Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12137 del 13/06/2016


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Cassazione civile sez. VI, 13/06/2016, (ud. 24/05/2016, dep. 13/06/2016), n.12137

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARIENZO Rosa – Presidente –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8793-2014 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE,

((OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARLA 29, presso

l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso

unitamente dagli avvocati EMANUELA CAPANNOLO, CLEMENTINA PULLI,

MAURO RICCI, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

P.G.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 779/2013 del TRIBUNALE di BOLOGNA del

26/9/2013, depositata il 26/9/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/5/2016 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA;

udito l’Avvocato EMANUELA CAPANNOLO, difensore del ricorrente, che

si riporta agli scritti.

Fatto

FATTO E DIRITTO

1 – Il Consigliere relatore, designato ai sensi dell’art. 377 c.p.c., ha depositato in cancelleria la seguente relazione ex artt. 380 bis e 375 c.p.c., ritualmente comunicata:

“Con ricorso del 18/2/2012, P.G.M. presentava istanza per accertamento tecnico preventivo, ai sensi dell’art. 445 bis c.p.c., per la verifica della propria condizione inabilitante ai fini del riconoscimento del diritto all’indennità di accompagnamento. Il c.t.u. officiato accertava solo la sussistenza di una invalidità del 100% (non, dunque, una impossibilità di deambulare autonomamente ovvero di attendere agli atti quotidiani della vita). Il ricorrente, manifestato il proprio dissenso, proponeva ricorso in base all’art. 445 bis c.p.c., comma 6.

Costituitosi l’I.N.P.S., all’esito di consulenza legale disposta in corso di causa, il Tribunale di Bologna, con sentenza del 26/9/2013, respingeva il ricorso. Con la stessa sentenza il Giudice poneva a carico dell’I.N.P.S. le spese della c.t.u., liquidate come da separato decreto, compensando le spese del processo.

Con ricorso straordinario ex art. 111 Cost., l’I.N.P.S. impugna la pronuncia suddetta.

P.G.M. è rimasto intimato.

L’I.N.P.S. sostiene innanzitutto la esperibilità del ricorso straordinario essendosi, nella specie, in presenza di un “decreto di omologa” reso ai sensi dell’art. 445 bis c.p.c., introdotto dal D.L. n. 98 del 2011, art. 38, comma 1 convertito in L. n. 111 del 2011, solo per quanto riguarda la condanna alle spese. Rileva che il Giudice del lavoro, definendo il procedimento ed omologando l’accertamento del requisito sanitario in conformità alle risultanze peritali, negative per l’interessato, aveva condannato esso istituto al pagamento delle spese di c.t.u.. La condanna alle spese erroneamente emessa a suo carico sostiene l’I.N.P.S. – viene in considerazione in via autonoma, a prescindere dalla statuizione sulla questione principale, le cui sorti comunque non rilevano. In tal caso non vi sarebbe ragione di negare la impugnabilità della decisione sulle spese, perchè questa incide su un diritto patrimoniale e non è previsto altro mezzo di impugnazione.

Si censura la sentenza per violazione degli artt. 91, 92, 113 e 116 c.p.c. e art. 152 disp. att. c.p.c. e dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 445 bis, commi 5, 6 e 7, c.p.c. e si lamenta che esso Istituto, nonostante fosse stata parte totalmente vittoriosa, sia stato condannato al pagamento delle spese di c.t.u.. Sottolinea l’I.N.P.S. che la parte privata, ove soccombente nelle controversie previdenziali ed assistenziali, può essere esonerata dal pagamento delle spese legali e di consulenza solo ove nel ricorso introduttivo abbia formulato apposita dichiarazione sostitutiva di certificazione di titolarità, nell’anno precedente a quello della pronuncia, di redditi Irpef inferiori ai limiti previsti dalla norma. Nella specie la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà non era stata formulata, come prescritto dalla legge, nelle conclusioni del ricorso introduttivo.

