Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12148 del 18/05/2010
Cassazione civile sez. trib., 18/05/2010, (ud. 14/04/2010, dep. 18/05/2010), n.12148
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LUPI Fernando – Presidente –
Dott. MERONE Antonio – rel. Consigliere –
Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Consigliere –
Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –
Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso 1690-2009 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso
l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope
legis;
– ricorrente –
contro
C.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GERMANICO
109, presso lo studio dell’avvocato LEONORI GUIDO, che la
rappresenta e difende, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 219/2007 della Commissione Tributaria
Regionale di ROMA del 30.4.07, depositata il 04/12/2007;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
14/04/2010 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO MERONE.
E’ presente il P.G. in persona del Dott. MASSIMO FEDELI.
Fatto
FATTO E DIRITTO
Letti gli atti;
Vista e condivisa dal Collegio la relazione redatta ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. nella quale si legge:
“L’Agenzia delle Entrate impugna la sentenza specificata in oggetto, denunciando violazione di legge e vizi di motivazione, in quanto erroneamente la CTR ha confermato la decisione di primo grado ed ha omesso di rideterminare una plusvalenza realizzata dalla sig.ra C. per la cessione di un terreno avvenuta nel (OMISSIS), limitandosi ad accogliere il ricorso della contribuente che ha eccepito che la plusvalenza stessa era stata determinata senza tenere conto del prezzo di acquisto.
Scrive la CTR che la richiesta dell’Ufficio diretta a rideterminare il quantum del valore della plusvalenza non è fondata, perchè la giurisprudenza esclude tale possibilità allorquando l’avviso di accertamento sia inficiato, come nella specie, da carenze ed errori macroscopici (cfr. Cass. n. 13802/03). Resiste con controricorso la contribuente.
Va rilevato che la giurisprudenza citata dalla CTR, in realtà, afferma un diverso principio di diritto e stabilisce che in relazione alle presunzioni utilizzate dagli uffici finanziari D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 39, comma 2, il giudice tributario, una volta verificata la legittimità del ricorso al metodo di accertamento induttivo, ha il potere di controllare l’operato della P.A. e di verificare se gli effetti che l’ufficio ha ritenuto di desumere dai fatti utilizzati come indizi siano o meno compatibili con il criterio della normalità, potendo in ipotesi pervenire, qualora riscontri incongruenze e contrasto con criteri di ragionevolezza, a diverse conclusioni, e quindi alla determinazione di un reddito presuntivo interiore a quello indicato dall’amministrazione (13802/2003). Il principio erroneamente invocato dai giudici di appello (confermato da Cass. 15717/2009) vale quando l’atto impositivo sia formalmente viziato in maniera irrimediabile, per cui non è possibile procedere alle valutazioni di merito. Nella specie, i giudici di appello non hanno annullato l’atto per un vizio di forma, bensì per un errore di valutazione che ben potevano e dovevano correggere, posto che Il processo tributario è a cognizione piena e tende all’accertamento sostanziale del rapporto controverso, con la conseguenza che solo quando l’atto di accertamento sia affetto da vizi formali a tal punto gravi da impedire l’identificazione dei presupposti impositivi e precludere l’esame del merito del rapporto tributario – come nel caso in cui vi sia difetto assoluto o totale carenza di motivazione – il giudizio deve concludersi con una pronuncia di semplice invalidazione, ostandovi altrimenti il principio di economia dei mezzi processuali, che consente al giudice di avvalersi dei propri poteri valutativi ed estimativi ai fini della decisione e, in forza dei poteri istruttori attribuiti dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7 di acquisire aliunde i relativi elementi, prescindendo dagli accertamenti dell’Ufficio e sostituendo la propria valutazione a quella operata dallo stesso (Cass. 21446/2009). Ne deriva che, nella specie, la CTR doveva procedere direttamente alla rideterminazione della plusvalenza oggetto del contenzioso.
Si ritiene quindi che il ricorso sia manifestamente fondato e vada deciso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 1”.
Considerato che la discussione in camera di consiglio non ha apportato nuovi elementi di valutazione e che conseguentemente la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio della causa alla CTR del Lazio per la rinnovazione del giudizio nel rispetto del principio di diritto sopra enunciato e per la liquidazione delle spese.
PQM
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della CTR del Lazio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 14 aprile 2010.
Depositato in Cancelleria il 18 maggio 2010