Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12148 del 22/06/2020

Cassazione civile sez. I, 22/06/2020, (ud. 20/11/2019, dep. 22/06/2020), n.12148

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. PACILLI Giuseppina A. R. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15220/2018 proposto da:

H.A., rappresentato e difeso dall’avvocato Andrea Diroma del

Foro di Trieste, giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di TRIESTE, depositato il

13/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

20/11/2019 dal Cons. Dott. PARISE CLOTILDE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto n. 991/2018 depositato il 13-04-2018 il Tribunale di Trieste, ha respinto il ricorso di H.A., cittadino del (OMISSIS), avente ad oggetto in via gradata il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria. Il Tribunale ha ritenuto che fosse non credibile la vicenda personale narrata dal richiedente, il quale riferiva di essere fuggito perchè, dopo essersi arruolato nell’esercito nel 2016 per assecondare le richieste del padre, non si era presentato al campo di addestramento dopo una licenza, era stato riportato da quattro militari al campo di addestramento, dove aveva subito punizioni fisiche e psicologiche, fino a quando era riuscito a scappare. Il Tribunale ha ritenuto che non ricorressero i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione, avuto anche riguardo alla situazione generale del Pakistan, descritta nel decreto impugnato, con indicazione delle fonti di conoscenza.

2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che è rimasto intimato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente il ricorrente chiede di sollevare questione di illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, introdotto dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g), in relazione ai seguenti profili: 1) l’adozione del rito camerale e l’eliminazione del grado d’appello, per la violazione degli artt. 3,24,111 Cost. nonchè in relazione all’art. 46 par. 3 della direttiva 32/2013 ed agli artt. 6 e 13CEDU; 2) la mancanza del requisito di straordinarietà ed urgenza per violazione dell’art. 77 Cost.; 3) la revoca del patrocinio a spese dello Stato nel caso di manifesta infondatezza delle pretese azionate per la violazione degli artt. 3,24,111 Cost..

2. Con le ordinanze n. 17717/2018, n. 28119/2018 e n. 24109/2019 questa Corte ha ritenuto manifestamente infondate tutte le questioni di illegittimità costituzionale che il ricorrente ripropone. Le argomentazioni di cui alle citate ordinanze, da intendersi, per brevità, richiamate, sono integralmente condivise dal Collegio.

3. Con i motivi primo e secondo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, erronea o falsa applicazione delle norme di diritto di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 8 e 9. Deduce che il Tribunale non ha acquisito i documenti relativi alla procedura amministrativa e il verbale delle dichiarazioni di cui al modello C3, in violazione del citato art. 35 bis, comma 8, in ordine all’obbligo della Commissione Territoriale di collaborare nell’istruttoria. Tale violazione ha compromesso, ad avviso del ricorrente, il suo diritto di difesa, potendo trattarsi di documentazione decisiva. Inoltre il Tribunale ha effettuato un esame parziale ed iniquo del rapporto Easo dell’agosto 2017 e non ha acquisito d’ufficio informazioni circa riscontri oggettivi sulla credibilità della sua vicenda personale, sulla disciplina imposta agli appartenenti alle forze armate pakistane e sulle punizioni previste per renitenti e disertori.

4. Con il terzo motivo ed il quarto motivo lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, erronea o falsa applicazione delle norme di diritto di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 14. Con il quinto motivo lamenta “violazione ex art. 360, nn. 3 e 5 in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. C), D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 8 e 9”. Censura la valutazione di non credibilità della vicenda personale narrata, assumendo trattarsi di giudizio soggettivo ed arbitrario del Tribunale, in violazione del dovere di cooperazione istruttoria. In ordine alle contraddizioni rilevate dai Giudici di merito nel suo racconto, deduce che le stesse possono essere associate a condizioni soggettive od oggettive, quali limiti della memoria umana, l’impatto del trauma, il disorientamento, l’ansia e la paura, richiama la giurisprudenza di questa Corte e censura il decreto impugnato per violazione del principio dell’onere probatorio attenuato a suo carico. Censura altresì la valutazione della situazione del Pakistan, affermando che il Tribunale abbia fatto una lettura “meramente parziale e pretestuosa” del rapporto Easo 2017, rilevando che nel 2016 e nei primi mesi del 2017 vi erano state numerosissime vittime per episodi violenti. Richiama la giurisprudenza della Corte di Giustizia ed assume che il Tribunale non abbia acquisito informazioni aggiornate ed indipendenti presso il Ministero dell’Interno.

