Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12140 del 14/06/2016


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Cassazione civile sez. III, 14/06/2016, (ud. 12/02/2016, dep. 14/06/2016), n.12140

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4327-2013 proposto da:

P.G., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI 11, presso lo studio dell’avvocato

MASSIMO TIRONE, che lo rappresenta e difende giusta procura

speciale in calce al ricorso;

– ricorrente-

contro

D.S.O., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE BRUNO

BUOZZI 82, presso lo studio dell’avvocato GREGORIO IANNOTTA, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato TULLIA TORRESI

giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 701/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 08/02/2012, R.G.N. 8561/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/02/2016 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO;

udito l’Avvocato MASSIMO TIRONE;

udito l’Avvocato ENRICO IANNOTTA per delega non scritta;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per il rigetto del ricorso e

condanna alle spese.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. P.G. e L. convennero in giudizio D.S. O. davanti al Tribunale di Rieti e – sulla premessa di essere nudo proprietario ed usufruttuario di un terreno con annesso fabbricato, una porzione del quale era di proprietà del convenuto, e che quest’ultimo aveva demolito una parte del fabbricato, aveva occupato aree di loro proprietà ed aveva reso inaccessibile l’accesso comune – chiesero che il D.S. fosse condannato alla rimozione della recinzione installata, alla ricostruzione dei locali demoliti ed al riconoscimento dei loro diritti di nuda proprietà ed usufrutto.

Si costituì in giudizio il D.S., chiedendo il rigetto della domanda ed avanzando domanda riconvenzionale per il risarcimento dei danni asseritamente da lui patiti ad opera degli attori, ivi compresi quelli per il mancato reddito ottenibile dai locali del primo piano del complesso immobiliare, per il periodo dal 1972 al 1986.

Il Tribunale dichiarò cessata la materia del contendere in ordine alla domanda di rimozione della recinzione, rigettò le altre domande dei P. ed anche le riconvenzionali del convenuto, ad eccezione di quella relativa alla mancata fruizione dei redditi di cui sopra, determinati in lire dieci milioni; il tutto con compensazione delle spese.

2. La pronuncia fu appellata da entrambe le parti e la Corte d’appello di Roma, con una sentenza del 1995, rigettò l’appello proposto dal D.S. e, in parziale accoglimento dell’appello incidentale dei P., riformò la sentenza del Tribunale rigettando anche la domanda riconvenzionale del D.S. che aveva trovato accoglimento in primo grado.

3. La pronuncia della Corte d’appello fu cassata da questa Corte con la sentenza 8 settembre 1998, n. 8876, con rinvio alla medesima Corte d’appello.

Riassunto il giudizio, la Corte d’appello di Roma pronunciò una prima sentenza, non definitiva, con la quale accolse l’appello del D.S. e condannò i P. al risarcimento dei danni conseguenti alla mancata utilizzazione della parte di immobile di esclusiva proprietà della controparte, dichiarandoli altresì responsabili rispetto all’obbligo di manutenzione delle parti di loro proprietà; con una seconda sentenza, definitiva, provvide alla liquidazione del danno – nella somma complessiva di Euro 96.850 –

assumendo come base il valore locativo dell’immobile e riconoscendo una percentuale di concorso di colpa anche al D.S. in relazione alla manutenzione del tetto del fabbricato.

4. Avverso entrambe le sentenze proposero ricorso principale il D. S. e ricorso incidentale P.G. e L. e questa Corte, con sentenza 6 giugno 2007, n. 13242, accolse in parte il ricorso principale ed in parte anche quello incidentale; riconobbe che nessuna concorrente responsabilità per i lamentati danni poteva essere riconosciuta a carico del D.S. ai sensi degli artt. 1225 e 1227 cod. civ. ed aggiunse che i danni dovevano essere calcolati con riferimento all’andamento del mercato immobiliare e limitatamente al solo periodo richiesto, ossia dal 1972 al 1986.

Cassate entrambe le sentenze impugnate, il giudizio fu nuovamente rinviato alla Corte d’appello di Roma.

5. Riassunto il giudizio dal D.S., si è costituito il solo P.G., in proprio e quale erede del defunto P. L..

La Corte di merito ha fatto svolgere un supplemento di c.t.u. e, con sentenza dell’8 febbraio 2012, ha condannato il P. al pagamento, in favore del D.S., della residua somma di Euro 134.014,72, oltre interessi dalla data della sentenza al saldo, provvedendo alla regolazione delle spese di lite.

