Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12156 del 22/06/2020

Cassazione civile sez. I, 22/06/2020, (ud. 20/11/2019, dep. 22/06/2020), n.12156

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. PACILLI Giuseppina A. R. – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31614/2018 proposto da:

O.K., elettivamente domiciliato in Roma Via Cassiodoro

n. 6, presso lo studio dell’avvocato Costa Maria Rosaria, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Gurrado Vincenzo;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di Potenza, depositato il

26/09/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di

consiglio del 20/11/2019 dal Cons. PACILLI GIUSEPPINA ANNA ROSARIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con decreto del 26 settembre 2018, il Tribunale di Potenza ha respinto la domanda proposta da O.K., nativo della Nigeria, volta al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione internazionale o umanitaria.

Il Tribunale di Potenza ha ritenuto che non ricorressero i presupposti per il riconoscimento della protezione, invocata dal richiedente, avuto riguardo alle dichiarazioni rese da quest’ultimo e alla situazione generale della Nigeria, rappresentata nel decreto impugnato con indicazione delle fonti di conoscenza.

Avverso il descritto decreto il richiedente ricorre per cassazione, affidandosi a tre motivi, mentre il Ministero dell’Interno non resiste.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1) Con il primo motivo si denuncia la violazione della Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, sul rilievo che il Tribunale di Potenza non avrebbe applicato il principio dell’onere probatorio attenuato, vigente nella materia, ed avrebbe omesso di valutare la credibilità del richiedente alla luce dei parametri stabiliti dalla D.Lgs., art. 3.

Il motivo è manifestamente infondato.

Questa Corte ha più volte affermato che la domanda di protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli di ufficio (Cass., 29 ottobre 2018, n. 27336; 28 settembre 2015, n. 19197).

L’art. 3 citato, infatti, stabilisce che il richiedente “è tenuto a presentare… tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la medesima domanda”. Il richiedente, quindi, non gode di alcuna agevolazione rispetto alle regole ordinarie del giudizio civile, tale da giustificare un quadro assertivo non adeguatamente circostanziato.

Una volta allegati, i fatti, posti a sostegno della domanda di protezione internazionale, vanno provati dal richiedente, sia pure entro speciali limiti e con peculiari agevolazioni. Si è in particolare affermato (Cass., 12 giugno 2019 n. 15794) che la già citata previsione, che sollecita il richiedente a depositare la documentazione necessaria, rende evidente che, in linea di principio, il giudizio, volto al riconoscimento della protezione internazionale, è governato dalle regole generali dettate in ordine al riparto dell’onere probatorio dall’art. 2697 c.c., comma 1, con la conseguenza che, se la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale non è provata, la domanda è da rigettare.

Se il richiedente, però, proprio a cagione delle persecuzioni o danni gravi subiti nel Paese di provenienza, o anche solo paventati, non è in grado di offrire la prova delle circostanze allegate, il principio dispositivo è attenuato e sorge il dovere c.d. di cooperazione istruttoria. Stabilisce difatti il comma 5 del menzionato art. 3, che, qualora taluni elementi, posti a sostegno della domanda di protezione internazionale, non siano suffragati da prove (prove che dunque la norma ribadisce di porre di regola a carico dell’interessato), essi sono considerati veritieri, ove possa ritenersi che il richiedente, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda:

1) abbia compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla e, così, abbia offerto tutti gli elementi pertinenti in suo possesso ed abbia fornito una idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi;

2) abbia fornito dichiarazioni coerenti e plausibili e non in contraddizione con le informazioni generali e specifiche, pertinenti al suo caso, di cui si dispone, e risulti, in generale credibile.

Il dovere di cooperazione istruttoria, collocato esclusivamente dal versante probatorio, trova, quindi, “per espressa previsione normativa, un preciso limite tanto nella reticenza del richiedente (in ciò risolvendosi l’omissione di uno sforzo ragionevole per circostanziare i fatti) quanto nella non credibilità delle circostanze che egli pone a sostegno della domanda. Si tratta quindi di deficienze, reticenza e non credibilità, parimenti riferibili al quadro delle allegazioni, di guisa che, intanto si concretizza il dovere di cooperazione istruttoria, in quanto si sia in presenza di allegazioni precise, complete, circostanziate e credibili, e non invece generiche, non personalizzate, stereotipate, approssimative e, a maggior ragione, non credibili” (in questi termini Cass. n. 15794/2019 cit.).

