Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12142 del 07/05/2021

Cassazione civile sez. trib., 07/05/2021, (ud. 19/01/2021, dep. 07/05/2021), n.12142

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino L – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Mar – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCITO DI NOCERA M.G. – rel. Consigliere –

Dott. FANTICINI Giovanni – Consigliere –

Dott. D’AURIA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al numero 4702 del ruolo generale dell’anno

2014, proposto da:

Steant S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa, giusta procura speciale a margine del

ricorso, dall’Avv. Giovanni Pasanisi, domiciliata presso la

cancelleria della Corte di cassazione, in Roma;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore;

– resistente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale dell’Abruzzo n. 62/5/12, depositata in data 27 novembre

2012, non notificata.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19 gennaio 2021 dal Relatore Cons. Maria Giulia Putaturo Donati

Viscido di Nocera.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– con sentenza n. 62/5/12, depositata in data 27 novembre 2012, la Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, previa riunione, accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, nei confronti di Steant s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore e rigettava quello proposto da quest’ultima società nei confronti dell’Ufficio avverso la sentenza n. 34/02/09 della Commissione tributaria provinciale di L’Aquila che aveva accolto parzialmente il ricorso proposto dalla suddetta contribuente avverso l’avviso di accertamento (OMISSIS) con il quale l’Ufficio, previo p.v.c. della G.d.f., aveva contestato nei confronti di quest’ultima un maggiore reddito di impresa, ai fini Ires, Irap e Iva, per l’anno di imposta 2004: a) per indebita deduzione di costi e detrazione di Iva in relazione a fatture per operazioni ritenute inesistenti emesse dalla ditta Dj Ross di H.N.; b) per indebita deduzione di costi ritenuti non inerenti; c) per omessa fatturazione di somme incassate dai clienti quali “acconti”;

– la CTR, in punto di diritto, nel ritenere la legittimità dell’accertamento dell’Ufficio, ha osservato che: 1) in base ai controlli effettuati dalla G.d.F., anche alla luce di indagini di Polizia Giudiziaria, era risultata provata la inesistenza delle operazioni contestate sulla scorta della assoluta inadeguatezza di mezzi e di strutture da parte della ditta DJ Ross ad effettuare la quantità rilevante di servizi fatturati, essendo, peraltro, emersi in sede penale oltre che tributaria, elementi comprovanti che lo scopo della ditta fosse proprio quello di emettere fatture per prestazioni inesistenti; 2) il pagamento a mezzo assegni bancari non garantiva l’effettività delle prestazioni e la specifica riferibilità alle prestazioni fatturate e, quindi, la legittimità della detrazione dei costi; 3)quanto al recupero dell’Iva in relazione alla omessa fatturazione degli acconti, risultava documentato che trattavasi di somme incassate quali anticipazioni da clienti e non già di caparre confirmatorie come sostenuto dalla contribuente; 4) l’accertamento condotto ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, si fondava su elementi gravi, precisi e concordanti della natura fittizia delle operazioni, essendo stati i rilievi della G.d.F. formulati sulla base di riscontri concreti e oggettivi emersi in sede di indagine;

– avverso la sentenza della CTR, la contribuente propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi cui resiste con “atto di costituzione” l’Agenzia;

– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2, e dell’art. 380-bis.1 c.p.c., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 39 e 42, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, per avere la CTR, nel ritenere legittimo l’avviso di accertamento, violato le norme in tema di formazione della prova presuntiva della falsità delle fatture emesse dalla ditta DJ Ross, avendo fondato la decisione sulle risultanze del p.v.c. della G.d.F. del (OMISSIS), ancorchè le considerazioni dei verbalizzanti fossero “totalizzanti” e, pertanto, generiche, sotto il profilo temporale, quanto all’epoca dei fatti addebitati alla ditta DJ Ross, sotto quello soggettivo, attenendo tutti i rilievi unicamente a tale ditta, e sotto quello oggettivo, non sussistendo alcun elemento indiziario riferibile al rapporto concreto tra la società contribuente e la ditta DJ Ross;

– il motivo è inammissibile per le ragioni di seguito indicate;

