Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12143 del 16/05/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 16/05/2017, (ud. 30/11/2016, dep.16/05/2017),  n. 12143

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17109/2015 proposto da:

D.A., GRONBURG HANSEN BIRGITTE, elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA LIVIO PENTIMALLI, 57, presso lo studio

dell’avvocato RAFFAELLA SILI, rappresentati e difesi dagli avvocati

GIUSEPPE FISCHETTI e TOMMASO SAVITO, in virtù di mandato in calce

al ricorso;

– ricorrenti –

contro

DELL’ERBA GIUSEPPE DONATO, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

CAVOUR presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato DONATO MUSCHIO SCHIAVONE, giusta procura speciale in

calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 189/2015 della CORTE D’APPELLO DI LECCE –

SEZIONE DISTACCATA DI TARANTO, emessa il 04/03/2015 e depositata il

21/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

30/11/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONINO SCALISI;

udito l’Avvocato Tommaso Savito, per i ricorrenti, che si riporta

agli scritti;

udito l’Avvocato Donato Muschio Schiavone, per il controricorrente,

che si riporta agli scritti.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che il Consigliere designato, Dott. A. Scalisi, ha depositato ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., la seguente proposta di definizione del giudizio: ” D.G., con atto di citazione del 17 gennaio 2007, premettendo che, con scrittura privata del 23 agosto 1995, il genitore D.V. si era obbligato a vendere una serie di immobili in (OMISSIS), per il prezzo di Lire 400.000.000, già versato per Lire 250.000.000, pattuendosi per la stipula dell’atto pubblico la data del 30 novembre 1995, ed, attualmente, i suoi eredi, oltre esso deducente, erano i germani D.A. e D.P., il quale ultimo, aveva ceduto nel luglio 2005 la propria quota ereditaria al germano Antonio, sposato con G.H.B.” conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Taranto sez. di Martina Franca, D.A., P. e G.B. chiedendo sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c..

D.P. eccepiva la propria carenza di legittimazione passiva per aver ceduto la quota ereditaria al proprio fratello Antonio.

Si costituiva D.A. e la di lui moglie G., i quali eccepivano la prescrizione del diritto a chiedere l’adempimento in forma specifica del preliminare di vendita. Eccepivano, altresì, l’improponibilità dell’azione avendo essi acquisito la qualità di terzi avendo acquistato dal proprio fratello la quota ereditaria.

Il Tribunale adito, con sentenza dell’8 novembre 2010, rilevava che il termine del 30 novembre 2010 era essenziale e non risultava prorogato dalle parti, con atto scritto, riteneva che il preliminare era privo di efficacia. Respingeva, dunque, le domande e compensava le spese del giudizio.

La Corte di appello di Lecce, pronunciandosi su appello proposto da D.G. Donato, con sentenza n. 189 del 2015, accoglieva l’appello e per l’effetto emetteva sentenza ex art. 2932 c.c., trasferendo i beni oggetto del contratto preliminare del 23 agosto 1995. Secondo al Corte di Lecce, il termine del 30 novembre 1995, fissato per la stipula del contratto definitivo, non era da intendersi termine essenziale, ed il termine prescrizionale decennale non era maturato per quanto D.G. aveva interrotto il termine prescrizionale con raccomandata del 19-21/ gennaio 2004.

La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da D.A. e da G.H.B. con ricorso affidato a due motivi. D.G. Donato ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

