. Con il primo motivo è denunciata violazione dell’art. 641 c.p.c. e si contesta la mancata declaratoria di improcedibilità dell’opposizione, ovvero quanto meno di inammissibilità, tenuto conto che l’opponente M. non aveva prodotto il decreto ingiuntivo notificato nè una copia dello stesso, con la conseguenza che non era stato possibile verificare la tempestività dell’opposizione.

2.1. La doglianza è infondata.

Secondo la giurisprudenza costante e consolidata di questa Corte regolatrice, la produzione della copia notificata del decreto ingiuntivo non è richiesta a pena di improcedibilità dell’opposizione – che non è mezzo di impugnazione e quindi non soggiace alla relativa disciplina – e inoltre, ai fini dell’ammissibilità dell’opposizione, l’osservanza del termine fissato dall’art. 641 c.p.c., può essere desunta da altri sicuri elementi, ivi compreso il comportamento processuale della parte opposta (ex plurimis, Cass. 01/10/2012, n. 16673; Cass. 26/06/2008, n. 17495).

La Corte d’appello ha fatto applicazione dei principi richiamati rilevando, per un verso, che l’opponente M. aveva prodotto certificazione rilasciata dal dirigente dell’UNEP di Vallo della Lucania, attestante l’avvenuta notifica del decreto ingiuntivo a mezzo raccomandata in data 1 dicembre 1993, e, per altro verso, che l’opposto C. aveva dichiarato, nel primo atto difensivo (comparsa di risposta), che il decreto ingiuntivo era stato notificato in data 3 dicembre 1993.

3. Con il secondo motivo è denunciata violazione della L. n. 340 del 1976, che sancisce l’inderogabilità dei minimi tariffari, con conseguente nullità della pattuizione di compensi inferiori e, nella specie, del patto in forza del quale il compenso non sarebbe stato dovuto in caso di mancata approvazione del progetto da parte del competente Comune.

3.1. La doglianza è infondata.

Il tema controverso non è la derogabilità dei minimi tariffari, ma l’ammissibilità del patto con il quale le parti, nell’esercizio dell’autonomia contrattuale, abbiano subordinato il diritto al compenso dell’attività svolta dal libero professionista alla realizzazione di un determinato risultato, che nella specie risiedeva nell’approvazione del progetto di lottizzazione.

4. Con il terzo motivo è denunciata violazione degli artt. 2722 e 2725 c.c. e si contesta la ritenuta ammissibilità della prova per testi del patto che condizionava il pagamento del compenso al professionista – peraltro in contrasto con la documentazione prodotta – nonostante la tempestiva eccezione formulata dalla difesa del medesimo professionista.

5. Con il quarto motivo è denunciata violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e nullità della sentenza per motivazione apparente sull’attendibilità dei testi escussi, nonchè violazione o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., avuto riguardo alla valutazione della prova.

6. Con il quinto motivo è denunciata violazione degli artt. 1362,1363,1371 c.c., sull’interpretazione del contratto, nonchè vizio di motivazione, e si contesta il rigetto del gravame incidentale con il quale l’architetto C. aveva eccepito l’avveramento della condizione cui era subordinato il pagamento del compenso.

7. I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente perchè censurano sotto plurimi profili la ricostruzione in fatto svolta dalla Corte d’appello, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

7.1. Il ricorrente censura l’interpretazione del contratto ma non riporta il testo contrattuale, così impedendo in radice il sindacato di questa Corte, con conseguente inammissibilità del motivo. La parte che intenda denunciare con il ricorso per cassazione un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una o più clausole contrattuali, non può limitarsi a richiamare genericamente le regole di cui agli artt. 1362 c.c. e segg., giacchè le censure non possono risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata. La stessa parte è quindi onerata della specificazione dei canoni che in concreto assuma violati ed il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, e, in ossequio al principio di autosufficienza, della trascrizione delle clausole contrattuali e dei documenti sui quali assume essersi verificato l’errore del giudice di merito, al fine di consentire alla Corte di verificare la sussistenza dell’errore ovvero di apprezzare il denunciato deficit motivazionale (ex plurimis Cass. 15/11/2013, n. 25728; Cass. 04/06/2010, n. 13587).

7.2. Non sussiste la denunciata violazione degli artt. 2722 c.c. e segg., in quanto il contratto in oggetto non rientra nel novero dei contratti per i quali è richiesta la forma scritta ad substantiam o ad probationem, mentre non è sindacabile il profilo del contrasto tra la prova testimoniale e la documentazione prodotta dalle parti. Secondo quanto si legge nella sentenza impugnata, la documentazione consisteva negli elaborati progettuali presentati dal professionista “e sottoscritti, come è logico, dai committenti” (pag. 5 della sentenza). Il giudizio di irrilevanza così espresso dalla Corte d’appello non è in alcun modo censurato, e il ricorrente non chiarisce la ragione per cui l’ulteriore documentazione richiamata – una relazione sottoscritta dai committenti sarebbe stata di ostacolo all’ammissione della prova per testi dell’accordo riguardante il pagamento del compenso.

7.3. Risulta inammissibile la censura riguardante la valutazione della prova testimoniale, anche sotto il profilo delle attendibilità dei testi. Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte regolatrice, la valutazione delle risultanze delle prove ed il giudizio sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili (ex plurimis, Cass. 23/05/2014, n. 11511), e il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio -, nè in quello dell’art. 360, n. 4, disposizione che, per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (Cass. 10/06/2016, n. 11892).

Nella specie, la Corte d’appello ha argomentato che le convergenti dichiarazioni dei testi dimostravano l’avvenuta conclusione dell’accordo con il quale le parti avevano subordinato il pagamento del compenso all’approvazione del progetto da parte del Comune, ed ha poi escluso, coerentemente, che il motivo della mancata approvazione riconducibile alla modifica del Piano regolatore e non all’inadeguatezza del progetto – potesse incidere sul diritto al compenso, essendo quest’ultimo collegato, sotto il profilo del sinallagma, al risultato utile per i committenti costituito dall’approvazione del progetto.

8. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, nella misura indicata in dispositivo. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 12 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2019

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA