Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12145 del 14/06/2016

Cassazione civile sez. III, 14/06/2016, (ud. 03/03/2016, dep. 14/06/2016), n.12145

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17231/2013 proposto da:

D.L.A., ((OMISSIS)), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA LUIGI LILIO 95, presso lo studio dell’avvocato TEODORO

CARSILLO, che lo rappresenta e difende giusta procura speciale a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

VITTORIA ASSICURAZIONI S.P.A., in persona dell’Amministratore

Delegato e legale rappresentante Rag. G.R.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA L. BISSOLATI 76, presso lo

studio dell’avvocato TOMMASO SPINELLI GIORDANO, che la rappresenta

e difende unitamente agli avvocati LUCIANA ROBOTTI, FELICE PENCO

giusta procura speciale in calce al controricorso;

– ricorrente –

contro

G.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA OTRANTO

36, presso lo studio dell’avvocato MARIO MASSANO, che lo

rappresenta e difende giusta procura speciale a fronte del

controricorso;

– controricorrenti –

e contro

CASA DI CURA VILLA AURORA S.P.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 3872/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 17/07/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/03/2016 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI;

udito l’Avvocato TEODORO CARSILLO;

udito l’Avvocato ENRICA FASOLA per delega;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

AUGUSTINIS Umberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. – In data (OMISSIS) D.L.A., visti i costanti dolori sofferti durante i rapporti sessuali a causa di una “fimosi”, si sottoponeva, presso la Casa di Cura Villa Aurora S.p.A., ad un intervento di circoncisione, eseguito dal Dott. G.G..

Il successivo (OMISSIS), in considerazione del fatto che “l’intervento non solo non aveva dato l’esito sperato, ma aveva aggravato le condizioni di salute del paziente, provocandogli lacerazioni, infiammazioni e perdite di sangue, le quali rendevano gravemente difficoltoso un normale rapporto sessuale”, il D.L., sempre presso l’indicata Casa di cura e ad opera del detto sanitario, veniva sottoposto ad un secondo intervento chirurgico di “rimodellamento per precedente intervento per fimosi”, che, tuttavia, non eliminava “i suddetti postumi indesiderati”.

Alla luce di tali fatti, quindi, D.L.A. convenne in giudizio G.G., nonchè, ai sensi dell’art. 1228 c.c., la Casa di Cura villa Aurora S.p.A., per sentirli condannare al risarcimento dei danni patiti a seguito del duplice intervento chirurgico a cui era stato sottoposto.

Nel contraddittorio con i convenuti, nonchè con la Vittoria Assicurazioni S.p.A. e la Italiana Assicurazioni S.p.A. (compagnie assicuratrici chiamate in causa dal Dott. G.), l’adito Tribunale di Roma, all’esito di istruttoria con espletamento di c.t.u. medico-legale, con sentenza del settembre 2004, dichiarò la responsabilità civile di G.G. e della Casa di Cura Villa Aurora e li condannò solidalmente al pagamento, in favore dell’attore, della somma risarcitoria di Euro 27.111,00, oltre accessori, nonchè al rimborso delle spese legali, con obbligo della sola Vittoria Assicurazioni S.p.A. di manlevare il G. di tutte le somme che sarebbero state da lui pagate all’attore in esecuzione della sentenza.

2. – Avverso tale decisione proponevano impugnazione (in via principale) la Vittoria Assicurazioni S.p.A. e (in via incidentale) la Casa di Cura Villa Aurora S.p.A. e G.G..

La Corte d’Appello di Roma, nel contraddittorio anche con Andrea D. L., con sentenza resa pubblica il 17 luglio 2012, riformava integralmente la sentenza di primo grado e condannava D.L. A. alla restituzione in favore della Vittoria Assicurazioni S.p.A. dell’importo di Euro 34.400,00, con gli interessi maturati, nella misura legale, dal versamento dell’importo al soddisfo;

dichiarava inammissibile l’appello incidentale proposto dal G.;

condannava D.L.A. alla refusione della metà delle spese processuali del doppio grado, compensando la restante metà.

2.1. – La Corte territoriale, nell’individuare anzitutto il danno lamentato dal D.L. con l’atto di citazione di primo grado, evidenziava che l’attore aveva dedotto di essere affetto, a distanza “di più di due anni dal primo intervento del 18.3.1998”, da una “abituale lacerazione muco-cutanea con sanguinamento e grave difficoltà allo svolgimento di un normale rapporto sessuale”, soffrendo di “costanti lacerazioni cutanee in occasione di ogni erezione”, incidenti gravemente sull’integrità fisica e sulla vita di relazione affettiva e sessuale.