– va premesso che “ai fini della identificazione del soggetto onerato della prova, nella ipotesi di contestazione formulata dall’Ufficio in ordine alla inesistenza, o parziale inesistenza, delle operazioni commerciali fatturate, la giurisprudenza di legittimità ha reiteratamente affermato in tema di iva (ma i principi valgono per tutte le imposte accertabili mediante la contestazione della veridicità delle fatturazioni) che qualora l’Amministrazione finanziaria contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture, in quanto relative ad operazioni inesistenti, spetta all’Ufficio fornire la prova che l’operazione commerciale, oggetto della fattura, non è mai stata posta in essere, indicando gli elementi anche indiziari sui quali si fonda la contestazione, mentre è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibile, non essendo sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, in quanto si tratta di dati e circostanze facilmente falsificabili (Cass., sent. 19352 del 2018; n. 29002 del 2017; n. 428 del 2015; n. 17977 del 2013); in particolare, questa Corte, nelle ipotesi, come quella di specie, di operazioni oggettivamente inesistenti, ha affermato che “ove la fattura costituisce in tutto o in parte mera espressione cartolare di operazioni commerciali mai poste in essere da alcuno, l’amministrazione ha l’onere di fornire elementi probatori, anche in forma indiziaria e presuntiva (Cass. n. 21953/07, Cass. n. 9784/10, Cass. n. 9108/12, Cass. n. 15741/12, Cass. n. 23560/12; Cass. n. 27718/13, Cass. n. 20059/2014, Cass. n. 26486/14, Cass. n. 9363/15; nello stesso senso C. Giust. 6 luglio 2006, C-439/04; 21 febbraio 2006, C-255/02; 21 giugno 2012, C-80/11; 6 dicembre 2012, C-285/11; 31 novembre 2013, C-642/11), del fatto che l’operazione fatturata non è stata effettuata, dopo di che spetta al contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate; tale prova, tuttavia, non può consistere nella esibizione della fattura o nella dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento, poichè questi sono facilmente falsificabili e vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass. n. 11624 del 2020; Cass. n. 28572 del 2017; Cass. n. 5406 del 2016, Cass. n. 28683 del 2015, Cass. n. 428 del 2015, Cass. n. 12802 del 2011, Cass. n. 15228 del 2001); e comunque, una volta accertata l’assenza dell’operazione, è escluso che possa configurarsi la buona fede del cessionario o committente (rilevante invece nella diversa ipotesi di operazioni soggettivamente inesistenti), il quale ovviamente sa bene se ed in quale misura ha effettivamente ricevuto il bene o la prestazione per la quale ha versato il prezzo o corrispettivo” (Cass. n. 18118 del 2016, in motivazione; Cass. n. 16473 del 2018); quanto alla prova di cui è onerata l’Amministrazione, e che già dal principio appena riportato si desume possa avere anche solo natura indiziaria, la Corte ha affermato che ai fini dell’accertamento tributario relativo sia all’imposizione diretta che all’IVA, la legge – rispettivamente D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1 (richiamato dal successivo art. 40, per quanto riguarda la rettifica delle dichiarazioni di soggetti diversi dalle persone fisiche) ed D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 – dispone che l’inesistenza di passività dichiarate, nel primo caso, o le false indicazioni, nel secondo, possono essere desunte anche sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, senza necessità che l’Ufficio fornisca prove “certe”. Pertanto, il giudice tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità e fondatezza dell’atto impositivo, è tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall’Amministrazione, dando atto in motivazione dei risultati del proprio giudizio (impugnabile in cassazione non per il merito, ma esclusivamente per inadeguatezza o incongruità logica dei motivi che lo sorreggono) e solo in un secondo momento, ove ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, che ne è onerato ai sensi dell’art. 2727 e ss. c.c. e art. 2697 c.c., comma 2 (Cass., ord. n. 14237 del 2017);