Ha osservato la Corte territoriale che l’oggetto della decisione era limitato, trattandosi di un giudizio di rinvio, dalla pronuncia della Corte di cassazione, per cui doveva essere discusso il solo profilo del risarcimento del danno conseguente alla mancata utilizzabilità della porzione immobiliare di proprietà del D.S.; danno da calcolare considerando il valore del bene sulla base delle fluttuazioni del mercato immobiliare e per il periodo fissato dalla Suprema Corte, cioè dal 1972 al 1986.

Tanto premesso, la Corte d’appello – recependo sul punto le valutazioni compiute dal c.t.u., che aveva svolto il proprio compito procedendo a “scrupolose indagini, sulla scorta degli atti di causa e del preciso quesito assegnatogli”, tenendo presente la destinazione agricola dell’immobile – ha determinato il valore locativo dell’immobile anno per anno; dopo di che, trattandosi di responsabilità extracontrattuale e, perciò, di obbligazione di valore, ha rivalutato le somme già calcolate al momento della liquidazione, pervenendo ad un totale di Euro 136.538,66 a titolo di sorte capitale. Sulle somme dovute e rivalutate anno per anno la Corte ha poi ritenuto dovuti anche gli interessi compensativi al tasso legale di volta in volta vigente, con un totale di Euro 133.608,87 per quel titolo. La somma totale, quindi, è stata determinata in Euro 270.147,53, che la Corte romana ha ritenuto di poter riconoscere “in quanto rientrante in quella richiesta al netto di rivalutazione ed interessi”. Detraendo dalla somma così come liquidata quanto il P. aveva già versato in precedenza, con le dovute rivalutazioni, la sentenza in questione ha determinato la spettanza conclusiva nella somma di Euro 134.014,72, sopra indicata.

6. Contro la sentenza della Corte d’appello di Roma propone ricorso P.G., con atto affidato a quattro motivi.

Resiste D.S.O. con controricorso.

Le parti hanno depositato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, costituito dal valore locativo degli immobili siti al primo piano ed al piano terreno di proprietà del D.S., valore assunto come base nella liquidazione dei danni.

Rileva il ricorrente che le conclusioni alle quali è giunto il c.t.u. nel proprio supplemento di consulenza sarebbero in evidente contrasto con quanto sostenuto nella relazione del proprio c.t. di parte. A fronte di precise contestazioni alla c.t.u. mosse in comparsa conclusionale, la Corte d’appello avrebbe fornito una motivazione del tutto insufficiente, essendosi limitata a richiamare le conclusioni del c.t.u., senza considerare affatto le critiche mosse dal c.t. di parte; ciò sia in ordine al differente valore tra il piano terreno ed il primo piano che in ordine al coefficiente di capitalizzazione.

1.1. Il motivo non è fondato.

La Corte d’appello – dopo aver proceduto alla nomina di un nuovo c.t.u. allo scopo di dare attuazione a quanto stabilito nella sentenza di questa Corte n. 13242 del 2007 – ha dato atto che l’ausiliario nominato aveva proceduto a scrupolose indagini e ne ha condiviso e fatto proprie le conclusioni. In tal modo la Corte di merito si è conformata alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui il giudice di merito non è obbligato a dare conto, espressamente, di tutte le censure mosse dai consulenti di parte al c.t.u., ove aderisca alle conclusioni di quest’ultimo che, in considerazione della sua posizione di imparzialità, offre evidentemente maggiori garanzie di obiettività (v., fra le altre, le sentenze 3 aprile 2007, n. 8355, 9 gennaio 2009, n. 282, 3 marzo 2011, n. 5148, 18 dicembre 2012, n. 23362, e l’ordinanza 2 febbraio 2015, n. 1815).

D’altra parte, la questione posta al c.t.u. era complessa e delicata, anche in relazione alla lunga durata del giudizio ed alla particolare collocazione ed alla vetustà dell’immobile valutato; lo stesso c.t.u. aveva già svolto una prima relazione in uno dei precedenti gradi di giudizio e – come dà atto lo stesso motivo di ricorso in esame (v. p. 18-19) – aveva dimostrato di tenere conto dei rilievi del c.t. di parte P., soprattutto in relazione all’attribuzione dei coefficiente di qualificazione per il piano terra e per il primo piano. Da tanto consegue che non era da ritenere necessaria, nella specie, un’ulteriore specifica risposta alle contestazioni del tecnico di parte, e che la Corte d’appello ha esaurientemente motivato in ordine alle ragioni per le quali ha aderito alle conclusioni del c.t.u., dovendosi ritenere implicitamente rigettate tutte le diverse valutazioni compiute dai c.t. di parte.

2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), nullità della sentenza per violazione dell’art. 2909 cod. civ. e degli artt. 112, 345, 394 e 329 c.p.c..

