Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12160 del 22/06/2020

Cassazione civile sez. I, 22/06/2020, (ud. 20/11/2019, dep. 22/06/2020), n.12160

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. MACRI’ Ubalda – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 31528/2018 proposto da:

K.S., rappresentato e difeso dall’avv. Gaetano Mario

Pasqualino, in virtù di nomina e procura speciale in atti, ed

elettivamente domiciliato in Roma, alla via Alberico II, n. 4,

presso lo studio dell’avv. Mario Antonio Angelelli;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO rappresentato e difeso dall’avvocato (Ndr:

testo originale non comprensibile);

– resistente con atto di costituzione –

avverso il Decreto n. 1670/2018 del Tribunale di Palermo depositato

il 4/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 20/11/2019 dal Consigliere relatore MacrìUbalda.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Palermo ha rigettato la domanda del ricorrente di riconoscimento dello status di rifugiato, di protezione sussidiaria e di protezione umanitaria, confermando le conclusioni della Commissione territoriale di Palermo in data 21 settembre 2017, che aveva ritenuto non sussistenti i presupposti di legge per accordare le tutele richieste, siccome il K. aveva dichiarato di aver abbandonato il suo Paese per motivi economici.

Il Tribunale ha escluso i presupposti della protezione sussidiaria considerato che il Senegal era in fase di pacificazione, in particolare nella regione della Casamance, e che era considerato dalla comunità internazionale come uno Stato “esportatore di pace”. Ha ritenuto irrilevante il transito in Libia, perchè dovevano essere considerate prioritariamente le condizioni del Paese d’origine e, ove necessario, quelle del Paese di transito, nella misura in cui si fosse ivi radicato, abitandovi per un lasso di tempo apprezzabile e lavorandovi. Ha infine escluso i presupposti del permesso per motivi umanitari, avuto riguardo all’età del richiedente, all’assenza di comprovate patologie non curabili in patria nonchè del radicamento nel tessuto economico-sociale dello Stato italiano. Le condizioni di debolezze economica non erano condizioni sufficienti ai fini del riconoscimento della misura.

Il ricorrente chiede la cassazione del decreto del Tribunale di Palermo sulla base di un solo motivo.

Il Ministero dell’Interno non si è costituito, ma ha chiesto di partecipare all’udienza di discussione della causa ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con un unico motivo il ricorrente lamenta il diniego del permesso per motivi umanitari, perchè il Tribunale di Palermo non aveva effettuato la valutazione comparativa tra le concrete possibilità di migliori condizioni di vita in Italia rispetto a quelle in Senegal, in caso di rimpatrio, non aveva considerato il conflitto armato nell’area di provenienza nonchè la sua vicenda personale. Asserisce che era originario della regione di Sedhiu, che si trovava nella media Casamance, interessata dal conflitto tra il Governo ed il movimento indipendentista del MFDC, ormai trentennale, come desumibile dai documenti ufficiali Ministero degli Esteri e dai rapporti di Amnesty International. Sostiene che la predetta valutazione comparativa doveva tenere in debita considerazione il suo vissuto, i traumi patiti in Libia, il tempo trascorso in Italia, lo specifico sforzo di integrazione e vulnerabilità, nonchè la concreta valutazione di un rimpatrio in sicurezza e della possibilità di usufruire delle medesime opportunità nella sua zona di provenienza. Conclude chiedendo la cassazione del decreto con vittoria delle spese.

Il motivo è manifestamente infondato.

Il ricorrente ha riferito alla Commissione territoriale che, a causa dei problemi economici causati dal conflitto in Senegal, all’età di 17 anni aveva attraversato il Mali, il Burkina Faso, il Niger ed era arrivato in Libia ove era rimasto un anno ed otto mesi, era stato fatto prigioniero più di una volta, aveva subito maltrattamenti di ogni genere patendo la fame e rischiando la vita. Tre giorni prima di imbarcarsi per l’Italia, i libici gli avevano sparato al piede ed in Italia aveva ricevuto le cure del caso (intervento chirurgico e terapia farmacologica). Aveva svolto un percorso di integrazione lodevole, mostrandosi educato e collaborativo nel centro ove era ospitato, frequentando i corsi di italiano e mostrando in modo evidente i traumi subìti. Si era introdotto nel mondo del lavoro con un contratto stagionale.