– quanto al censurato malgoverno del materiale probatorio da parte del giudice di merito, è pacifico che competa alla Corte di cassazione, nell’esercizio della funzione nomofilattica, il controllo della corretta applicazione dei principi contenuti nell’art. 2729 c.c., alla fattispecie concreta, poichè se è devoluta al giudice di merito la valutazione della ricorrenza dei requisiti enucleabili dagli artt. 2727 e 2729 c.c., per valorizzare gli elementi di fatto quale fonte di presunzione, tale giudizio è soggetto al controllo di legittimità se risulti che, violando i criteri giuridici in tema di formazione della prova critica, il giudice non abbia fatto buon uso del materiale indiziario disponibile, negando o attribuendo valore a singoli elementi, senza una valutazione di sintesi (cfr. Cass., sez. 5, ord. 19352 del 2018, Cass., sez. 6-5, n. 10973/2017, Cass., sez. 5, n. 1715/2007). Infatti, qualora il giudice di merito sussuma erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione (gravità, precisione e concordanza) fatti concreti che non sono invece rispondenti a quei requisiti, il relativo ragionamento è censurabile in base all’art. 360 c.p.c., n. 3 (e non già alla stregua dello stesso art. 360, n. 5), competendo alla Corte di cassazione, nell’esercizio della funzione di nomofilachia, controllare se la norma dell’art. 2729 c.c., oltre ad essere applicata esattamente a livello di proclamazione astratta, lo sia stata anche sotto il profilo dell’applicazione a fattispecie concrete che effettivamente risultino ascrivibili alla fattispecie astratta (Sez. 3 -, Sentenza n. 19485 del 04/08/2017; Sez. 3, Sentenza n. 17535 del 26/06/2008). Ebbene, in ordine all’utilizzo degli indizi, mentre la gravità, precisione e concordanza degli stessi permette di acquisire una prova presuntiva che, anche sola, è sufficiente nel processo tributario a sostenere i fatti fiscalmente rilevanti, accertarti dalla amministrazione (Cass., sent. n. 1575/2007), quando manca tale convergenza qualificante è necessario disporre di ulteriori elementi per la costituzione della prova. La giurisprudenza di legittimità ha tracciato il corretto procedimento logico del giudice di merito nella valutazione degli indizi, affermando che la gravità, precisione e concordanza richiesti dalla legge vanno ricavati dal loro complessivo esame, in un giudizio globale e non atomistico di essi (ciascuno dei quali può essere insufficiente), ancorchè preceduto dalla considerazione di ognuno per individuare quelli significativi, perchè è necessaria la loro collocazione in un contesto articolato, nel quale un indizio rafforza e ad un tempo trae vigore dall’altro in vicendevole completamento (tra le più recenti cfr. Cass., sent. n. 12002/2017; Cass., ord. n. 5374/2017). Ciò che dunque rileva, in base a deduzioni logiche di ragionevole probabilità, non necessariamente certe, è che dalla valutazione complessiva emerga la sufficienza degli indizi, o anche di un solo significativo indizio, a supportare la presunzione semplice di fondatezza della pretesa, salvo l’ampio diritto del contribuente a fornire la prova contraria;

– nella specie, il motivo di ricorso, pur prospettando una violazione dell’art. 2729 c.c., del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 39 e 42, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, in realtà, tende inammissibilmente ad una nuova interpretazione di questioni di merito, avendo la CTR, con una valutazione in fatto non sindacabile dinanzi al giudice di legittimità, ritenuto che la contestazione dell’Amministrazione fosse basata su concreti elementi indiziari, idonei ad assurgere a prova presuntiva della fittizietà delle fatture emesse dalla ditta DJ Ross; in particolare, quanto alla asserita inesistenza delle prestazioni fatturate e quindi alla indeducibilità ai fini delle imposte dirette e indetraibilità ai fini Iva dei relativi costi, la CTR, facendo corretta applicazione dei principi in tema di formazione della prova presuntiva, ha valorizzato alcuni elementi indiziari- stimati gravi, precisi e concordanti – addotti dall’Ufficio, sulla base del p.v.c. della G.d.F. (del (OMISSIS)), concretantesi nella riscontrata assoluta inadeguatezza di mezzi e di strutture da parte della ditta DJ Ross ad effettuare la quantità rilevante di servizi fatturati e nella scoperta in sede penale oltre che in sede tributaria, che la detta ditta fosse in sostanza una “scatola vuota” utilizzata proprio per l’emissione di fatture per operazioni inesistenti; a fronte di tale presunzione semplice, dotata dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, la CTR ha poi escluso, conformemente ai principi in tema di operazioni oggettivamente inesistenti, che potesse costituire una valida prova (a contrario) l’avvenuto pagamento delle prestazioni fatturate con assegni bancari, non garantendo l’effettività delle prestazioni e la specifica riferibilità alle fatture in questione; va, al riguardo, ribadito l’orientamento di questa Corte secondo cui “E’ inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito” (Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8758 del 04/04/2017; Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 18721 del 13/07/2018);

– con il secondo motivo, denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., degli artt. 24 e 111Cost., degli artt. 115 e 116 c.p.c., per avere la CTR ritenuto provata la fittizietà delle fatture emesse dalla ditta DJ Ross sulla base di generiche indicazioni del p.v.c. – per nulla riferibili alla contribuente e neanche valutate nel loro complesso – non costituenti prova della assunta inesistenza delle operazioni fatturate, senza che l’Ufficio avesse assolto all’onere probatorio a suo carico circa la non veridicità delle fatture emesse dalla ditta DJ Ross e registrate dalla contribuente;