Osserva il ricorrente che la Corte d’appello, dopo aver liquidato la sorte capitale, ha poi anche riconosciuto la spettanza degli interessi compensativi, benchè in mancanza di una domanda da parte del danneggiato. Tuttavia, anche ammettendo che il giudice potesse attribuire tali interessi senza una domanda, la somma doveva essere liquidata nei limiti della medesima; per cui, calcolando le somme richieste in primo grado – 45 milioni di lire per i locali del primo piano e 36 milioni di lire per il piano terra – anche gli interessi compensativi dovrebbero essere conteggiati per verificare che non vi sia stata violazione del principio della domanda (cioè la sorte andrebbe sommata con gli interessi). Aggiunge il ricorrente, poi, che, poichè nel giudizio di rinvio non possono introdursi domande diverse da quelle proposte in sede di appello, danni da ritardo non potevano essere riconosciuti, perchè dall’atto di appello notificato in data 14 maggio 1990 il D.S. non aveva chiesto tali danni.

Inoltre, poichè la seconda decisione della Corte d’appello aveva condannato i P. al pagamento della complessiva somma di Euro 96.850, oltre interessi dalla data della decisione al saldo, il riconoscimento degli interessi compensativi sarebbe precluso al D. S. dalla mancata impugnazione di quel profilo in sede di giudizio di legittimità, con conseguente formazione del giudicato. La preclusione da giudicato interno, inoltre, sussisterebbe anche in relazione al fatto che la sentenza di cassazione del 2007 ha escluso che potessero essere liquidati danni a favore del D.S. per un periodo successivo al 1986, e tale statuizione “deve applicarsi a tutti i possibili danni subiti dal D.S., e quindi anche ai danni che si pretende derivati dopo il 1986 dal ritardo nell’adempimento dell’obbligazione risarcitoria”.

2.1. Il motivo, assai articolato e complesso, contiene numerose censure che vanno analizzate separatamente.

2.2. Un primo gruppo di questioni riguarda l’attribuzione, da parte della sentenza in esame, degli interessi compensativi, i quali sarebbero stati riconosciuti in assenza di specifica domanda, determinando ultrapetizione e violando i principi sul giudicato.

2.2.1. Tali questioni sono tutte prive di fondamento.

In ordine all’assenza di una domanda, si osserva che la giurisprudenza di questa Corte ha più volte affermato che gli interessi compensativi sulle somme liquidate a titolo di risarcimento da atto illecito, costituendo una componente del risarcimento, possono essere attribuiti anche in assenza di un’espressa domanda della parte creditrice (v. le sentenze 18 gennaio 2007, n. 1087, e 14 febbraio 2013, n. 3706). Corretta è, quindi, la decisione della Corte d’appello che, avendo ricondotto la responsabilità del P. nell’ambito extracontrattuale, ha provveduto a rivalutare all’attualità l’importo del credito e ad attribuire gli interessi compensativi, anche in assenza di espressa domanda.

Analogamente, è infondata la censura che ravvisa ultrapetizione nel riconoscimento degli interessi compensativi, perchè gli interessi sulla somma liquidata a titolo di risarcimento del danno da fatto illecito hanno fondamento e natura diversi da quelli moratori, regolati dall’art. 1224 cod. civ., in quanto sono rivolti a compensare il pregiudizio derivante al creditore dal ritardato conseguimento dell’equivalente pecuniario del danno subito, di cui costituiscono una necessaria componente. Ne consegue, quindi, che nella domanda di risarcimento del danno per fatto illecito deve ritenersi implicitamente inclusa la richiesta di riconoscimento degli interessi compensativi e che il giudice di merito deve attribuirli senza per ciò solo incorrere in ultrapetizione (v. le sentenze 7 ottobre 2005, n. 19636, e 17 settembre 2015, n. 18243). Tale orientamento, al quale va data continuità, esclude che vi sia stata ultrapetizione e che possa essere fondata anche l’ulteriore censura con la quale si lamenta che tali interessi siano stati riconosciuti in sede di giudizio di rinvio.

Quanto, infine, alla presunta violazione del giudicato interno, che avrebbe precluso alla Corte romana di riconoscere gli interessi compensativi in sede di giudizio di rinvio, il Collegio osserva che l’argomento, benchè suggestivo, è privo di fondamento.

Bisogna considerare, infatti, che, a prescindere da quelle che erano state le censure mosse alle due pronunce della Corte d’appello di Roma emesse a seguito della prima sentenza di cassazione, la seconda sentenza emessa da questa Corte ha accolto in parte sia il ricorso principale che quello incidentale. In tal modo, la questione relativa alla liquidazione dei danni da mancato godimento della porzione di immobile di proprietà D.S. è stata, comunque, rimessa integralmente in discussione; con la conseguenza che, poichè il giudizio è ritornato in grado di appello, nessun giudicato poteva essersi formato sul punto della liquidazione del danno e sul mancato riconoscimento degli interessi compensativi, per cui nessuna conseguente lesione dei relativi principi è stata commessa dalla Corte di merito in sede di giudizio di rinvio.

