Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12147 del 22/06/2020

Cassazione civile sez. I, 22/06/2020, (ud. 31/10/2019, dep. 22/06/2020), n.12147

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. LIBERATI Giovanni – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29980/2018 proposto da:

M.M., rappresentata e difeso dall’avv. Paolo Sassi,

elettivamente domiciliato presso la Cancelleria Civile della Corte

di Cassazione;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di CAMPOBASSO, depositato il

28/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

31/10/2019 dal Cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Campobasso, con decreto depositato il 28 agosto 2018, ha rigettato la domanda proposta da M.M., cittadino del (OMISSIS), volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale o, in subordine, della protezione umanitaria.

E’ stato, in primo luogo, ritenuto che difettassero i presupposti per il riconoscimento in capo al ricorrente dello status di rifugiato, non essendo le sue dichiarazioni state ritenute inquadrabili in tale fattispecie di protezione internazionale (costui aveva riferito di essere fuggito dal paese di origine per sottrarsi alle minacce e percosse del fratello, il quale una notte rientrò in casa imbracciando un fucile al fine di ucciderlo).

Al richiedente è stata inoltre negata la protezione sussidiaria, essendo stata ritenuta l’insussistenza di una situazione di violenza generalizzata nella sua zona di provenienza.

Il ricorrente non è stato comunque ritenuto meritevole del permesso per motivi umanitari per carenza di una condizione di vulnerabilità.

Ha proposto ricorso per cassazione M.M. affidandolo a tre motivi.

Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 8 D.Lgs. e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 1, lett. e e) e g), artt. 3, 14 e art. 16, comma 1, lett. b) e art. 19, nonchè l’omesso esame di fatto decisivo.

Lamenta il ricorrente che il Tribunale non ha correttamente valutato la sua vicenda personale ed ha errato nell’interpretazione della normativa di riferimento.

In particolare, evidenzia la persecuzione subita per mano del fratello, che lo ha costretto a fuggire.

Contesta il ricorrente la valutazione operata dal Tribunale di Campobasso sulla situazione socio-politica del Mali alla luce dei rapporti di Amnesty International 2015-2016 e 2017-2018, evidenziando che si tratta di un paese caratterizzato da instabilità politica e nel quale non vengono rispettati i fondamentali diritti umani.

2. Il motivo è manifestamente infondato.

In ordine al riconoscimento dello status di rifugiato, va osservato che il giudice di merito ha coerentemente evidenziato che non ricorrono, nel caso di specie, motivi di persecuzione D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 7 e ciò in relazione alle ragioni di carattere solo familiare (complesso e difficoltoso rapporto con il fratello maggiore) che hanno indotto il richiedente ad allontanarsi dal suo paese d’origine.

Peraltro, il ricorrente non si è neppure minimamente confrontato e non ha quindi, a maggior ragione, confutato l’argomentazione, immune da vizi logici, del giudice di merito secondo cui il ricorrente, lontano dal fratello, ma pur sempre all’interno del paese d’origine, non dovrebbe temere alcuna fonte di pericolo.

Quanto alla protezione sussidiaria, va preliminarmente osservato che questa Corte ha più volte statuito che, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, deve essere interpretata, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), nel senso che il grado di violenza indiscriminata deve avere raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Sez. 6-1, Ordinanza n. 13858 del 31/05/2018, Rv. 648790).

Nel caso di specie, il giudice di merito, valorizzando fonti internazionali accreditate come i rapporti di Amnesty International 2015-2016 e 20172018, ha evidenziato l’insussistenza di una situazione di violenza indiscriminata nella regione di provenienza del ricorrente, ed il relativo accertamento costituisce apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità (Cass. 12/12/2018 n. 32064).

Ne consegue che le censure del ricorrente, sul punto, si configurano come di merito, e, come tali, inammissibili in sede di legittimità, essendo finalizzate esclusivamente a sollecitare una rivalutazione del materiale probatorio già esaminato dal giudice di merito.

3. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.