– il motivo è inammissibile;

– la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma, e non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata abbia assolto tale onere, poichè in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (tra le altre, Cass. n. 571 del 2017; n. 19064 del 2006, n. 15107 del 2013). Nella specie, invece, proprio un’indebita valutazione la ricorrente intende sostenere senza che, tuttavia, per quanto appena ricordato, possa ritenersi violato l’art. 2697 c.c.;

– peraltro, in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicchè la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, bensì un errore di valutazione dei fatti, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e, dunque, nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012 (Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940);

– con il terzo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di fatti decisivi e controversi per il giudizio, in particolare: 1) di fatti concernenti la prova presuntiva di falsità delle fatture emesse dalla ditta DJ Ross nei confronti della contribuente per avere la CTR, nel ritenere legittimo l’avviso in questione, effettuato il confronto tra la asserita “inadeguatezza dei mezzi dell’emittente” e “le prestazioni di servizi” ricevute dalla ricorrente, (erroneamente ritenute di ampia misura) allorquando dalle copie delle fatture depositate si evinceva che le prestazioni in questione non necessitassero di particolari mezzi, dando, per di più, rilievo alle risultanze penali riferite dall’Agenzia e al “controllo incrociato” tra emittente e destinatario delle fatture senza che rilevassero quanto alla presunzione di falsità di queste ultime; 2) del fatto relativo all’avvenuto pagamento e regolarizzazione ai fini Iva delle somme incassate a titolo di caparra in luogo di anticipato corrispettivo, avendo la CTR ritenuto erroneamente legittimo il recupero Iva “per omessa fatturazione degli acconti”, ancorchè, come precisato nel p.v.c., l’imposta fosse stata corrisposta oltre il termine di legge ossia alla data di emissione della fattura di vendita dei prodotti per i quali risultava essere stata versata la caparra;3) del fatto di essere stata accertata quale reddito imponibile la spesa (di Euro 26.000,00), non addebitata al conto economico di esercizio, relativa ad opere di adeguamento di un immobile di terzi promesso in locazione con illegittimo recupero di Ires, Irap e Iva, avendo la CTR omesso di considerare che, come eccepito nei gradi di merito, tale costo non era stato dedotto dalla società nell’anno in esame, essendo stato imputato al conto “altri crediti”, sottoconto ” fornitori c/anticipi”;

– il motivo – che consta sostanzialmente di tre sub censure – si profila complessivamente inammissibile, posto che il vizio specifico denunciabile per cassazione in base alla nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (come modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis nella specie, per essere stata la sentenza di appello depositata in data 27 novembre 2012) concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., sez. un., n. 8053 e n. 8054 del 2014; Cass. n. 14324 del 2015); nella specie, la ricorrente non ha assolto il suddetto onere, non avendo dedotto, l’omesso esame di “fatti storici”, ma, peraltro quanto all’assunto della CTR: 1) (nell’accogliere l’appello dell’Agenzia) circa la ritenuta sussistenza di elementi presuntivi, gravi, precisi e concordanti della fittizietà delle fatture emesse dalla ditta DJ Ross, quali l’assoluta inadeguatezza di mezzi e di strutture da parte della ditta emittente ad effettuare la quantità rilevante di servizi fatturati e le risultanze delle indagini, svolte anche in sede penale, quanto all’utilizzo della detta ditta proprio per l’emissione di fatture per operazioni inesistenti; 2) circa la ritenuta omessa fatturazione delle somme incassate dalla contribuente quali anticipazioni da clienti a titolo di acconto e non già di caparre confirmatorie; 3) (nel rigettare l’appello della contribuente, confermando sotto tale profilo la sentenza di primo grado) circa la ritenuta non inerenza e quindi l’indeducibilità, ai fini delle imposte dirette, e indetraibilità ai fini Iva, dei costi di Euro 26.000,00 (relativi a lavori di adattamento di un immobile di terzi promesso in locazione alla contribuente) – di profili attinenti alle risultanze probatorie, la rivalutazione delle quali è preclusa a questa Corte;

– in conclusione, il ricorso va rigettato;

– nulla sulle spese del giudizio di legittimità, essendo rimasta resistente l’Agenzia.

PQM

la Corte:

– rigetta il ricorso;

Dà inoltre atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 19 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2021

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