2.3. Residua, infine, un’ultima censura, esposta alla conclusione del secondo motivo di ricorso, relativa alla presunta impossibilità di liquidare in sede di rinvio i danni relativi al periodo successivo al 1986.

La censura, formulata peraltro in maniera non limpidissima, è frutto di un evidente equivoco. La sentenza di questa Corte n. 13242 del 2007 ha cassato la decisione della Corte d’appello, come si è detto, sul rilievo che i danni da mancato godimento dell’immobile dovevano essere limitati al periodo dal 1972 al 1986 e non oltre. La Corte d’appello si è attenuta, in sede di rinvio, a tale prescrizione, provvedendo a conteggiare e rivalutare i canoni per tale periodo. Ma è evidente che l’impossibilità di riconoscere somme per il periodo successivo al 1986 non significa affatto, come vorrebbe il ricorrente, che tale preclusione debba valere per “tutti i possibili danni subiti dal D.S.”, e quindi anche quelli conseguenti al ritardo. Entro il limite temporale sopra indicato, quindi, è pacifico che il danno da ritardo potesse e dovesse essere riconosciuto, ivi compresi gli interessi compensativi.

2.4. In conclusione, tutte le censure contenute nel secondo motivo di ricorso sono prive di fondamento.

3. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione degli artt. 1223 e 2697 c.c..

Osserva il ricorrente che la Corte d’appello ha riconosciuto al D. S. gli interessi compensativi sulle somme a lui liquidate, senza verificare se egli avesse realmente subito danni per il ritardato pagamento, mentre tali interessi non sono conseguenza automatica del ritardo nell’inadempimento di un’obbligazione di valore; il riconoscimento degli interessi compensativi senza una specifica prova del pregiudizio subito violerebbe le norme di legge suindicate.

4. Con il quarto motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia.

Si sostiene, a questo proposito, che, a prescindere dall’errore giuridico di cui al motivo che precede, la sentenza impugnata dovrebbe essere annullata per mancanza di ogni motivazione in ordine all’accertamento dell’effettiva esistenza di un lucro cessante derivante al creditore dall’indisponibilità della somma.

5. Il terzo ed il quarto motivo, da scrutinare insieme attesa l’identità della questione ivi posta, sono entrambi privi di fondamento.

La Corte di merito ha correttamente riconosciuto che l’obbligazione risarcitoria esistente a carico del P. era riconducibile ad un fatto illecito, con conseguente necessità di provvedere alla rivalutazione del credito ed all’attribuzione degli interessi compensativi che vanno a bilanciare il tempo trascorso tra il verificarsi dell’illecito e l’effettivo adempimento.

E’ pacifica acquisizione della giurisprudenza di questa Corte, del resto, il principio per cui il denaro è dotato di una sua normale redditività, nel senso che poterlo avere a disposizione implica, di regola, la produzione di altro denaro. Si è detto a questo proposito, infatti, che il ritardato adempimento dell’obbligo di risarcimento causa al creditore un danno ulteriore, rappresentato dalla perduta possibilità di investire la somma dovutagli e ricavarne un lucro finanziario. Tale danno va liquidato dal giudice in via equitativa, anche facendo ricorso ad un saggio di interessi (cosiddetti interessi compensativi), i quali non costituiscono un frutto civile dell’obbligazione principale, ma una mera componente dell’unico danno da fatto illecito (sentenza 9 ottobre 2012, n. 17155). Ciò che conta, naturalmente, è che tali interessi compensativi dovuti per il danno da ritardo non vengano calcolati dalla data dell’illecito sulla somma liquidata per capitale e rivalutata sino al momento della decisione, ma siano invece computati o con riferimento ai singoli momenti riguardo ai quali la somma equivalente al bene perduto si incrementa nominalmente, per effetto dei prescelti indici medi di rivalutazione monetaria, ovvero anche in base ad un indice medio, e tanto allo scopo di evitare un’ingiusta locupletazione a favore del danneggiato (v., fra le altre, le sentenze 16 novembre 2005, n. 23225, 9 marzo 2010, n. 5671, e 28 aprile 2010, n. 10193).

A tale criterio si è correttamente attenuta la Corte di merito la cui pronuncia, pertanto, va esente dalle prospettate censure.

6. Il ricorso, pertanto, è rigettato.

A tale esito segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in conformità ai soli parametri introdotti dal D.M. 10 marzo 2014, n. 55, sopravvenuto a disciplinare i compensi professionali.

Sussistono inoltre le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 7.500, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile, il 12 febbraio 2016.

Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2016

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