Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12152 del 22/06/2020

Cassazione civile sez. I, 22/06/2020, (ud. 20/11/2019, dep. 22/06/2020), n.12152

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. PACILLI Giuseppina A.R. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32888/2018 proposto da:

R.S.A., rappresentato e difeso dall’avvocato Martino Benzoni

giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di TRIESTE, depositato il

25/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/11/2019 dal cons. PARISE CLOTILDE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto n. 2597/2018 depositato il 25-09-2018 il Tribunale Ordinario di Trieste, ha respinto il ricorso di S.A. alias A.R.R. alias S., cittadino del Pakistan, avente ad oggetto in via gradata il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria. Il Tribunale ha ritenuto che fosse non credibile la vicenda personale narrata dal richiedente, il quale riferiva di essere fuggito perchè perseguitato a causa della propria fede religiosa musulmana sciita. Il Tribunale ha ritenuto che non ricorressero i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione, avuto anche riguardo alla situazione generale del Pakistan, descritta nel decreto impugnato, con indicazione delle fonti di conoscenza.

2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che è rimasto intimato. Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia il vizio di cui all'”art. 360 c.p.c., n. 3, erronea o falsa applicazione delle norme di diritto di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 8″. Con il secondo motivo denuncia il vizio di cui all'”art. 360 c.p.c., n. 3, erronea o falsa applicazione delle norme di diritto di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 9″. Deduce che il Tribunale non ha acquisito alcuni dei documenti relativi alla procedura amministrativa, in particolare la memoria allegata al modello C3 e le Coi esaminate nel giudizio amministrativo, così violando il citato art. 35 bis, comma 8, in ordine all’obbligo della Commissione Territoriale di collaborare nell’istruttoria. Tale violazione ha compromesso, ad avviso del ricorrente, il suo diritto di difesa, potendo trattarsi di documentazione decisiva. Inoltre il Tribunale non ha acquisito d’ufficio informazioni circa riscontri oggettivi sulla credibilità della sua vicenda personale e sulla pericolosità della zona di provenienza. Richiama la giurisprudenza della Corte di Giustizia ed assume che il Tribunale non abbia acquisito informazioni aggiornate ed indipendenti.

2. Con il terzo motivo lamenta “art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 5, erronea o falsa applicazione delle norme di diritto di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 14”. Con il quarto motivo lamenta “art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, erronea o falsa applicazione delle norme di diritto di cui all’art. 16 Direttiva 32/2013/UE nullità della decisione”. Censura la valutazione di non credibilità della vicenda personale narrata, assumendo trattarsi di giudizio soggettivo ed arbitrario del Tribunale, in violazione del dovere di cooperazione istruttoria. In ordine alle contraddizioni rilevate dai Giudici di merito nel suo racconto, deduce che le stesse possono essere associate a condizioni soggettive od oggettive, richiama la giurisprudenza di questa Corte e censura il decreto impugnato per violazione del principio dell’onere probatorio attenuato a suo carico. Lamenta che l’autorità giudicante abbia tenuto un atteggiamento inquisitorio e viziato da pregiudizio, nonostante fosse documentata la sua provenienza, con la conseguente nullità del decreto impugnato per violazione della “norma processuale immanente di cui all’art. 16 Direttiva 32/2013/UE”.

3. Con il quinto motivo lamenta “erronea o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6”. Deduce che il Tribunale ha omesso di valutare, nella valutazione di vulnerabilità, il benessere generale della persona, ad avviso del ricorrente rientrante nel concetto di salute, nonchè l’adeguata integrazione sociale dello stesso. Rimarca la propria vulnerabilità per la sua appartenenza alla minoranza religiosa sciita in un paese a maggioranza sunnita e di aver documentato il proprio inserimento lavorativo in Italia.

4. Sono inammissibili i motivi primo, secondo, terzo e quarto, che possono esaminarsi congiuntamente per la loro connessione in quanto le censure involgono, sotto distinti ma collegati profili, il giudizio di credibilità della vicenda personale narrata dal ricorrente e la situazione del suo Paese di origine.

4.1. Il ricorrente si duole genericamente della mancata acquisizione di documenti depositati nella fase amministrativa, senza tuttavia precisare quale sia il contenuto degli stessi, ai fini della dedotta rilevanza sul giudizio di credibilità della sua vicenda personale, e quale sia la loro decisività (Cass. n. 16812/2018).

4.2. Quanto al giudizio di credibilità, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il giudice del merito, nel valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, in base ai parametri dettati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c), deve attenersi anche a comuni canoni di ragionevolezza e a criteri generali di ordine presuntivo, non essendo di per sè solo sufficiente a fondare il giudizio di credibilità il fatto che la vicenda narrata sia circostanziata. L’art. 3 citato, infatti, obbliga il giudice a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna, ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda (da ultimo Cass. n. 21142/2019; Cass. n. 20580/2019). La suddetta verifica è sottratta al controllo di legittimità al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito. Anche in ordine alla domanda di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, non censurabile in sede di legittimità al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. n. 32064/2018 e Cass. n. 30105/2018).

4.3. Nel caso di specie, il ricorrente deduce genericamente la violazione di norme di legge, attraverso il richiamo alle disposizioni che assume disattese e tramite una ricostruzione della fattispecie concreta, quanto al giudizio di non credibilità ed alla valutazione della situazione del suo Paese, inammissibilmente difforme da quella accertata nel giudizio di merito.

Il Tribunale, dopo aver proceduto all’audizione del richiedente, ha escluso, con motivazione idonea (Cass. S.U. n. 8053/2014) e facendo applicazione dei parametri legali, la credibilità della vicenda narrata dal ricorrente, sottolineando le contraddittorietà ed incongruenze del suo racconto, privo di riscontri esterni ed oggettivi, quanto agli scontri violenti tra sunniti e sciiti, in base alle fonti di conoscenza indicate nel decreto impugnato, anche in ordine alla situazione generale del Paese, ravvisando così insussistenti i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. b) e lett. c).

5. Anche il quinto motivo è inammissibile.

5.1. Il ricorrente censura del tutto genericamente la statuizione di diniego della protezione umanitaria, senza indicare alcuno specifico profilo di vulnerabilità, che il Tribunale ha escluso in base alle allegazioni del richiedente ed ai fatti accertati. Non rileva il fattore dell’integrazione sociale e lavorativa in Italia, ove isolatamente considerato, e peraltro nella specie neppure precisamente indicato, in base alla giurisprudenza di questa Corte richiamata anche nel decreto impugnato (Cass. n. 4455/2018).

6. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, nulla dovendosi disporre circa le spese del presente giudizio, stante la mancata costituzione del Ministero.

7. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto (Cass. n. 23535/2019).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 20 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2020

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