Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12159 del 14/06/2016
Cassazione civile sez. III, 14/06/2016, (ud. 22/03/2016, dep. 14/06/2016), n.12159
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –
Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –
Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –
Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –
Dott. DI MARZIO Fabrizio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 26963/2012 proposto da:
L.A., (OMISSIS) titolare della impresa
individuale CASAGARDEN DI A.L., elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA CRESCENZIO N. 58, presso lo studio
dell’avvocato BRUNO COSSU, che la rappresenta e difende unitamente
agli avvocati SAVINA BOMBOI, PAOLO TOFFOLI giusta procura speciale
a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
AEDES SPA, in persona dell’Amministrazione Delegato e Legale
Rappresentante Dott. R.G., elettivamente domiciliata in
ROMA, VIA PANAMA 52, presso lo studio dell’avvocato GIANLUCA
SANTILLI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato
FRANCO CASARANO giusta procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 181/2012 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,
depositata il 04/04/2012, R.G.N. 567/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
22/03/2016 dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI;
udito l’Avvocato SAVINA BOMBOI;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
CELESTE Alberto, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Aedilia Undici Srl, ora Aedes S.p.A., otteneva dal Tribunale di Udine il Decreto Ingiuntivo n. 2122 del 2009, che ordinava a L.A. di pagare Euro 75.348,20 come quota di spese generali e di spese promo-pubblicitarie del Centro Commerciale (OMISSIS) ove si trovava il negozio di Casagarden di L.A., quota dovuta in forza di contratto di affitto di ramo di azienda.
Essendosi la L. opposta, contestando il credito come dovuto e la legittimazione attiva della controparte, ed avendo presentato domanda riconvenzionale di risarcimento di danni per violazione del patto di esclusiva e per infiltrazioni dal soffitto di acqua piovana, con sentenza n. 225/2011 il Tribunale di Udine revocava il decreto ingiuntivo, rigettava la relativa domanda e accoglieva le domande risarcitorie della L. per la somma di Euro 39.760,80.
Avendo la L. proposto appello contro tale sentenza – per avere il Tribunale ritenuto che le infiltrazioni avessero investito solo mq 100 e non circa mq 650 del negozio, e calcolato erroneamente il quantum sia del danno da infiltrazione sia del danno da violazione di patto di esclusiva – e avendo controparte proposto appello incidentale chiedendo la conferma del decreto ingiuntivo e il rigetto delle domande riconvenzionali, la Corte d’appello di Trieste, con sentenza del 20 marzo-4 aprile 2012, rigettava l’appello principale e accoglieva parzialmente l’appello incidentale, respingendo l’opposizione al decreto ingiuntivo e confermando la sentenza impugnata nel resto.
2. Ha presentato ricorso L.A. sulla base di due motivi, entrambi denuncianti vizi motivazionali, sui quali ha depositato anche memoria ex art. 378 c.p.c..
Aedes S.p.A., si difende con controricorso, chiedendo il rigetto del ricorso.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
3. Il ricorso è infondato.
3.1 Il primo motivo lamenta omessa/insufficiente motivazione sul fatto decisivo e controverso rappresentato dalla inidoneità dei documenti prodotti dalla controparte per dimostrare l’esistenza del credito per le spese “condominiali” in sede monitoria. Il giudice d’appello ha ritenuto sufficienti a provare l’esistenza del credito il preventivo di spesa, il riparto consuntivo 2008, il conguaglio oneri 2007 e il contratto di affitto, documenti che sarebbero in realtà privi di rilevanza probatoria vista la contestazione del credito fatta dall’opponente, in quanto il contratto d’affitto nulla prevedeva a proposito della concreta debenza della somma ingiunta, e gli altri documenti consistevano in tabulati privi di intestazione, non riferibili all’organo di gestione (Agorà Srl), di provenienza ignota e mai approvati.
Questo motivo patisce una evidente natura di valutazione direttamente fattuale, per di più estrapolando alcuni elementi – i documenti 1 e 3 della fase monitoria, nonchè i documenti 7 e 9 prodotti dall’opposta nella fase di cognizione piena di primo grado – dal compendio probatorio complessivo, comprendente anche fatture e mandato alla Aedes di riscuotere. E’ dunque inammissibile (ex multis, v. p. es. Cass. sez. 6 – 5, ord. 8 gennaio 2015 n. 101), mirando in modo inequivoco ad ottenere dal giudice di legittimità una revisione dell’accertamento di merito sull’esistenza del credito di cui si tratta che travalica i limiti della sua giurisdizione.