Alla luce di siffatte coordinate ermeneutiche deve rilevarsi che, nel caso in esame, il ricorrente, a sostegno della domanda, ha dedotto dii temere di essere ucciso dalla seconda moglie di suo padre per questioni ereditarie.

E’ evidente che da tale racconto non si desumono atti di persecuzione legati a motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica, sicchè, in difetto di allegazioni sui presupposti richiesti per il riconoscimento in suo favore dello status di rifugiato, non era sussistente il dovere di cooperazione istruttoria e correttamente il giudice di merito ha denegato il riconoscimento del suddetto status. Inoltre, all’esito del vaglio di credibilità, condotto alla stregua dei criteri indicati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, il racconto del richiedente è stato considerato dal giudice di merito generico e contraddittorio, alla luce delle discrasie presenti, come analiticamente evidenziati a pagina 3 del decreto impugnato, con la conseguenza che, anche al fine della disamina sul riconoscimento della protezione sussidiaria, il medesimo richiedente non ha attivato il dovere di cooperazione istruttoria.

Il provvedimento impugnato sfugge, pertanto, ad ogni rilievo censorio.

2) Il secondo motivo denuncia violazione del Decreto n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere il Tribunale escluso la sussistenza dei presupposti per la protezione sussidiaria.

La censura non è consentita.

Il giudice di merito – con indicazione delle fonti di conoscenza ed idonea motivazione (cfr. pagina 4 del decreto impugnato) – ha esaminato la situazione del Paese di origine del ricorrente e ha escluso una situazione di conflitto armato, a cui astrattamente riconnettere l’ipotesi prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

Orbene, questa Corte (cfr., amplius, Cass. n. 32064 del 2018, in motivazione) ha chiarito che la nozione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), deve essere interpretata in conformità alla fonte Eurocomunitaria di cui è attuazione (direttive 2004/83/CE e 2011/95/UE), in coerenza con le indicazioni ermeneutiche fornite dalla Corte di Giustizia UE (Grande Sezione, 18 dicembre 2014, C-542/13, par. 36), secondo cui i rischi, cui è esposta in generale la popolazione di un paese o di una parte di essa, di norma non costituiscono, di per sè, una minaccia individuale da definirsi come danno grave (cfr. 26 Considerando della direttiva n. 2011/95/UE).

Ciò in quanto l’esistenza di un conflitto armato interno potrà portare alla concessione della protezione sussidiaria solo se il grado di violenza indiscriminata, che caratterizza gli scontri tra le forze governative di uno Stato ed uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, raggiunga un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, rinviato nel paese o nella regione in questione, correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la detta minaccia (cfr., in questo senso, Corte Giustizia UE 17 febbraio 2009, Elgafaji, C465/07, e 30 gennaio 2014, Diakitè, C285/12; Cass. n. 13858 del 2018).

Una specifica situazione di tal tipo, però, è stata esclusa dal Tribunale di Potenza e questo accertamento costituisce un’indagine di fatto che può esser censurata in sede di legittimità nei limiti consentiti dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 5: il che non è stato effettuato, sicchè l’odierna doglianza deve reputarsi come semplicemente finalizzata a sovvertire l’esito della decisione.

3) Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere la sentenza impugnata escluso la sussistenza dei presupposti per la protezione umanitaria. Le deduzioni al riguardo formulate sono inammissibili, in quanto del tutte generiche, risolvendosi nel richiamo dei principi enunciati da questa Corte e nella censura sull’asserito mancato buon governo di tali principi da parte del Collegio di merito.

6) In conclusione il ricorso è inammissibile. Non deve essere assunta alcuna statuizione sulle spese processuali, essendo il Ministero dell’Interno rimasto solo intimato.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese del presente giudizio di legittimità.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento dell’ulteriore contributo, così come previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Prima sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 20 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2020

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