Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12148 del 14/06/2016

Cassazione civile sez. III, 14/06/2016, (ud. 03/03/2016, dep. 14/06/2016), n.12148

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20757/2013 proposto da:

ENEL DISTRIBUZIONE S.P.A., ((OMISSIS)), rappresentata dal suo

procuratore socio unico ENEL Servizi s.r.l., in persona del sig.

A.F., elettivamente domiciliata in

(OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato PIERFILIPPO COLETTI,

che la rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

AZIENDA FLORICOLA F.LLI S. DI R. & C.S.,

in persona del suo legale rappresentante S.R.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA GIULIANA 44, presso lo

studio dell’avvocato VITTORIO NUZZACI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato GIULIO CIOFINI giusta procura speciale in

calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 423/2013 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 20/03/2013, R.G.N. 662/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/03/2016 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI;

udito l’Avvocato PIERFILIPPO COLETTI;

udito l’Avvocato VITTORIO NUZZACI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

AUGUSTINIS Umberto, che ha concluso per l’accoglimento del 1 motivo

del ricorso per quanto di ragione.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. – L’azienda Agricola F.lli S. di R. e C. S. evocò in giudizio l’ENEL Servizi s.r.l. per sentirla condannare al risarcimento del danno causato alle proprie coltivazioni dalla non preavvisata interruzione dell’erogazione della corrente elettrica.

A sostegno della domanda, parte attrice riferì: che possedeva circa 7.800 metri quadri di serre, mantenute a temperature variabili – dai 18 ai 22 – a seconda del tipo di coltura; che nella mattina del 19 dicembre 2005 l’ENEL, senza fornire alcun preavviso, interrompeva il servizio di erogazione dell’energia elettrica dalle ore 7,05 circa, ripristinandola solo alle ore 10,45; che, di conseguenza, venendo meno il riscaldamento elettrico all’interno delle serre di coltivazione, senza che gli addetti avessero tempo di chiudere le finestre di areazione, se ne perdeva per congelamento gran parte del prodotto.

L’ENEL, nel costituirsi in giudizio, addusse di aver provveduto al preavviso della sospensione dell’erogazione dell’energia – durata peraltro dalle 9,06 alle 10,20 – tre giorni prima con avviso agli utenti tramite sistema “porta a porta” e che l’asserito congelamento era da addebitare al colpevole ritardo con cui le finestre di areazione delle serre, pur essendo dotate di meccanismo manuale di chiusura, erano state chiuse dai dipendenti dell’azienda.

Con sentenza del luglio 2008, l’adito Tribunale di Firenze rigettò la domanda attorea, assumendo che il danno non era stato cagionato dal venir meno del riscaldamento a causa dell’interruzione nella somministrazione dell’energia elettrica, ma dal fatto che le finestre di areazione non erano state repentinamente ed utilmente chiuse dai dipendenti della Susini, utilizzando il sistema manuale.

A tal riguardo, il primo giudice osservava che al colpevole ritardo con cui dette finestre erano state chiuse doveva attribuirsi il rango di causa efficiente esclusiva e successiva da sola sufficiente a cagionare l’evento dannoso, elidendo il nesso eziologico tra la sospensione della fornitura dell’energia elettrica e il congelamento delle piante, considerata anche la circostanza che l’impossibilità o l’estrema difficoltà di chiudere le finestre di un luogo chiuso costituisce un evento anomalo, avente i caratteri dell’imprevedibilità e dell’eccezionalità.

2. – Il gravame proposto dall’Azienda Agricola avverso la suddetta sentenza veniva accolto dalla Corte di appello di Firenze con sentenza resa pubblica il 20 marzo 2013, che dopo aver ammesso ed espletato la prova testimoniale denegata dal giudice di primo grado –

in totale riforma della pronuncia impugnata, condannava l’appellata, sotto la nuova denominazione di ENEL Distribuzione S.p.A., al risarcimento del danno lamentato nella misura di Euro 60.173,43, oltre accessori, così come quantificato nell’elaborato dell’accertamento tecnico preventivo acquisito agli atti.

2.1.- La Corte territoriale preliminarmente ribadiva la pacifica circostanza che l’ENEL fosse contrattualmente obbligata a dare comunicazione agli utenti della programmata interruzione dell’erogazione della corrente elettrica, obbligo che l’azienda fornitrice sosteneva di aver adempiuto mediante consegna dell’avviso “porta a porta”, eseguita dal dipendente G.M..

2.2. – Il giudice del gravame rilevava, poi, l’errore commesso dal Tribunale nell’aver escluso il nesso di causalità tra la programmata sospensione della fornitura di energia ed il danno lamentato dall’azienda S., giacchè la mancata chiusura delle finestre non poteva reputarsi “una colpa capace, di per sè, a togliere rilevanza causale al venir meno dell’energia elettrica”, posto che la repentina chiusura manuale delle serre, in una tale situazione di emergenza, non costituiva un obbligo giuridico dell’utente, potendo semmai rilevare come sola violazione dell’obbligo esistente in capo alle parti di comportarsi secondo buona fede nell’esecuzione del contratto.

