Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12157 del 14/06/2016

Cassazione civile sez. III, 14/06/2016, (ud. 22/03/2016, dep. 14/06/2016), n.12157

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26478/2012 proposto da:

A.C., (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA COLA DI RIENZO 212, presso lo studio dell’avvocato

DANILA PAPARUSSO, rappresentata e difesa dall’avvocato MICHELE

FRANCO giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AMMINISTRAZIONE PROVINCIALE DI NAPOLI, in persona del Presidente

della Giunta Provinciale P.A., elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DI PROPAGANDA 16, presso lo studio

dell’avvocato GENNARO FAMIGLIETTI, rappresentata e difesa dagli

avvocati ALFREDO PERILLO, ALDO DI FALCO giusta procura speciale a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2919/2011 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 29/09/2011, R.G.N. 3716/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/03/2016 dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI;

udito l’Avvocato DANILA PAPARUSSO per delega;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per l’inammissibilità in subordine

per il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con citazione dell’8 novembre 2002 A.C. conveniva davanti al Tribunale di Nola l’Amministrazione Provinciale di Napoli, esponendo, quale proprietaria locatrice di immobile sito in (OMISSIS) locato alla suddetta con contratto del 16 marzo 1989 –

per la durata di sei anni da rinnovarsi automaticamente per altri sei – e adibito a istituto scolastico, che con missiva da lei ricevuta il 7 ottobre 2000 la conduttrice le aveva comunicato di volerglielo riconsegnare, e che a ciò ella si era opposta per assenza di valida disdetta; chiedeva pertanto la condanna della convenuta al pagamento dei canoni scaduti e al risarcimento dei danni all’immobile. La convenuta si costituiva, resistendo. Si costituiva controparte, resistendo e proponendo anche domande riconvenzionali: in tesi, l’accertamento della intervenuta risoluzione del contratto L. n. 392 del 1978, ex art. 27 e, in subordine, la dichiarazione di risoluzione del contratto per inadempimento di del locatore tali da rendere l’immobile in idoneo all’uso per cui era stato locato.

Mutato il rito, con sentenza n. 473/2008 il Tribunale di Nola, respinte le domande riconvenzionali, condannava la convenuta al pagamento dei canoni maturati fino alla riconsegna dell’immobile nonchè al risarcimento del danno per Euro 157.793 oltre Iva, compensando le spese.

Avendo l’Amministrazione Provinciale di Napoli proposto appello contro tale sentenza, la Corte d’appello di Napoli, con sentenza del 21-29 settembre 2011, in parziale riforma, dichiarava cessato il rapporto locatizio in data 10 maggio 2001 per recesso della conduttrice L. n. 392 del 1978, ex art. 27, u.c. e condannava l’Amministrazione Provinciale a pagare i canoni maturati fino a tale data, confermando altresì la condanna al risarcimento dei danni come quantificato dal Tribunale di Nola e compensando le spese di entrambi i gradi.

2. Ha presentato ricorso A.C., sulla base di tre motivi, il primo denunciante omesso esame di fatto decisivo e violazione dell’art. 2697 c.c., il secondo omesso esame di fatto decisivo e violazione degli artt. 1590 e 1591 c.c. e il terzo violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 e 2043 c.c., L. n. 633 del 1972, artt. 1 e 18.

L’Amministrazione Provinciale di Napoli si è difesa con controricorso e ha poi depositato anche memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

3.1 Il primo motivo denuncia, come omesso esame di fatto decisivo e violazione dell’art. 2697 c.c., la omessa considerazione del fatto che la disdetta anticipata per gravi motivi del 10 novembre 2000, ritenuta valida dalla corte territoriale, era avvenuta dopo la lettera del 7 ottobre 2000 con cui la controparte manifestava alla attuale ricorrente la volontà di riconsegnare l’immobile il 18 ottobre 2000 alla quale la locatrice aveva risposto chiedendo “spiegazioni circa l’incompresa volontà dell’Ente di riconsegnare l’immobile, atteso che alla stessa non fosse pervenuto alcun preavviso di disdetta”.