Sulla esperibilità del rimedio proposto, va osservato che avverso il decreto di omologa (che segue automaticamente nel caso in cui non sorgano contestazioni) non vi sono rimedi, giacchè questo è espressamente dichiarato “non impugnabile”, quindi non soggetto ad appello, nè al ricorso straordinario ex art. 111 Cost., giacchè il rimedio concesso a chi intenda contestare le conclusioni del c.t.u.

c’è, ma si colloca esclusivamente in un momento anteriore, ossia prima della omologa e nel termine fissato dal giudice per muovere contestazioni alla consulenza. In assenza di contestazioni si chiude quindi definitivamente la fase dell’accertamento sanitario, giacchè le conclusioni del c.t.u. sono ormai definitive. Il che si spiega considerando che sarebbe evidentemente illogico attribuire qualunque rimedio impugnatorio avverso l’omologa alla parte che, nel momento anteriore ad essa, quando le era concesso di farlo, non ha contestato le conclusioni del c.t.u. su cui la medesima omologa si fonda (cfr.

Cass. 17 marzo 2014, n. 6085). Se invece una delle parti contesta, come nel caso in esame, le conclusioni del c.t.u., si apre un procedimento contenzioso, con onere della parte dissenziente di proporre ricorso al giudice, in un termine perentorio, ricorso in cui, a pena di inammissibilità, deve specificare i motivi della contestazione alle conclusioni del perito. Si apre cosi una nuova fase contenziosa, ancora limitata “solo” alla discussione sulla invalidità, fase peraltro circoscritta agli elementi di contestazione proposti dalla parte dissenziente (ricorrente) (vedi, tuttavia, per la ritenuta possibilità che il giudizio abbia ad oggetto anche la verifica della presentazione della domanda amministrativa e degli altri aspetti presi in esame per la valutazione prima fa& della sussistenza degli altri presupposti della prestazione previdenziale o assistenziale in vista della quale il ricorrente domanda l’accertamento tecnico preventivo, Cass. 27 aprile 2015, n. 8533 e Cass. 4 maggio 2015, n. 8878). In questa fase contenziosa si rimettono quindi in discussione le conclusioni cui il c.t.u.

era pervenuto nella fase anteriore ed il giudice può disporre ulteriori accertamenti, nonchè apprezzare direttamente anche le questioni sanitarie. Tale fase contenziosa (appunto successiva ed eventuale, che si apre solo al cospetto di contestazioni all’ATP) si chiude con una sentenza, la quale non è appellabile.

La non appellabilità è stata sancita dalla L. n. 183 del 2011, art. 27, comma 1, lett. f), che ha aggiunto all’art. 445 bis c.p.c., il comma 7. Ne consegue che non dovrebbero più discutersi in appello questioni concernenti lo stato di invalidità, perchè o, in assenza di contestazioni, vi è stata la omologa, non impugnabile nè’ modificabile, oppure secondo caso – la contestazione vi è stata e si è aperto il procedimento contenzioso terminato con sentenza la quale non è soggetta ad appello.

Il decreto di omologa del requisito sanitario o la sentenza che conclude il giudizio contenzioso conseguente alle contestazioni non incidono sulle situazioni giuridiche soggettive perchè non conferiscono nè negano alcun diritto, dal momento che non statuiscono sulla spettanza della prestazione richiesta e sul conseguente obbligo dell’I.N.P.S. di erogarla (cfr. Cass. 17 marzo 2014, n. 6085).

Con riguardo alla disciplina del procedimento ex art. 445 bis c.p.c., per il conseguimento delle prestazioni assistenziali e previdenziali connesse allo stato di invalidità, è stato ritenuto ammissibile il ricorso straordinario per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., avverso il decreto di omologazione dell’accertamento del requisito sanitario operato dal c.t.u., limitatamente alla statuizione sulle spese, sia legali che di consulenza, trattandosi, solo in parte qua, di provvedimento definitivo, di carattere decisorio, incidente sui diritti patrimoniali delle parti e non altrimenti impugnabile.

Diversamente, con riguardo alla statuizione sulle spese in ipotesi di sentenza non appellabile che chiude il procedimento contenzioso instauratosi a seguito del dissenso della parte ricorrente, deve ritenersi che il rimedio non sia quello di cui all’art. 111 c.p.c., che è ammissibile solo con riguardo a provvedimenti che hanno la forma di sentenza e per i quali è espressamente precluso il ricorso ordinario per cassazione e con riguardo ad ogni altro provvedimento emesso in forma diversa da quella della sentenza, purchè incida su diritti soggettivi ed abbia natura decisoria oltre a non essere altrimenti impugnabile.