La Corte toscana, in particolare, escludeva che l’utente avrebbe dovuto in ogni caso saper fronteggiare l’emergenza indipendentemente dal preavviso di interruzione dell’energia elettrica, così da relegare tale obbligo – come aveva in sostanza opinato il primo giudice – a “un di più a piacere dell’ENEL, la cui omissione non potrebbe produrre a carico dello stesso conseguenze”.

Di qui, pertanto, la rilevata sussistenza del nesso eziologico tra “il venir meno del riscaldamento all’interno delle serre e la rovina delle colture”.

2.3. – Il giudice di appello riteneva, quindi, che L’ENEL non avesse adempiuto all’obbligo di preavviso dell’interruzione dell’energia elettrica, come invece da essa società assunto.

In particolare, veniva considerata inattendibile la deposizione del teste G.M., dipendente dell’ENEL, giacchè priva di coerenza (avendo il teste dapprima sostenuto di non ricordare, per il lungo lasso di tempo trascorso, di aver “apposto l’avviso anche all’ingresso della Azienda S., ma presumeva di averlo fatto”, per poi “fulmineamente” ricordare, poco dopo, “la presenza dell’avviso accanto al numero civico dell’azienda medesima”), nonchè smentita dalle stesse difese conclusionali con cui l’ENEL deduceva che la normativa prevedesse solo la semplice affissione di volantini lungo le strade e, infine, contraddetta dalle dichiarazioni del teste Daddi, ex dipendente della Azienda S., che negava di aver visto alcun avviso relativo all’interruzione dell’erogazione della corrente elettrica, nè porta a porta nè mediante cartelli, almeno nei pressi del cancello d’ingresso” di detta Azienda.

Il giudice del gravame, peraltro, riteneva confortata la tesi del mancato preavviso dovuto dall’ENEL in forza dell’argomento logico costituito dalla considerazione che se fosse stato affisso un tale avviso, come sostenuto dall’ENEL medesimo, “non sarebbe sfuggito all’attenzione degli addetti”, che avrebbero assunto tempestivamente le cautele idonee ad evitare il danno.

2.4. – In ordine alla quantificazione del danno, la Corte territoriale lo stimava, in base alla relazione dell’accertamento tecnico preventivo, secondo il valore commerciale delle piante perdute, in Euro 60.173,43, oltre rivalutazione monetaria, trattandosi di credito di valore.

4. – Per la cassazione di tale sentenza ricorre l’ENEL Distribuzione S.p.A., affidando le sorti dell’impugnazione a tre motivi, illustrati da memoria.

Resiste con controricorso l’Azienda Floricola F.lli S. di R. & C.S..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. – Con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1123 e 1125 c.c., art. 1227 c.c., comma 2 e art. 115 c.p.c., nonchè dedotto, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti.

Il giudice del gravame avrebbe erroneamente disatteso il ragionamento del Tribunale che aveva attribuito alla causa sopravvenuta (ovverosia la non tempestiva chiusura delle finestre della serra da parte del personale della S.) “rilevanza autonoma e escludente allorquando essa sia inserita negli antecedenti di un evento con i caratteri dell’assoluta imprevedibilità ed eccezionalità”, considerando invece certamente esistente e provato il nesso eziologico tra la sospensione dell’erogazione dell’energia e il danno subito dall’azienda S..

La Corte territoriale avrebbe infatti omesso di fare applicazione della normativa di cui agli artt. 1223 e 1225 c.c. e art. 1227 c.c., comma 2, assumendo che la colpa del fornitore derivava dal suo obbligo di preavvisare gli utenti dell’interruzione di energia elettrica, “asseritamente non realizzato nei confronti dell’Azienda F.lli S.” ed avrebbe, quindi, errato nel ritenere escluso l’obbligo giuridico a carico dell’Azienda S. di predisporre le serre di idonei strumenti, assoggettati a periodica manutenzione secondo la diligenza del “buon padre di famiglia”, atti ad evitare danni a seguito della interruzione improvvisa della fornitura elettrica (come, del resto, accertato “dalla svolta ctu”).

Inoltre, la Corte territoriale non avrebbe affatto esaminato il fatto decisivo consistente nella circostanza che l’utente, essendo perfettamente a conoscenza della notoria possibilità che si verifichi “un’improvvisa interruzione della fornitura per cause indipendenti dalla volontà del fornitore”, è “obbligato per legge, facendo uso della normale diligenza, a dotare le proprie serre di sistemi di agevole chiusura/apertura manuale delle finestre di areazione, idonee ad evitare qualsiasi inconveniente” derivante dalla interruzione della erogazione di energia per qualsiasi ragione, programmata o accidentale.