Nel ricorso per cassazione non ha censurato specificamente la ricostruzione dei fatti e le conclusioni giuridiche tratte dal Tribunale.

Orbene, osserva questo Collegio che la decisione del Tribunale è in linea con il più recente orientamento giurisprudenziale di legittimità che ha affermato che in materia di protezione umanitaria, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (Cass., Sez. 1, n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298 e Cass., Sez. U, n. 29459 del 13/11/2019).

Il Tribunale ha compiuto tale giudizio di comparazione pervenendo al rigetto dell’istanza sulla base di argomenti solidi e razionali. Ed invero, ha evidenziato che il Senegal non era più sede di scontri tra i movimenti indipendentisti e lo Stato e che si registrava negli ultimi tempi, sotto la guida di un Presidente eletto democraticamente, un’apprezzabile crescita economica con aumento del PIL del 3-4% all’anno. Tale assunto non è stato ribaltato dal ricorrente che si è limitato a riferire che a gennaio 2018 il sito del Ministero degli esteri (dato più recente, tra quelli indicati nel ricorso) riportava che nella regione della Casamance si trascinavano gli effetti di un trentennale conflitto di matrice indipendentista e saltuariamente si verificavano degli scontri armati tra le forze di sicurezza senegalesi ed i ribelli, situazione questa che non contrastava, ma anzi era perfettamente compatibile con quanto accertato dal Tribunale (si veda Cass., Sez. 1, n. 28990 del 12/11/2018, Rv. 651579, per la quale la verifica delle condizioni politiche e socioeconomiche del Paese d’origine dev’essere aggiornata all’attualità della decisione).

Inoltre, il ricorrente non si era radicato in Libia, come si poteva evincere dalle sue stesse dichiarazioni da cui era emerso che i periodi di prigionia erano intervallati da periodi di lavoro (si veda sul punto Cass., Sez. 1, n. 13096 del 15/05/2019, Rv. 653885, secondo cui deve provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in condizioni di vulnerabilità, da valutare caso per caso, anche considerando le violenze subite nel Paese di transito e di temporanea permanenza del richiedente asilo, potenzialmente idonee, quali eventi in grado di ingenerare un forte trauma, ad incidere sulla condizione di vulnerabilità della persona).

Nè è possibile apprezzare dalla relazione del Centro, che aveva riferito di frequenti momenti di silenzio, il predetto trauma.

Certamente, (il ricorrente a cui era stato sparato al piede era stato curato in Italia, ma il Tribunale ha affermato che le condizioni di salute erano adeguate e che comunque non poteva considerarsi radicato sul territorio italiano, solo sulla base di un contratto stagionale.

Tale accertamento di fatto non è censurabile nel presente giudizio di legittimità. D’altra parte non è emerso il rischio della compromissione dei diritti umani, in caso di rientro nel Paese d’origine, in ragione delle condizioni di stabilità politica e progresso economico del Senegal (Cass., Sez. 6-1, n. 17072 del 28/06/2018, Rv. 649648).

In conclusione, il ricorso è inammissibile.

Nulla per le spese, siccome l’intimato non ha svolto attività difensiva.

Sussistono invece, nella specie, i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso per cassazione, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater. Ciò si deve fare a prescindere dal riscontro dell’eventuale provvedimento di ammissione provvisoria del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato, poichè la norma esige dal giudice unicamente l’attestazione dell’avere adottato una decisione di inammissibilità o improcedibilità o di reiezione integrale dell’impugnazione, anche incidentale, competendo poi in via esclusiva all’Amministrazione di valutare se, nonostante l’attestato tenore della pronuncia, vi sia in concreto, per la presenza di fattori soggettivi, la possibilità di esigere la doppia contribuzione (Cass. n. 9661/2019, la cui articolata motivazione si richiama).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 20 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2020

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