Secondo la ricorrente il ricorso al recesso anticipato avrebbe dovuto costituire mezzo estremo, dopo che la locatrice aveva opposto rifiuto motivato alla riconsegna, ma il giudice d’appello avrebbe valorizzato la denuncia dei “gravi motivi” di recesso ritenendoli “strumentalmente addotti e finalizzati alla disdetta anticipata”.

Non si comprende, in effetti, in che cosa consisterebbe il fatto decisivo di cui la corte territoriale avrebbe omesso l’esame, dato che, come appena sintetizzato, quel che la ricorrente imputa alla corte non è propriamente una omessa valutazione, bensì la valorizzazione in senso positivo – a suo avviso infondata -, della denuncia da parte della conduttrice di gravi motivi giustificativi di recesso ai fini della disdetta anticipata. Nè, d’altronde, potrebbe qualificarsi fatto decisivo, ovviamente, uno scambio di comunicazioni tra le parti contrattuali anteriori alla manifestazione della disdetta anticipata, poichè quel che rileva, ovvero quel che è decisivo, è la sussistenza o meno dei presupposti per quest’ultima, certamente non identificabili nelle suddette comunicazioni. E, per quanto riguarda tali presupposti, la corte ha chiaramente evidenziato che la conduttrice “aveva motivato il proprio recesso per essere l’immobile non idoneo all’uso scolastico, essendo sprovvisto delle certificazioni in materia di idoneità e sicurezza”, rilevando che ciò non era stato ritenuto dal primo giudice idoneo a legittimare il recesso e osservando che tale valutazione non poteva reputarsi condivisibile in quanto, “sebbene sinteticamente indicati, i motivi per la risoluzione anticipata del rapporto sono assolutamente validi”: ciò considerato che quando il contratto stipulato e l’immobile fu consegnato, quest’ultimo “era provvisto delle certificazioni previste dalla legge per l’uso scolastico”, che però la proprietà non aveva poi rinnovato, rimanendo inerte anche dopo la ricezione della disdetta con la comunicazione dei motivi di recesso.

Aggiunge poi la ricorrente che il giudice d’appello avrebbe omesso di considerare che “proprio in ragione delle contestazioni dell’ A.” l’Amministrazione aveva chiesto una prova orale per confermare una relazione tecnica dell’UTP e una c.t.u. sull’idoneità dei locali all’uso scolastico, richieste che “non furono più coltivate in sede conclusiva” ma che avrebbero denotato “l’avvertita assunzione dell’onere probatorio” da parte dell’Amministrazione. Ma, anche a proposito di questo, non può non rilevarsi l’inesistenza di un fatto decisivo che sarebbe stato omesso, nella valutazione della regiudicanda, da parte della corte territoriale, dal momento che ictu oculi una istanza istruttoria non può costituirlo. Nè, d’altronde, è configurabile violazione alcuna dell’art. 2697 c.c. – come pure adduce la ricorrente – poichè non compete al giudice di legittimità valutare la necessità o meno di assumere prove per accertare il fatto, ciò essendo riservato al giudice di merito: e il giudice di merito ha ritenuto evidentemente superflue ulteriori aggiunte istruttorie, laddove ha motivato sull’effettiva sussistenza, nel caso concreto, dei gravi motivi L. n. 392 del 1978, ex art. 27, u.c..

Il primo motivo, pertanto, risulta del tutto infondato.

3.2 I secondo motivo lamenta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, omesso esame di fatto decisivo e violazione degli artt. 1590 e 1591 c.c.. Il fatto decisivo consisterebbe nell’essere rimasto l’immobile nella disposizione della Amministrazione Provinciale fino al maggio 2006, per cui si dovevano ritenere dovuti i canoni maturati fino a tale data.