Lamenta il ricorrente che il Tribunale di Campobasso ha errato nella valutazione comparativa tra la situazione oggettiva e soggettiva del richiedente nel paese d’origine e quella nel paese di accoglienza (l’Italia).

Espone di aver iniziato un percorso di integrazione in Italia e che la situazione oggettiva del Mali (che si trova in una situazione di instabilità) e la sua condizione soggettiva (rapporto con il fratello) determinerebbero, in caso di rientro nel paese d’origine, la privazione del nucleo minimo dei diritti fondamentali.

4. Il motivo è inammissibile.

Va preliminarmente osservato che questa Corte ha già avuto modo di affermare che, anche ove sia dedotta dal richiedente una effettiva e significativa compromissione dei diritti fondamentali inviolabili nel paese d’origine, pur dovendosi partire, nella valutazione di vulnerabilità, dalla situazione oggettiva di tale paese, questa deve essere necessariamente correlata alla condizione personale che ha determinato la ragione della partenza. Infatti, ove si prescindesse dalla vicenda personale del richiedente, si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti, e ciò in contrasto con il parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (in questi termini Cass. n. 4455 del 23/02/2018).

Nel caso di specie, se è pur vero che il richiedente ha fondato la sua richiesta di concessione della protezione umanitaria rappresentando la sua vicenda personale, come già sopra anticipato, quest’ultima non è stata ritenuta dal giudice di merito di valenza tale da giustificare il beneficio, e ciò in relazione alla concreta prospettiva di eliminare, anche in caso di rientro nel paese d’origine, ogni fonte di pericolo semplicemente stando lontano dal fratello.

Peraltro, assai generica è stata, in ogni caso, la allegazione del ricorrente in ordine alla eventuale violazione dei diritti fondamentali nel paese d’origine, essendosi limitato a prospettare quali possono essere in astratto le cause di vulnerabilità che possono fondare il riconoscimento della protezione umanitaria (grave instabilità politica, episodi di violenza, carestie, etc.).

Ne consegue che il ricorrente lamenta l’erronea effettuazione di un giudizio comparativo tra la situazione del suo paese d’origine e quella di integrazione nel paese d’accoglienza – censura di per sè inammissibile in quanto di merito – senza aver neppure fornito alcun elemento idoneo a consentire un tale raffronto.

Infine, inconferente è il livello di integrazione raggiunto dall’odierno nel paese d’accoglienza – peraltro solo genericamente prospettato elemento che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, può essere sì considerato in una valutazione comparativa al fine di verificare la sussistenza della situazione di vulnerabilità, ma non può, tuttavia, da solo esaurirne il contenuto (vedi sempre Cass. n. 4455 del 23/02/2018).

3. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 74, comma 2 e art. 136, comma 2, nonchè la illegittimità della revoca del patrocinio a spese dello Stato, e ciò sul rilievo della non manifesta infondatezza del ricorso, il quale, viceversa, era fondato.

4. Il motivo è inammissibile.

Va osservato che questa Corte ha più volte affermato che la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato adottata con la sentenza che definisce il giudizio di appello, anzichè con separato decreto, come previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136, non comporta mutamenti nel regime impugnatorio, che resta quello, ordinario e generale, dell’opposizione ex art. 170 della stesso D.P.R.. Si deve quindi escludere che la pronuncia sulla revoca, in quanto adottata con sentenza, sia, per ciò solo, impugnabile immediatamente con il ricorso per cassazione, rimedio previsto solo per l’ipotesi contemplata dall’art. 113 del D.P.R. citato (Cass. 29228/2017; conf. Cass. n. 30282018 e n. 32028/2018).

Ne consegue che il ricorrente avrebbe dovuto promuovere tempestivamente lo speciale procedimento di opposizione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 170 e non attendere la proposizione del ricorso per cassazione.

La declaratoria di inammissibilità del ricorso non comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di lite, non essendosi il Ministero intimato costituito in giudizio.

Si applica il doppio contributo, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, non essendo il ricorrente stato ammesso al patrocinio a carico dello Stato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 31 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2020

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