2.2. – Il giudice di secondo grado osservava, quindi, che il c.t.u.

aveva riscontrato “che i disturbi di cui attualmente soffre il D. L. sono gli stessi riferiti e riscontrati all’epoca della diagnosi”, ossia quelli che lo avevano “indotto a rivolgersi al medico Dr. G. e che hanno posto l’indicazione chirurgica da parte di quest’ultimo”.

La Corte di merito rilevava, ancora, che il c.t.u. aveva accertato la correttezza della diagnosi formulata, l’adeguatezza della scelta del trattamento terapeutico e la corretta esecuzione dello stesso, ribadendo che i “disturbi attuali sono conformi alla patologia riscontrata nella diagnosi posta alla prima visita effettuata dal Dott. G., venendo così a mancare il requisito del maggior danno, configurandosi invece quale danno organico preesistente”.

Il giudice del gravame, dunque, riteneva che “alcun aggravamento della situazione patologica nè l’insorgenza di nuove patologie” risultava provata dal D.L., rilevando come “il danno lamentato dall’odierno appellato dinanzi al Tribunale riguardava la sintomatologia reliquata all’esito del trattamento terapeutico e non quanto patito da costui nelle more del trattamento medesimo”.

Il giudice di appello escludeva, poi, che l’escissione di una porzione di cute (avvenuta il (OMISSIS), ossia in occasione del primo intervento), alquanto più generosa di quella che le “leges artis e le peculiarità del caso suggerivano”, potesse rilevare ai fini del riconoscimento della responsabilità medica del G. e della Casa di Cura Villa Aurora. Invero, il c.t.u., pur avendo ritenuto credibile che la suddetta asportazione di cute potesse aver “determinato in corrispondenza dell’area cicatriziale una condizione di maggior vulnerabilità con ipersensibilità dolorosa e con qualche episodio di sanguinamento”, aveva, poi, riferito che “allo stato attuale le condizioni anatomo funzionali del pene del D.L., anche in corrispondenza della zona operata, risultano sostanzialmente indenni”, altresì precisando che “le lesioni più volte riscontrate e precedentemente descritte hanno carattere di acuzia, di fatto di recente insorgenza, e non sono compatibili con la lunga storia clinica che viene riferita”.

Sicchè, la Corte territoriale concludeva del senso che la sintomatologia lamentata dal paziente, per come descritta dal consulente, non poteva che riferirsi al passato, vale a dire al periodo in cui trattamento terapeutico non si era ancora esaurito, con la conseguenza che “in alcun modo poteva individuarsi un danno da inabilità temporanea relativa”, peraltro mai lamentata dal D.L. (che nella stessa perizia prodotta in primo grado profilava soltanto un danno da invalidità permanente, con ciò confermando che si doleva “dell’esito del trattamento valutati all’attualità”), “nè, tanto meno, da invalidità permanente”.

3. – Per la cassazione di tale sentenza ricorre D.L.A., affidando le sorti dell’impugnazione ad un unico articolato motivo.

Resistono con separati controricorsi la Vittoria Assicurazioni S.p.A. e G.G..

Il ricorrente ha depositato memoria in prossimità dell’udienza del 22 dicembre 2015.

La causa è stata rinviata all’udienza del 3 marzo 2016 a seguito del mutamento del consigliere relatore.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. – Con l’unico mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 1176, 1218, 1223 e 2697 c.c., art. 41 c.p. e art. 115 c.p.c., nonchè omissione, insufficienza e contraddittorietà della motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

La Corte d’Appello, nell’escludere la responsabilità del medico G.G. e della Casa di Cura Villa Aurora S.p.A., avrebbe disatteso, senza fornire una congrua ed adeguata motivazione, le univoche conclusioni del c.t.u. sull’inadempimento della prestazione medica in riferimento alla “escissione del tessuto prepuziale” con asportazione di cute (3 mm.) “ben più ampia di quella che le leges artis e le peculiarità del caso concreto suggerivano”, da cui derivata “una condizione di maggior vulnerabilità ipersensibilità doloroso e con qualche episodio sanguinamento”.