5. Con il sesto motivo lamenta “violazione ex art. 360, nn. 3 e 5 in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, art. 19, comma 1, art. 10 Cost., comma 3, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 32, comma 3, art. 6 par. 4 direttiva comunitaria n. 115/2008”. Deduce che il Tribunale ha omesso di valutare, nella valutazione di vulnerabilità, il benessere generale della persona, ad avviso del ricorrente rientrante nel concetto di salute, nonchè l’adeguata integrazione sociale dello stesso. Richiama al riguardo un’ordinanza emessa dallo stesso Tribunale di Trieste con la quale era stata valorizzata la sola integrazione sociale e rimarca che, in caso di rimpatrio, sarebbe esposto a chiara emarginazione sociale e familiare. Lamenta la mancata valutazione della situazione del Paese di origine sulla sanità pubblica, sul reddito pro capite, sulla sicurezza pubblica, sulla corruzione della polizia, sul sistema scolastico e in generale sulla tutela dei diritti umani.

6. I primi due motivi, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono inammissibili.

6.1. Il ricorrente si duole genericamente della mancata acquisizione di documenti depositati nella fase amministrativa, senza tuttavia precisare quale sia il contenuto degli stessi, ai fini della dedotta rilevanza sul giudizio di credibilità della sua vicenda personale, e quale sia la loro decisività (Cass. n. 16812/2018). Il Tribunale ha proceduto all’audizione del richiedente, rilevando ulteriori incongruenze e genericità del racconto, e il ricorrente non si confronta con le argomentazioni espresse al riguardo nel decreto impugnato, nè specifica quale vulnus sia conseguito, ai fini della difesa, dalla lamentata mancata acquisizione documentale.

7. Sono inammissibili anche i motivi terzo, quarto e quinto, da esaminarsi congiuntamente in quanto tutte le doglianze involgono il giudizio di credibilità della vicenda personale e la valutazione della situazione generale del Paese di origine del richiedente.

7.1. Quanto al giudizio di credibilità, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il giudice del merito, nel valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, in base ai parametri dettati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c), deve attenersi anche a comuni canoni di ragionevolezza e a criteri generali di ordine presuntivo, non essendo di per sè solo sufficiente a fondare il giudizio di credibilità il fatto che la vicenda narrata sia circostanziata. L’art. 3 citato, infatti, obbliga il giudice a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna, ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda (da ultimo Cass. n. 21142/2019; Cass. n. 20580/2019). La suddetta verifica è sottratta al controllo di legittimità al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito. Anche in ordine alla domanda di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, non censurabile in sede di legittimità al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. n. 32064/2018 e Cass. n. 30105/2018).

7.2. Nel caso di specie, il ricorrente deduce genericamente la violazione di norme di legge, attraverso il richiamo alle disposizioni che assume disattese e tramite una ricostruzione della fattispecie concreta, quanto al giudizio di non credibilità ed alla valutazione della situazione del suo Paese, inammissibilmente difforme da quella accertata nel giudizio di merito. Il Tribunale, dopo aver proceduto all’audizione del richiedente, nonchè dopo aver esaminato il mod. C3 e il verbale di audizione avanti alla Commissione Territoriale, ha escluso, con motivazione idonea (Cass. S.U. n. 8053/2014) e facendo applicazione dei parametri legali, la credibilità della vicenda narrata dal ricorrente, sottolineando in dettaglio le contraddittorietà ed incongruenze del suo racconto (pag. 3 e 4 decreto), ed ha altresì escluso, in base alle fonti di conoscenza indicate nel decreto impugnato, la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c). Non si richiede l’attivazione del potere ufficioso in ordine alla sussistenza dei presupposti di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), se il racconto è inattendibile, come nella specie (Cass. n. 16925/2018 e Cass. n. 14283/2019).

8. Anche l’ultimo motivo è inammissibile.

8.1. Il ricorrente censura del tutto genericamente la statuizione di diniego della protezione umanitaria, senza indicare alcuno specifico profilo di vulnerabilità, che il Tribunale ha escluso in base alle allegazioni del richiedente ed ai fatti accertati. Non rileva il fattore dell’integrazione sociale e lavorativa in Italia, ove isolatamente considerato, in base alla giurisprudenza di questa Corte richiamata anche nel decreto impugnato (Cass. n. 4455/2018).

9. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, nulla dovendosi disporre circa le spese del presente giudizio, stante la mancata costituzione del Ministero.

10. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto (Cass. n. 23535/2019).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 20 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2020

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