Nella specie, essendo prevista espressamente la non appellabilità della sentenza che chiude la fase contenziosa, deve ritenersi esperibile il rimedio ordinario del ricorso per cassazione anche avverso il capo della decisione sulle spese, sicchè deve ritenersi che l’impugnazione vada intesa come ricorso di tale tipo, essendo i motivi denunziabili sovrapponibili (così Cass. 15 giugno 2015, n. 12332; Cass. 2 luglio 2015, n. 13550).

Il Tribunale di Bologna adito ha provveduto, nella sentenza, alla statuizione sulle spese, e cioè sia sulle spese legali sia sulle spese di consulenza, ponendo le seconde a carico dell’I.N.P.S., pur essendo indubbio che l’Istituto fosse totalmente vittorioso, avendo il c.t.u. condiviso il giudizio di insussistenza delle condizioni sanitarie prescritte per il diritto all’indennità di accompagnamento.

Il ricorso dell’I.N.P.S., limitato alla statuizione sulle spese di consulenza emessa nella decisione del Tribunale di Bologna, è ammissibile nei sensi anzidetti, non essendovi ragione di negare la ricorribilità per cassazione della relativa decisione.

La condanna alle spese, infatti, incide sul corrispondente diritto patrimoniale con possibilità di acquisire la forza del giudicato, sicchè, ove sia prevista come nella specie l’inappellabilità della pronuncia, deve riconoscersi l’impugnabilità della stessa mediante ricorso per cassazione.

Il ricorso è quindi ammissibile ed è fondato nei termini in cui risulta prospettato il motivo di impugnazione.

Come già rilevato, infatti, il Giudice adito ha provveduto, nella sentenza che chiude il procedimento contenzioso, alla statuizione sulle spese, e cioè sia sulle spese legali sia sulle spese di consulenza, compensando le prime e ponendo le seconde a carico dell’I.N.P.S., pur essendo indubbio che l’Istituto fosse totalmente vittorioso, non essendo stato riconosciuto a P.G.M. il requisito sanitario da lui invocato.

Vi è, dunque, una evidente e totale soccombenza della parte che ha intrapreso l’accertamento tecnico preventivo di cui all’art. 445 bis c.p.c., onde l’Istituto, totalmente vittorioso, non poteva essere condannato al pagamento delle spese di c.t.u..

In conclusione, si propone l’accoglimento del ricorso e la cassazione della sentenza impugnata nella parte relativa alla condanna dell’I.N.P.S. alle spese di c.t.u.. La causa potrà essere decisa nel merito ex art. 384 c.p.c. e, non avendo l’originario ricorrente assolto l’onere di formulare, nel ricorso introduttivo, la dichiarazione sostitutiva di certificazione della sua situazione reddituale al fine di ottenere l’esenzione dal pagamento delle spese, ivi comprese quelle di consulenza, come richiesto dall’art. 152 disp. att. c.p.c., le suddette spese di c.t.u. andranno poste a suo carico;

il tutto con ordinanza, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 5″.

2 – Non sono state depositate memorie ex art. 380 bis c.p.c., comma 2.

3 – Questa Corte ritiene che le osservazioni in fatto e le considerazioni e conclusioni in diritto svolte dal relatore siano del tutto condivisibili, siccome coerenti alla giurisprudenza di legittimità in materia e che ricorra con ogni evidenza il presupposto dell’art. 375 c.p.c., n. 5, per la definizione camerale del processo.

4 – In conclusione il ricorso va accolto e va cassata la sentenza impugnata nella parte relativa alla condanna dell’I.N.P.S. alle spese di c.t.u.; non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, ex art. 384 c.p.c., ponendo tali spese, come liquidate dal Tribunale, a carico dell’originario ricorrente.

5 – Il comportamento processuale dell’intimato, che nulla ha opposto ai rilievi dell’I.N.P.S. e non ha in alcun modo dato causa all’errore di diritto contenuto nel provvedimento impugnato, ed il solo recente formarsi dell’orientamento di legittimità sul procedimento ex art. 445 bis c.p.c., consentono di compensare tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata nella parte relativa alla condanna dell’I.N.P.S. alle spese di c.t.u. e, decidendo nel merito, pone tali spese, come liquidate dal Tribunale, a carico dell’originario ricorrente; compensa tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 24 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 13 giugno 2016

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