Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1215 del 21/01/2020

Cassazione civile sez. trib., 21/01/2020, (ud. 11/04/2019, dep. 21/01/2020), n.1215

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 27226/2015 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, ed ivi domiciliata in via dei Portoghesi, n.

12;

– ricorrente –

contro

C.F., con gli avv.ti Aldo Manna e Fabio D’Isanto,

domiciliati in Roma, Viale Angelico n. 78, presso lo studio degli

avv.ti Alessandro Ferrara Massimo Ferraro,

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale per la

Campania, Sezione di Napoli, n. 4201/08/2015, pronunciata il

22.04.2015, depositata in data 06.05.2015, non notificata.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11 aprile

2019 dal Co: Marcello M. Fracanzani.

Fatto

RILEVATO

La contribuente è stata dipendente del Banco di Napoli e, quale incentivo all’esodo, ha concordato con il datore di lavoro il pagamento, al netto d’imposta, delle somme a lei necessarie per completare il contribuzione volontaria e maturare il diritto a pensione. Tale somma sarebbe stata versata dall’istituto di credito all’INPS ed indicata nel CUD compilato dal medesimo istituto di credito quale sostituto d’imposta. In tale dichiarazione la somma versata a titolo previdenziale risulterebbe al netto delle imposte, mentre, secondo l’accordo, avrebbe dovuto comprendere anche l’onere fiscale in modo da consentire alla dipendente un reale esodo, senza ulteriori costi. In altri termini, l’operato del datore di lavoro, quale sostituto d’imposta, avrebbe comportato il calcolo della predetta somma nell’imponibile complessivo della dipendente, che chiedeva la restituzione di quanto trattenuto dall’Agenzia delle Entrate come conseguenza di tale errore.

Avverso il silenzio rifiuto formatosi sull’istanza di rimborso, insorge la contribuente che incontra il rigetto della CTP, mentre vede accolte le proprie ragioni dinanzi alla CTR, che ha ritenuto che le somme versate avessero natura contributiva e fossero, quindi, deducibili.

Ricorre per cassazione l’Agenzia delle Entrate affidandosi a due motivi. Il contribuente propone contro ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

1. Con il primo motivo di ricorso l’Amministrazione finanziaria lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per insussistenza di interesse a contraddire e difetto di legittimazione ad causam. Sostiene l’Ufficio di non avere interesse a contraddire sulla riliquidazione IRPEF per omessa indicazione da parte del datore di lavoro dei contributi volontari versati in nome e per conto del pensionato, trattandosi di rapporto privatistico cui egli è rimasto estraneo.

Il motivo è infondato.

L’Amministrazione finanziaria, invero, confonde il rapporto privatistico datore di lavoro-dipendente, con il rapporto obbligatorio tributario che si svolge in via principale tra contribuente-lavoratore e amministrazione, ma nel quale interviene come sostituto d’imposta il datore di lavoro, che, in luogo dell’amministrazione e quale suo sostituto, si occupa della riscossione delle entrate e della presentazione delle relative dichiarazioni. Nella fattispecie, invero, l’accordo privatistico che ha portato all’erogazione delle somme della cui imposizione si discute, è stato solo l’occasione per il sorgere dell’obbligo impositivo e per la successiva presentazione dell’istanza di riliquidazione e rimborso di cui qui si discute, rispetto ai quali parti del rapporto sono la contribuente e l’Ufficio, suo legittimo contraddittore dell’aspetto fiscale e tributario.

Per il che sussiste anche la giurisdizione del giudice tributario e legittimo contraddittore in giudizio è l’amministrazione finanziaria.

2. Con il secondo motivo di ricorso deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 47 del 2000, art. 13, del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 6,16,17, in combinato disposto con il D.Lgs. n. 449 del 1997, art. 59, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. In buona sostanza si afferma l’erroneità della sentenza che ha riconosciuto la piena deducibilità dei contributi versati volontariamente, sebbene la contribuente non avesse dedotto in dichiarazioni tali somme.

Nella prospettazione dell’Ufficio, si afferma che la contribuente ben poteva portare a deduzione quanto a suo nome versato dal datore di lavoro, sicchè non poteva dolersi del mancato rimborso e del silenzio rigetto sull’istanza stessa.

Tuttavia, l’errata iscrizione nel rigo 37 del CUD (ove non sono state incluse le imposte) e del versamento diretto all’INPS, ha, di fatto, impedito alla contribuente di portare tali somme in deduzione, dal che l’aumento della base imponibile che si assume illegittimo. Va in proposito e per inciso evidenziato che in giudizio non è mai stato prodotto il CUD e che, sebbene questo sia un punto controverso non chiarito, la circostanza non è mai stata censurata dalle parti.

Va osservato che la deducibilità dell’importo dei contributi volontari è stata ammessa con sentenza di questa Corte n. 16073/2014, ma in fattispecie governata dalla novella introdotta con il D.Lgs. n. 47 del 2000, art. 13, ove ha modificato il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 10, lett. e), ove è stata ammessa la deduzione altresì dei contributi volontari versati alla previdenza obbligatoria di appartenenza, circostanza qui non contestata dall’Ufficio, il quale assume che detti contributi non siano stati indicati nella dichiarazione dei redditi quali oneri deducibili, sicchè il contribuente non può presentare un’istanza di rimborso per recuperare oneri a suo tempo non esposti in dichiarazione.

Nella fattispecie all’esame si può fare riferimento all’orientamento di questo stesso consesso per cui la contribuzione volontaria non è esente, spettando l’esenzione solo ai contributi obbligatori (Cass. n. 11156/2010; n. 20230/2014; e n. 124/2018). D’altra parte, la non esenzione non comporta l’indeducibilità, che è il profilo che qui rileva. Sicchè, la contribuente dovrebbe agire per l’inadempimento del datore di lavoro che, in violazione dell’accordo sottoscritto, non ha sommato agli importi versati per contributi previdenziali anche le imposte integrali dovute per tale contribuzione che ha natura volontaria.

In proposito, infatti, dirimente è l’orientamento di questa Corte per cui “al fine di poter negare l’assoggettabilità ad IRPEF di una erogazione economica effettuata a favore del prestatore di lavoro da parte del datore di lavoro, è necessario accertare che l’erogazione stessa non trovi la sua causa nel rapporto di lavoro, e se ciò non viene positivamente escluso, che l’erogazione stessa, in base all’interpretazione della concreta volontà manifestata dalle parti, non trovi la fonte della sua obbligatorietà nè in redditi sostituiti, nè nel risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi futuri, cioè successivi alla cessazione od all’interruzione del rapporto di lavoro” (Cass. n. 26385/2010; n. 16014/2004; n. 11501/2003; n. 11687/2002).

E, nel caso di specie, risulta che l’erogazione venne effettuata sulla base di accordo per l’anticipata risoluzione del rapporto di lavoro subordinato e come incentivo all’esodo, con una spiccata finalità risarcitoria di natura transattiva, convenzionale e volontaria.

Il ricorso è, quindi, fondato e merita accoglimento nei termini di cui in motivazione, con rinvio al giudice di merito perchè accerti in concreto consistenza e finalità dei contributi versati.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto della insussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR della Campania in diversa composizione, cui demanda anche la definizione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 11 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2020

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