Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12150 del 18/05/2010
Cassazione civile sez. trib., 18/05/2010, (ud. 14/04/2010, dep. 18/05/2010), n.12150
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LUPI Fernando – Presidente –
Dott. MERONE Antonio – Consigliere –
Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Consigliere –
Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –
Dott. VIRGILIO Biagio – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso proposto da:
C.V., elettivamente domiciliato in Roma, via Aquileia n.
12, presso l’avv. Andrea Morsillo, rappresentato e difeso da se
medesimo;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DEL TERRITORIO, Ufficio di Palermo;
– intimata –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della
Sicilia n. 119/29/06, depositata il 28 maggio 2007.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
14 aprile 2010 dal Relatore Cons. Dr. Biagio Virgilio.
Fatto
FATTO E DIRITTO
La Corte:
ritenuto che, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata depositata in cancelleria la seguente relazione:
“1. C.V. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia n. 119/29/06, depositata il 28 maggio 2007, con la quale, rigettando l’appello del contribuente, è stata confermata la legittimità dell’avviso di liquidazione emesso nei suoi confronti per omesso versamento di imposte relative a certificati ipotecari.
L ‘Agenzia del territorio non si è costituita.
2. Il primo motivo di ricorso, con il quale si chiede a questa Corte se la sentenza solo apparentemente motivata, le cui argomentazioni sono la copia esatta e palese di altre contenute in diversa sentenza, ancorchè resa tra le medesime parti, è affetta da nullità radicale, per violazione del coordinato disposto degli artt. 132 e 161 c.p.c., appare manifestamente infondato, in quanto la motivazione della sentenza si può considerare carente o meramente apparente – e come tale censurabile in sede di legittimità – solo quando il decisum si fondi esclusivamente sul mero rinvio a precedenti o a massime giurisprudenziali richiamati in modo acritico e non ricollegati esplicitamente alla fattispecie controversa, di tal che venga impedito un controllo sul procedimento logico seguito dal giudice proprio per l’impossibilità di individuare la ratio decidendi (Cass. nn, 15949 del 2001, 662 del 2004), e non certo, quindi, nel caso in cui, come nella fattispecie, la sentenza contenga una propria autonoma motivazione (a nulla rilevando, di per se, che essa sia sostanzialmente identica a quella contenuta in altra decisione).
3. Anche il secondo motivo, il quale si conclude con il quesito se la sentenza che dichiari la nullità di quella relativa al precedente grado di giudizio, però contemporaneamente confermandone la validità, è affetta anch’essa da nullità radicale, stante l’insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, appare manifestamente infondato, poichè il giudice d’appello, dopo aver ritenuto nulla per carenza assoluta di motivazione la sentenza di primo grado, ha correttamente proceduto all’esame della controversia, in quanto, al di là delle ipotesi tassative ed eccezionali previste dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 59, comma 1 (nelle quali è prevista la possibilità di una sentenza meramente rescindente), il giudizio dinanzi la commissione tributaria regionale assume le caratteristiche generali del mezzo di gravame, ossia del mezzo di impugnazione a carattere sostitutivo, con la conseguente necessità per i giudici di decidere nel merito le questioni proposte (Cass. n. 17127 del 2007).
4. Infine, il terzo motivo, con il quale, denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c. e degli artt. 1704 e 1388 c.c., si pone il quesito se ove il ricorrente fornisca la prova che la pretesa tributaria non è a lui addebitatile, è corretto che il giudice ometta di considerare tale fatto come decisivo ai fini della controversia, peraltro non motivando adeguatamente sul punto, appare inammissibile per la assoluta genericità del riportato quesito, come tale non rispondente, secondo la costante interpretazione di questa Corte, ai requisiti prescritti dall’art. 366 bis c.p.c., il quale richiede che il quesito deve essere formulato in termini tali da costituire una sintesi logico- giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una regula iuris suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata, con la conseguenza che è inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito la cui formulazione si risolva sostanzialmente in una omessa proposizione del quesito medesimo per la sua inidoneità a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in riferimento alla concreta fattispecie (ex plurimis, Cass., Sez. un., n. 26020 del 2008).
5. In conclusione, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio, in quanto manifestamente infondato”;
che la relazione è stata comunicata al p.m. e notificata al ricorrente; che non sono state presentate conclusioni scritte da parte del p.m., mentre ha depositato memoria il ricorrente.
Considerato che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione (senza che a diversa conclusione siano idonee ad indurre le argomentazioni svolte nell’anzidetta memoria) e, pertanto, riaffermati i principi di diritto sopra richiamati, il ricorso deve essere rigettato;
che non v’è luogo a provvedere in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità, in assenza di svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimata.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 14 aprile 2010.
Depositato in Cancelleria il 18 maggio 2010