Al riguardo, in primis occorre rilevare che l’omessa valutazione di un fatto decisivo non può essere denunciata se non con il mezzo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, strumento che, nel caso in esame, non è stato utilizzato dalla ricorrente, e che non può essere oggetto di correzione riqualificante da parte del giudice (l’erroneo scambio vizio di diritto/vizio motivazionale nell’ambito tassativo dell’art. 360, conduce alla inammissibilità del ricorso:

Cass. sez. 3, 11 maggio 2012 n. 7268, Cass. sez. 6-3, ord. 29 maggio 2012 n. 8585, Cass. sez. 3, 11 settembre 2013 n. 21099). Ma soprattutto deve darsi atto che, nel presente motivo, la ricorrente sostiene che l’Amministrazione Provinciale avrebbe dovuto corrisponderle i canoni locatizi per tutto il tempo in cui l’immobile era rimasto nella sua disponibilità, cioè fino al maggio 2006, a prescindere quindi dal momento in cui il contratto si era risolto.

Ciò confligge con il chiaro insegnamento della giurisprudenza di questa Suprema Corte, per cui, nel caso di recesso L. n. 392 del 1978, ex art. 27, u.c., i canoni devono essere corrisposti soltanto fino alla scadenza del termine semestrale di preavviso, proprio per l’effetto risolutivo discendente dal recesso del conduttore, e indipendentemente quindi dalla data in cui viene effettuato il materiale rilascio dell’immobile (Cass. sez. 3, 27 aprile 2011 n. 9415; Cass. sez. 3, 27 novembre 2006 n. 25136).

Anche il secondo motivo, dunque, non merita accoglimento.

3.3 Il terzo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 e 2043 c.c., L. n. 633 del 1972, artt. 1 e 18, per avere la corte territoriale accolto l’appello quanto alla non debenza dell’Iva sul quantum dei danni accertati, invocando la ricorrente una giurisprudenza (Cass. sez. 3, 14 ottobre 1997 n. 10023 e Cass. sez. 3, 27 gennaio 2010 n. 1688) che sarebbe con ciò confliggente.

Tale giurisprudenza, in realtà, attiene alla peculiare fattispecie del risarcimento dei danni a un veicolo, che viene a costituire direttamente una prestazione di servizi – in tal caso, di riparazione – (Cass. sez. 3, 14 ottobre 1997 n. 10023: “Poichè il risarcimento del danno si estende agli oneri accessori e consequenziali, se esso è liquidato in base alle spese da affrontare per riparare un veicolo, il risarcimento comprende anche l’IVA, pur se la riparazione non è ancora avvenuta – e a meno che il danneggiato, per l’attività svolta, abbia diritto al rimborso o alla detrazione dell’IVA versata – perchè l’autoriparatore, per legge (D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 18), deve addebitarla, a titolo di rivalsa, al committente”; Cass. sez. 3, 27 gennaio 2010 n. 1688 è conforme).

Invero, l’Iva consegue alla cessione di beni e alla prestazione di servizi, e dunque non al risarcimento di danni (v. Cass. sez. 1, 23 maggio 2000 n. 6693 – citata anche dalla controricorrente -, che rimarca come, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, ex art. 15, “non concorrono a formare la base imponibile dell’IVA – che consegue alla cessione dei beni e alla prestazione dei servizi – le somme dovute a titolo di risarcimento del danno”; sulla stessa linea Cass. sez. 5, 6 novembre 2001 n. 13734; Cass. sez. 3, 7 giugno 2006 n. 13345; Cass. sez. 5, 27 giugno 2008 n. 17633; e cfr. pure Cass. sez. 5, 18 giugno 2009 n. 14112). Infondato è pertanto anche il terzo motivo.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione a controparte delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere a controparte le spese processuali, liquidate in un totale di Euro 10.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre gli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 22 marzi 2016.

Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2016

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