Di conseguenza, come ritenuto dal primo giudice, in nessun caso avrebbe potuto affermarsi un nesso diretto tra l’interruzione della fornitura e il danno, essendo comunque intervenuto il comportamento colpevolmente omissivo dell’utente (nell’adottare le anzidette normali cautele) quale fatto interruttivo del determinismo causale.

1.1.- Il motivo non può trovare accoglimento.

Esso coglie solo in parte la ratio decidendi della sentenza impugnata, insistendo sulla ricostruzione in facto e in iure fornita dal primo giudice, ma del tutto superata dalla Corte di appello (cfr.

sintesi ai parr. 2.1. e 2.2. del “Ritenuto in fatto” che precede e cui si rinvia).

Infatti, il secondo giudice, in armonia con i principi in tema di causalità materiale (innervati dall’operare anche in ambito di responsabilità civile, pure di natura contrattuale, delle regole poste dagli artt. 40 e 41 c.p.), ha individuato come causa efficiente dell’evento dannoso – la rovina delle colture presenti nelle serre –

la condotta di interruzione dell’energia elettrica programmata dell’ENEL (per manutenzione ordinaria della linea), che ha comportato come immediata conseguenza il mancato riscaldamento delle dette colture e, per l’appunto, la loro rovina.

La Corte territoriale ha, altresì, escluso che potesse integrare causa da sola efficiente a determinare l’evento dannoso la mancata tempestiva chiusura manuale delle finestre delle serre ove si trovavano le colture, trattandosi di condotta non costituente “anomalia” e alla quale il danneggiato non era tenuto “per legge o per contratto” (e nè, nella specie, in concreto violativa di obblighi di buona fede). Ma il giudice di appello ha, inoltre, escluso ogni rilievo causale alla predetta omissione del danneggiato (in linea con la portata applicativa dell’art. 1227 c.c., comma 1), ascrivendo rilievo assorbente alla condotta dell’ENEL in ragione del mancato preavviso di interruzione programmata dell’energia elettrica (cfr. sintesi al par. 2.3. del “Ritenuto in fatto” che precede e cui si rinvia), rispetto al quale obbligo contrattuale (incontestato) non poteva assumere incidenza il presunto onere dell’utente di “tenersi pronto, per parte sua, ad attivare in qualsiasi momento le misure occorrenti a rimediare al disservizio”.

Alla luce di siffatta ricostruzione in fatto (come detto, armonica rispetto alle presupposte coordinate giuridiche), evaporano le censure della società ricorrente, che, oltre a muovere da una premessa materiale contraria a quella accertata dal giudice di secondo grado (ossia l’inesistenza del preavviso di interruzione programmata di energia elettrica che il gestore avrebbe dovuto effettuare), fanno leva, poi, su un apparato normativo non conferente rispetto al decisum, giacchè esso evoca il diverso ambito della causalità giuridica che attiene ai danni-conseguenza, cui sono da ricondurre, per l’appunto, non solo le norme di cui agli artt. 1223 e 1225 c.c., ma anche quella dell’art. 1227 c.c., comma 2, che riguarda le conseguenze del danno eziologicamente imputabile al danneggiante le quali avrebbero potuto essere impedite o attenuate da un comportamento diligente del danneggiato (Cass., 9 gennaio 2001, n. 240; Cass., 6 giugno 2006, n. 13242).

Quanto, infine, al dedotto “omesso esame” di “fatto decisivo”, nella prospettiva del vizio di cui dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, novellato dal legislatore del 2012 (siccome applicabile ratione temporis, per essere stata la sentenza impugnata pubblicata il 20 marzo 2013), esso, all’evidenza, non riveste detto carattere, trattandosi soltanto di congettura della parte disallineata rispetto alla concretezza della fattispecie materiale oggetto di cognizione, giacchè la deduzione ruota intorno alla circostanza, asseritamente decisiva, della “notoria possibilità… di verificazione di una improvvisa interruzione della fornitura per cause indipendenti dalla volontà del fornitore”, la quale, invece, è evento non verificatosi nel caso in esame, tanto da elidere, al contempo ed in modo inammissibile, la portata, effettivamente decisiva secondo la ratio decidendi della sentenza impugnata, del mancato preavviso di interruzione cui l’ENEL era tenuto per contratto.

2. – Con il secondo mezzo è prospettata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., artt. 1223 e 1225 c.c., nonchè dedotto, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti.

La Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto non credibile la deposizione di G.M. – teste processuale addotto da ENEL Distribuzione al fine di provare l’avvenuta comunicazione della programmata interruzione dell’erogazione di energia elettrica agli utenti interessati – in violazione delle norme di cui agli artt. 1223 e 1225 c.c., nonchè art. 116 c.p.c., motivando in maniera “illogica il proprio convincimento”, facendo riferimento ad un “argomento logico” costituente un “paradossale ragionamento”.

La Corte non avrebbe, comunque, considerato che l’ENEL aveva comunque provato di aver impartito istruzioni al fine di preavvisare gli utenti dell’interruzione di energia elettrica, così da doversi escludere un comportamento doloso e/o colposo e, quindi, limitare il danno, ex art. 1225 c.c., soltanto a quello prevedibile, tale non essendo il pregiudizio lamentato dalla parte attrice, posto che essa società convenuta era “oggettivamente ignara delle condizioni di sostanziale inidoneità degli impianti utilizzati dalla Azienda Floricola F.lli S. per l’areazione delle proprie serre”.

2.1. – Il motivo è inammissibile.

Esso non solo si ingerisce ab externo su una valutazione di merito spettante unicamente alla Corte territoriale, ma, anzitutto, si poggia su una lettura monca e non pertinente della ratio decidendi della sentenza impugnata (cfr. sintesi al par. 2.3. del “Ritenuto in fatto” che precede e cui si rinvia), la quale ha speso l’argomento logico cui allude la ricorrente solo come mera conferma di un ragionamento di per sè esaustivo sulla inattendibilità del teste G. e sulla utilizzabilità della deposizione del teste D., quali aspetti non attinti da alcuna censura.

Anche la denuncia dell’error in indicando è costruita sulla scorta di una deduzione – quella di aver comunque provveduto a dare istruzioni circa la comunicazione agli utenti del preavviso di interruzione dell’energia elettrica del tutto eccentrica rispetto alla decisione della Corte toscana, posto che questa si regge sulla ben diversa ratto della mancata effettuazione in concreto del preavviso nei confronti della Azienda F.lli, cui l’ENEL era tenuto contrattualmente, risultando in tale prospettiva irrilevante anche l’ulteriore deduzione (su cui si assume l’omesso esame) circa le condizioni di aereazione degli impianti delle serre.

3. – Con il terzo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti.

La Corte d’appello di Firenze, nel porre a fondamento della propria decisione la c.t.u. espletata in sede di accertamento tecnico preventivo, avrebbe violato la regola dell’onere della prova e il disposto degli artt. 115 e 166 c.p.c., giacchè la determinazione del quantum risarcitorio era eseguita dal consulente in modo sommario e in via presuntiva, senza neppure l’ausilio di documenti e sulla base delle sole affermazioni del titolare dell’azienda, in quanto tale contestata sia in primo, che in secondo grado da essa società ENEL. 3.1. – Il motivo non può trovare accoglimento.

Come evidenziato in ricorso (pp. 16/17), le contestazioni alla stima dei danni, siccome risultante dall’elaborato acquisito agli atti e redatto in sede di accertamento tecnico preventivo (ATP), sono consistite, in entrambi i gradi di giudizio di merito, in una critica generica, alludendosi al fatto che il “c.t.u.” avesse “determinato solo indiziariamente ed in forma indiretta l’entità del danno, essenzialmente sulla base delle dichiarazioni del titolare dell’Azienda S.”.

Sicchè, non avendo la Corte territoriale violato la effettiva portata, sulla omessa motivazione che sorregge la decisione in punto di liquidazione del quantum (per asserita assoluta inidoneità dell’elaborato tecnico, sul quale la sentenza impugnata si fonda, a rappresentare la prova del danno risarcibile), occorre considerare che la dedotta omissione non è ravvisabile nella specie, giacchè, per un verso, il giudice di appello, ben potendo recepire per relationem i contenuti di un accertamento tecnico d’ufficio, avente funzione non solo deducente, ma anche percipiente (in tale prospettiva, cfr. Cass., 17 febbraio 2011, n. 3920 e Cass., 11 maggio 2012, n. 7364), si è riferito proprio alla stima presente nel predetto elaborato effettuato in sede ATP (e su tale profilo non vi sono pertinenti doglianze), e, per altro verso, nessuna censura specifica su modalità concrete e contenuti precipui della stima medesima è dato ravvisare in sede di merito, là dove soltanto in questa sede di legittimità la società ricorrente introduce una critica puntuale al riguardo, che, tuttavia, si palesa inammissibile, rimettendo alla Corte valutazioni eminentemente di fatto spettanti soltanto al giudice del merito.

4. – Il ricorso va, pertanto, rigettato e la società ricorrente condannata, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, come liquidate come in dispositivo in conformità ai parametri introdotti dal D.M. 10 marzo 2014, n. 55.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida, in favore della parte controricorrrente, in complessivi Euro 7.290,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 3 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2016

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