Di conseguenza, il giudice di appello avrebbe violato i principi generali che governano la materia della responsabilità professionale del medico (per cui al paziente è sufficiente provare l’esistenza del contratto – o contatto sociale – ed il danno), non ritenendo raggiunta la prova dell’aggravamento della situazione patologica del D.L., nonchè ponendo a carico di quest’ultimo l’onere di fornire la prova della sussistenza del nesso di causalità tra la condotta del G. e l’evento dannoso denunciato.

2. – Il motivo non può trovare accoglimento.

Esso, infatti, non coglie la ratio decidendi che assiste la sentenza impugnata, la quale muove dal contenuto dell’atto di citazione (cfr.

sintesi al par. 2.1. del “Ritenuto in fatto” che precede), per poi giungere a ritenere coerenti, e condivisibili, le conclusioni del c.t.u. proprio alla luce della pretesa risarcitoria siccome configurata dallo stesso attore (cfr. sintesi al par. 2.2. del “Ritenuto in fatto” che precede).

In tale prospettiva, la Corte territoriale ha dapprima individuato la domanda avanzata dall’attore, quale volta a pretendere unicamente il ristoro del danno da invalidità permanente e non già anche di quello da inabilità temporanea – di cui il D.L. era affetto “attualmente”, ossia all’esito del secondo intervento chirurgico (del luglio 1998), per ritenere, quindi, che – sulla scorta degli accertamenti del c.t.u., congruamente motivati – lo stesso attore non avesse provato l’aggravamento della situazione patologica della quale era portatore prima dell’iniziale intervento chirurgico del marzo 1998 e quale era stata riscontrata dalla diagnosi correttamente effettuata dal G..

A tal riguardo, il giudice di appello ha messo in risalto che, diversamente da quanto allegato con l’atto di citazione – per cui il danno anatomo funzionale permanente attuale sarebbe dipeso dalla cattiva esecuzione della prestazione medica del G. era invece risultato, all’esito della c.t.u., che la situazione patologica attuale era la stessa di quella che affliggeva l’attore prima della prestazione medica e che la stessa lesione accertata in sede di espletamento della c.t.u. non fosse riferibile alla storia clinica portata all’esame del giudice.

Di qui, peraltro, l’armonico coordinarsi della sentenza impugnata con le regole di diritto che presiedono all’accertamento della responsabilità medica, avendo la Corte di merito, con motivazione sufficiente e plausibile – e in ogni caso non attinta dalle censure del ricorrente nella sua effettiva portata e orientamento -, acclarato, in base alle risultanza acquisite agli atti, che nessun aggravamento della patologia di cui era inizialmente affetto il D. L. era stato provato, mancando, dunque, il danno che l’attore aveva lamentato in citazione e che era onere dello stesso attore provare come requisito di fondatezza dell’azione spiegata.

Dal canto suo il ricorrente, invece di aggredire un siffatto percorso motivazionale – e di censurare, quindi, l’eventuale errore del giudice di secondo grado nella fissazione del thema decidendum del giudizio di primo grado e, dunque, nel dare corpo alla domanda risarcitoria nei termini sopra indicati – ha insistito nelle anzidette doglianze di errores in indicando e di vizio motivazionale (centrate su un inadempimento della prestazione medica asportazione eccessiva di una porzione di cute del pene che, nell’economia della decisione della Corte di appello, è stato ritenuto non rilevante), le quali – come detto – non attingono affatto la ratio della sentenza impugnata.

3. – Il ricorso va, pertanto, rigettato ed il ricorrente condannato, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, al pagamento, in favore delle parti controricorrenti, delle spese del presente giudizio di legittimità, come liquidate come in dispositivo in conformità ai parametri introdotti dal D.M. 10 marzo 2014, n. 55.

Nulla è da disporsi in punto di regolamentazione di dette spese nei confronti della parte intimata che non ha svolto attività difensiva in questa sede.

4. – Ricorrendo i presupposti di cui al D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196. art. 52, comma 2 (codice in materia di protezione dei dati personali), a tutela dei diritti e della dignità delle persone coinvolte ed in ragione dell’oggetto della pronuncia deve essere disposta, in caso di riproduzione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione giuridica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, l’omissione delle indicazioni delle generalità e degli altri dati identificativi degli interessati riportati nella sentenza.

PQM

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida, in favore di ciascuna parte controricorrente, in complessivi Euro 5.250,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Dispone che, in caso di diffusione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione giuridica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi degli interessati riportati nella sentenza.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 3 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2016

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