Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12133 del 03/06/2011

Cassazione civile sez. lav., 03/06/2011, (ud. 15/03/2011, dep. 03/06/2011), n.12133

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FOGLIA Raffaele – Presidente –

Dott. STILE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 19119-2007 proposto da:

V.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA RENATO

FUCINI 24, presso lo studio dell’avvocato SPILLITANI GIUSEPPINA,

rappresentata e difesa dagli avvocati CASSARINO GIUSEPPE, MIGNECO

RAFFAELE, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

P.K., domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato FIRRINCIELI MAURIZIO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 382/2006 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 29/06/2006 R.G.N. 378/03;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/03/2011 dal Consigliere Dott. PAOLO STILE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato in data 4.11.99 P.K. adiva il Tribunale di Siracusa in funzione di giudice del lavoro ed esponeva di aver lavorato alle dipendenze di V.C., come commessa, dal gennaio 1992 al 31.12.1997, tutti i giorni dalle ore 9,00 alle ore 13,00 e dalle ore 16,00 alle ore 20,30 compreso il sabato.

Deduceva di aver percepito una retribuzione insufficiente rispetto al CCNL del settore e, in particolare, la somma di L. 300.000 dal gennaio 1992 al dicembre 1993, quella di L. 400.000 dal gennaio 1994 all’agosto 1995, quella di L. 500.000 dal settembre 1995 all’agosto 1997, e ancora quella di L. 500.00 per poi finire con quella di L. 700.000 e, comunque, di non aver avuto il TFR al momento della cessazione del rapporto.

Tanto premesso, chiedeva condannarsi la datrice di lavoro al pagamento della somma di L. 80.500.000, oltre agli interessi e alla rivalutazione monetaria. Costituitasi, la V. contestava in fatto e in diritto la domanda, chiedendone il rigetto, deducendo che la ricorrente era stata assunta solo in data 4.4.1992, come apprendista commessa e, soltanto dall’1.4.1994, come commessa, al 4^ livello del CCNL del settore commercio, ed, inoltre, che il rapporto era cessato in data 31.5.1995 e non in data 31.12.1997.

All’esito della espletata prova testimoniale, il Tribunale, con sentenza del 27.11.2002, accoglieva la domanda, condannando la V. al pagamento della somma di Euro 47.478,51, oltre agli accessori e alle spese processuali. Avverso questa decisione proponeva appello la soccombente, articolando una serie di doglianze e chiedendo la riforma della impugnata decisione. Instauratosi il contraddittorio nei confronti della P., che si costituiva chiedendo la conferma della impugnata decisione, l’adita Corte d’appello di Catania, con sentenza del 4 maggio-29 giugno 2006, rigettava il gravame.

A fondamento della decisione osservava che dalla espletata istruttoria era emerso che la P., pur essendo stata assunta con la qualifica di apprendista commessa, aveva svolto, nel periodo dalla stessa specificato, sin dal momento dell’assunzione, attività di commessa, analoga a quella svolta da altre dipendenti quali lavoratrici qualificate; sicchè alla stessa spettavano gli importi richiesti alla stregua del CCNL Commercio, così come sostenuto dalla difesa della V., già nelle memoria di primo grado, senza fare alcun riferimento ad altro tipo di CCNL (piccolo commercio) indicato in grado di appello; tanto più che i conteggi, svolti dal nominato CTU, erano stati solo genericamente contestati. Per la cassazione di tale pronuncia ricorre V.C. con tre motivi. Resiste la P. con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso la V. denuncia la violazione dell’art. 116 c.p.c., comma 1, sulla valutazione con prudente apprezzamento delle prove, e dell’art. 2967 c.c. nonchè vizio di motivazione, sostenendo che il Giudice d’appello avrebbe ritenuto l’attendibilità dei testimoni senza adeguatamente valutare, sulla base del tenore letterale delle medesime deposizioni, le circostanze di fatto oggetto della prova ed, in particolare, la localizzazione temporale e la frequenza delle visite effettuate dalle testi nell’esercizio commerciale di cui era titolare.

Con il secondo e terzo motivo si deduce la violazione degli artt. 416 e 437 c.p.c., oltre che vizio di motivazione, per avere il Giudice d’appello ritenuto che la difesa della V., avendo dedotto nella memoria di primo grado di avere applicato il CCNL del settore commercio senza alcun riferimento ad altro tipo di CCNL (piccolo commercio), non poteva effettuare alcuna contestazione sul punto in secondo grado anche in relazione ai conteggi svolti dal CTU. Peraltro – aggiunge la ricorrente – la contestazione, oltre che essere espressione di una mera difesa consentita anche in sede di appello, era stata effettuata sia nel verbale di udienza del giudizio di primo grado del 17/07/2002 sia nelle note difensive autorizzate, ove venivano contestate, in maniera tutt’altro che generica, gli importi delle retribuzioni esposti nella C.T.U., producendosi anche la copia del CCNL commercio per le aziende – come nella specie – con meno di otto dipendenti, contenente la previsione di un trattamento economico inferiore rispetto a quello in vigore per la grande distribuzione.

