Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12153 del 16/05/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 16/05/2017, (ud. 06/04/2017, dep.16/05/2017),  n. 12153

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARIENZO Rosa – Presidente –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16934-2015 proposto da:

IREN ACQUA GAS SPA, in persona del Procuratore Speciale,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CAIO MARIO 7, presso lo

studio dell’avvocato MARIA TERISA BARBANTINI, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato ENRICO SIBOLDI;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALI DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

80078750587, in persona del legale rappresentante, in proprio e

quale procuratore speciale della SOCIETA’ DI CARTOLARIZZAZIONE DEI

CREDITI INPS SCCI SPA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE

BECCARIA 29, Presso la sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto medesimo,

rappresentato e difeso unitamente e disgiuntamente dagli avvocati

ANTONINO SGROI, EMANUELE DE ROSE, CARLA D’ALOISIO e LELIO MARITATO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 520/2014 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 19/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 06/04/2017 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Premesso che il Collegio ha deliberato la redazione della motivazione dell’ordinanza in forma semplificata, ai sensi del decreto del primo Presidente in data 14/9/2016;

Rilevato:

1. che Iren Acqua Gas s.p.a. proponeva opposizione avverso l’avviso di addebito con il quale era richiesto il pagamento della contribuzione dovuta all’INPS per cigs, cigo e mobilità oltre sanzioni ed accessori;

2. che il Tribunale respingeva l’opposizione:

3. che la Corte di appello di Genova, pronunziando sull’appello principale della società e sull’appello incidentale dell’INPS, dichiarava la nullità della sentenza di primo grado relativamente alla statuizione sugli sgravi contributivi per l’incentivazione alla contrattazione di secondo livello e confermava nel resto la decisione di primo grado;

4. che per la cassazione della decisione ha proposto ricorso la società sulla base di tre motivi;

4.1. che l’INPS, anche quale procuratore di SCCI s.p.a., ha resistito con tempestivo controricorso;

4.2. che la società ricorrente ha depositato memoria.

Considerato:

5. che il primo motivo di ricorso, con il quale la società ricorrente, deducendo plurime violazioni di norme di diritto, censura la decisione impugnata per avere ritenuto dovuti i contributi per cigs e cigo e il secondo motivo di ricorso, con il quale, deducendo violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 14, censura la decisione per avere affermato la sussistenza dell’obbligo al pagamento del contributo per mobilità, sono manifestamente infondati alla luce della giurisprudenza consolidata di questa Corte (v., tra le altre, Cass. ord. n. 9185 del 2015, seni n. 14847 del 2009, n. 5816 del 2010, n. 19087, n. 20818, n. 20819, n. 22318, n. 27513 del 2013, n. 14089, n. 13721 del 2014) la quale ha ripetutamente affermato che le società a capitale misto (tra le quali, per come pacifico, è annoverabile la odierna ricorrente), aventi ad oggetto l’esercizio di attività industriali, sono tenute al pagamento dei contributi previdenziali previsti per la cassa integrazione guadagni e la mobilità;

5.1. che, non scalfisce la validità delle su esposte considerazioni l’entrata in vigore del D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 148, recante disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali;

5.2. che, in particolare, come chiarito da Cass. n. 7332 del 2017, ciò che sembra dirimente è che, in ogni caso, abbia o meno natura innovativa il disposto del D.Lgs. n. 148 del 2015, art. 10 asserzione quest’ultima già confutata da precedenti decisioni di questa Corte (v. Cass. ord. 12 maggio 2016, n. 9816; Cass. 31 dicembre 2015, n. 26202; Cass., 29 dicembre 2015, n. 26016, e numerose altre, secondo cui non è dato in ferire dall’art. 10, su citato e dall’art. 20 D.Lgs. cit. – che definisce il campo di applicazione delle norme in materia di intervento straordinario di integrazione salariale senza far riferimento alle imprese a capitale in parte o totalmente pubblico – che in precedenza le società a capitale misto non erano soggette alla contribuzione per cassa integrazione ordinaria e straordinari) -, l’intervento successivo operato dal legislatore con la legge di stabilità del 2015 ha comunque ripristinato il D.Lgs.C.p.S n. 869 del 1947, art. 3 espressamente escluso dalla disposizione abrogatrice contenuta nell’art. 46.;