3.2 Il secondo motivo lamenta omesso esame di fatti decisivi riguardanti la coincidenza della superficie resa inagibile dalle piogge con la metà all’incirca della superficie del negozio, non essendo coinvolti quindi soltanto i 100 metri quadri ritenuti dai giudici di merito. Al riguardo, nella sua motivazione il giudice d’appello riconosce che i testi hanno riferito un coinvolgimento di circa la metà della superficie, ma poi ritiene che le testimonianze perdano significato per l’esistenza di una lettera del 14 febbraio 2008 della legale rappresentante di parte opponente, nella quale si dichiarava che il danno era circoscritto appunto a una superficie di 100 metri quadri. E su ciò la ricorrente lamenta che la lettera non avrebbe potuto privare di rilievo le testimonianze, dal momento che i danni si erano verificati anche nei mesi successivi a febbraio, e che comunque tale lettera non avrebbe potuto assumere alcun valore confessorio, essendo stata sottoscritta unicamente dal difensore della L..
Deve in primo luogo osservarsi che l’argomento sulla persistenza di danni in epoca successiva alla data della lettera e che ciò avrebbe dovuto preservare la significatività probatoria alle dichiarazioni testimoniali integra, a ben guardare, una inammissibile proposta di valutazione dell’esito probatorio alternativa a quella adottata dal giudice di merito, il quale in sostanza ha ritenuto insufficiente la prova testimoniale visto il contrasto con una prova documentale riguardante comunque lo stesso elemento fattuale, cioè l’ampiezza delle infiltrazioni. E che successivamente all’epoca della lettera vi siano stati altri fenomeni di infiltrazione è, d’altronde, un elemento direttamente fattuale che la ricorrente intende far rientrare nella cognizione del giudice di legittimità, implicitamente invitandolo, quindi, a confrontarsi direttamente con il contenuto delle dichiarazioni testimoniali, delle quali infatti inserisce nel ricorso un’ampia trascrizione, vieppiù dimostrando in tal modo il proprio – inammissibile – perseguimento di un terzo grado di merito.
Non riveste peraltro tale natura inammissibilmente fattuale il rilievo attinente all’avere il giudice di merito attribuito valore confessorio alla lettera in questione, dichiarandola sottoscritta dalla legale rappresentante della ditta laddove risulta sottoscritta solo dal suo legale. A prescindere dalla non inequivocità di un simile asserto come emergente dalla motivazione della sentenza impugnata (il giudice d’appello non dichiara che la missiva del 14 febbraio 2008 sia una confessione stragiudiziale, limitandosi ad una ben più generica osservazione nel senso che le dichiarazioni testimoniali “perdano di significato a fronte della missiva”), anche nel caso in cui sia qualora fosse stato indubbiamente dichiarato da parte della corte territoriale che la lettera abbia valore confessorio, la questione che ne deriva non risulta sussumibile in un vizio motivazionale. Si tratterebbe, invece, ictu oculi di una questione di violazione di legge, potendo attribuire a una dichiarazione stragiudiziale valore confessorio solo la sottoscrizione della parte sostanziale o di chi per essa ha apposita procura (cfr. art. 2735 c.c., comma 1: questione che però la ricorrente non ha denunciato, qualificando il motivo integralmente come “omesso esame di fatti decisivi”, ovvero ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Non essendovi allora spazio per una riqualificazione da parte del giudice della doglianza (cfr. Cass. sez. 3, 11 maggio 2012 n. 7268, Cass. sez. 6-3, ord. 29 maggio 2012 n. 8585, Cass. sez. 3, 11 settembre 2013 n. 21099), per la quale sarebbe necessaria una totale translatio della censura dalla specie del vizio motivazionale – che attiene esclusivamente all’esternazione da parte del giudice di merito dell’accertamento fattuale da lui espletato (Cass. sez. 3, 14 febbraio 2012 n. 2107, Cass. sez. 5, 2 febbraio 2002 n. 1374; Cass. sez. 2, 10 maggio 1996 n. 4388; Cass. sez. 1, 14 giugno 1991 n. 6752;
Cass. sez. 2, 22 gennaio 1976 n. 199) – ad una specie di motivo radicalmente diversa – che attiene esclusivamente a questioni di diritto -, anche questa parte del motivo non risulta meritevole di accoglimento.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione a controparte delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere a controparte le spese processuali, liquidate in un totale di Euro 10.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre gli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 22 marzo 2016.
Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2016