1.- Con il primo motivo di ricorso D.A. e G.H.B. lamentano l’omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Secondo i ricorrenti, la Corte distrettuale, pur ritenendo che “non potendosi indicare la data prevista per la stipula del definitivo come termine essenziale ex art. 1457 c.c., non può reputarsi che il differimento dello stesso necessitasse di pattuizione scritta con altrettanto proponibilità della domanda ex art. 2932 c.c.” avrebbe, tuttavia, omesso un esame sull’effettivo accordo di differimento dell’accordo, nonchè sull’effettiva volontà delle parti di differire il termine per la stipula dell’atto pubblico di compravendita sia pure con il mezzo della prova orale. La Corte distrettuale non avrebbe tenuto conto: a) neppure del comportamento concludente tenuto dal promittente acquirente sig. D.G. Donato che manifestava il disinteresse alla stipula dell’atto pubblico. In particolare, in occasione delle denunce di successione relative alla successione dei comuni genitori D.G. non ebbe nulla a richiedere nè ha portato a conoscenza degli altri eredi l’esistenza del preliminare di vendita mantenendo così un comportamento diametralmente opposto a quello poi evidenziato con il documento del 19 gennaio 2004. B) che la lettera indicata ed allegata recante data 19 gennaio 2004 non sarebbe mai pervenuta nè al sig. D.A. nè alla sig.ra S.C.

1.1.- Il motivo è infondato ed, essenzialmente, perchè non coglie l’effettiva ratio della sentenza impugnata.

Come afferma costantemente la dottrina e la stessa giurisprudenza anche di questa Corte se il termine per la stipula del contratto definitivo, indicato nel contratto preliminare è un termine “semplice” (o non essenziale), qualora l’indicazione temporale del preliminare non venisse rispettata da una delle parti, questa sarà inadempiente e in mora, ma il contratto resterà, comunque, ancora vincolante senza la necessità di un accordo di differimento del termine per la stipula del definitivo, restando la materia governata dalla normativa sulla prescrizione. Come correttamente ha affermato la Corte distrettuale “(…) non venendo in esame un termine essenziale ex art. 1457 c.c., non può reputarsi che il differimento dello stesso necessitasse di pattuizione scritta con altrettanto conseguente proponibilità della domanda ex art. 2932 c.c., nel termine della prescrizione ordinaria (….)”, perciò, come ha ulteriormente specificato la Corte di merito “(…) sussisteva il diritto di D.G. Donato di proporre domanda per l’esecuzione specifica ex art. 2932 c.c., nel termine decennale concernente la prescrizione ordinaria, efficacemente interrotto con la comunicazione (a mezzo raccomandata) del 19-21 gennaio 2004 (….)”.

2.- Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 91 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. Secondo i ricorrenti la Corte distrettuale nonostante avesse rigettato la domanda di risarcimento danni in via equitativa avanzata da D.G. Donato, tuttavia ha condannato la parte appellata (attuale ricorrente) al pagamento delle spese dell’intero giudizio.

2.1. Il motivo non può essere accolto.

Va qui precisato che la soccombenza – ossia la non coincidenza fra le richieste avanzate e la decisione del giudice – deve intendersi reciproca non solo nell’ipotesi di una pluralità di domande contrapposte, che siano state accolte o respinte, ma anche laddove l’unica domanda attorea abbia trovato accoglimento per alcuni dei suoi capi o in misura quantitativamente inferiore rispetto a quella proposta. Tuttavia, come è stato più volte affermato da questa Corte: in tema di spese processuali, la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (Cass. S.U. 15/7/2005 n. 14989; Cass. 23/2/2012 n. 2730.

Per questi motivi si propone il rigetto del ricorso.

Tale relazione veniva comunicata ai difensori delle parti.

Il Collegio, letta la memoria dei ricorrenti, condivide argomenti e proposte contenute nella relazione ex art. 380 bis c.p.c., rilevando, altresì, che le osservazioni espresse dai ricorrenti con la memoria depositata in prossimità della Camera di consiglio non consentono di superare le argomentazioni di cui alla relazione.

In definitiva, il ricorso va rigettato e i ricorrenti condannati in soldo a rimborsare a parte controricorrente le spese del presente giudizio che vengono liquidate con il dispositivo.

Il Collegio, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto che sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido a rimborsare alla parte controricorrente le spese del presente giudizio di cassazione che liquida in Euro 6.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali ed accessori, come per legge; attesta che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera del consiglio della Sezione Sesta Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 30 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 16 maggio 2017

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