5.3. che, pertanto, dagli interventi legislativi del 2015 non possono trarsi elementi che inducano ad un ripensamento della consolidata giurisprudenza di questa Corte in tema di obbligo contributivo per cassa integrazione guadagli ordinaria e straordinaria delle società il cui capitale sia parzialmente detenuto da un soggetto pubblico;

6. che il terzo motivo di ricorso con il quale, deducendosi plurime violazioni di legge, si censura la decisione per avere respinto la domanda subordinata di annullamento e/o riduzione delle sanzioni civili nonchè degli interessi e degli accessori, è inammissibile;

6.1. che il giudice di appello ha ritenuto dovute le somme aggiuntive nella misura richiesta dall’INPS sul rilievo che l’applicazione della riduzione prevista dalla L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 10 per il caso di “oggettive incertezze connesse a contrastanti orientamenti giurisprudenziali” presuppone il pagamento della contribuzione dovuta, nel termine fissato dagli enti impositori – circostanza pacificamente non verificatasi nel caso di specie – ed evidenziato che l’appellante principale, nel censurare la statuizione di primo grado sul punto, si era limitato a riproporre le medesime argomentazioni formulate in prime cure “senza dialogare con la sentenza impugnata”;

6.2. che parte ricorrente non ha specificamente contrastato l’affermazione in diritto del giudice d’appello circa la necessità, al fine della applicazione delle sanzioni in misura ridotta ai sensi della L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 10 dell’integrale versamento dei contributi dovuti nel termine e l’accertamento in fatto in merito al non ricorrere in concreto di tale presupposto;

6.3. che le ulteriori deduzioni formulate nel motivo in esame, attinenti alla richiesta di esonero dalle sanzioni ai sensi della L. n. 288 del 2000, comma 13 risultano inammissibili in quanto non investono specificamente l’affermazione del giudice di appello secondo il quale l’unica agevolazione prevista dal legislatore a fronte di eventuali obiettive incertezze è quella disciplinata dall’art. 116 cit., comma 10;

6.4. che la ulteriore richiesta di applicazione della riduzione delle sanzioni ai sensi dell’art. 116. comma 15, lett. a) è parimenti inammissibile in quanto non ancorata ad alcuna specifica censura della decisione di appello la quale non ha trattato in alcun modo la questione attinente all’applicabilità dell’art. 115, lett. a), sicchè la eventuale richiesta avrebbe dovuto essere ancorata alla violazione dell’art. 112 c.p.c.;

6.5. che la decisione di secondo grado relativa agli accessori è conforme al consolidato orientamento di legittimità, avendo questa Corte ha ripetutamente affermato che l’obbligo relativo alle somme aggiuntive che il datore di lavoro è tenuto a versare in caso di omesso o ritardato pagamento dei contributi assicurativi costituisce una conseguenza automatica dell’inadempimento o del ritardo, in funzione del rafforzamento dell’ obbligazione contributiva e di predeterminazione legale, con presunzione “iuris et de iure”, del danno cagionato all’ente previdenziale, sicchè non è consentita alcuna indagine sull’imputabilità o sulla colpa in ordine all’omissione o al ritardo del pagamento della contribuzione al fine di escludere o ridurre l’obbligo suindicato (Cass. n. 16093 del 2014, n. 20024 del 2008, n. 8324 del 2000 ss.uu. n. 3476 del 1994) ed escluso, in assenza del presupposto rappresentato dal versamento dei contributi dovuti, il ricorrere delle condizioni per l’applicazione delle sanzioni aggiuntive in misura ridotta ai sensi dell’art. 116, comma 10 ed ai sensi L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 15 (ex plurimis: Cass. n. 17654 del 2009);

7. che a tutto quanto sopra consegue, applicato l’art. 360 bis c.p.c., la declaratoria di inammissibilità del ricorso;

8. che le spese di lite sono regolate secondo soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione all’INPS delle spese di lite liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 1.200,00 per compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15%, oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 6 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 16 maggio 2017

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