Il ricorso, pur valutato nelle sue diverse articolazioni, non può trovare accoglimento.

Invero, il Giudice a quo ha osservato che, nel caso in esame, correttamente il Giudice di primo grado aveva ritenuto di disattendere la qualificazione indicata dalla resistente e reiterata anche in sede d’appello, considerando sfornita di prova la esistenza dell’affermato apprendistato.

Infatti, dalle acquisizioni istruttorie e, in particolare, dall’esito della prova testimoniale erano emersi elementi atti a suffragare l’avvenuto costante svolgimento da parte della P. di mansioni di commessa, analoghe a quelle svolte dalle altre dipendenti quali lavoratrici qualificate, e che le mansioni svolte dalla P. durante il corso del rapporto erano state svolte in modo pieno e completo senza mai mutare qualitativamente nel corso del rapporto di contro era rimasta sfornita di prova – il cui onere gravava sul datore che asseriva l’esistenza dell’apprendistato – la circostanza (avente rilievo di elemento essenziale del rapporto) che il datore avesse impartito un insegnamento pratico alla P. e che le sue prestazioni lavorative fossero state (rispetto a quelle del prestatore d’opera qualificato) di minore livello, sia quantitativo che qualitativo oltre che di minore utilità per l’attività produttiva dell’azienda, tali perciò da essere compensate con una retribuzione ridotta. (così Cass. 18 febbraio 1987 n. 1782).

Ugualmente non poteva essere condivisa la censura dell’appellante con riferimento alla durata del rapporto di lavoro che si sarebbe dovuta riscontrare esclusivamente dai libri (paga e matricola) in possesso del datore, non essendovi alcun motivo per dubitare dell’attendibilità della deposizione testimoniale resa dalla teste R., secondo cui invece la P. aveva lavorato presso la V. anche dopo il formale licenziamento.

Nè appariva fondata – sempre secondo il Giudice d’appello – la doglianza della V. secondo cui il Giudice di primo grado avrebbe ritenuto immune da contestazione il quantum calcolato dal nominato CTU, laddove, invece, sarebbe stato censurato già con le note del 17.7.2002 il CCNL applicato, in quanto riferito alla grande distribuzione e non invece al piccolo commercio; ciò perchè – precisa ancora la Corte territoriale – la difesa della V. già nella memoria di primo grado aveva dedotto di aver applicato il CCNL del settore Commercio senza alcun riferimento ad altro tipo di CCNL (piccolo commercio) indicato in secondo grado. A tanto era da aggiungere che i conteggi svolti dal CTU di primo grado erano stati soltanto labilmente e genericamente contestati anche dinnanzi al Tribunale e che, comunque, non era mai stata dedotta la esistenza dei presupposti per l’applicabilità dell’invocato CCNL settore commercio per imprese aventi otto dipendenti.

L’esposizione, ancorchè sintetica, dell’iter argomentativo svolto dalla Corte distrettuale, è già di per sè sufficiente ad evidenziare la infondatezza del ricorso in esame.

E’ opportuno, tuttavia, rimarcare, costituendo specifico motivo di gravame, unitamente a quello ricondotto al vizio di violazione di legge, che la denuncia di un vizio di motivazione, nella sentenza impugnata con ricorso per cassazione (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5) – come questa Corte ha avuto più volte modo di affermare (cfr., in particolare, tra le tante, Cass. sez. un. 27 dicembre 1997 n. 13045) – non può consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello auspicato dalle parti, perchè spetta solo al giudice del merito di individuare le fonti del proprio convincimento ed all’uopo valutarne le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute più idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvi i casi tassativamente previsti dall’ordinamento. Ne consegue che il giudice di merito è libero di formarsi il proprio convincimento utilizzando gli elementi probatori che ritiene rilevanti per la decisione, senza necessità di prendere in considerazione tutte le risultanze processuali e di confutare ogni argomentazione prospettata dalle parti, essendo sufficiente che indichi gli elementi sui quali fonda il suo convincimento, dovendosi ritenere per implicito disattesi tutti gli altri rilievi e circostanze che, sebbene specificamente non menzionati, siano incompatibili con la decisione adottata.

In questa prospettiva, pertanto, il controllo del giudice di legittimità sulla motivazione del giudice del merito non deve tradursi in un riesame del fatto o in una ripetizione del giudizio di fatto, non tendendo il giudizio di cassazione a stabilire se gli elementi di prova confermino, in modo sufficiente, l’esistenza dei fatti posti a fondamento della decisione.

Il controllo, dunque, non ha per oggetto le prove, ma solo il ragionamento giustificativo. Esso ripercorre l’argomentazione svolta nella motivazione dal giudice del merito a sostegno della decisione assunta e ne valuta la correttezza e la sufficienza.

Nella specie, non solo non vi sono argomenti per mettere in discussione il ragionamento svolto dal Giudice di merito, ma la ricorrente nel contestare l’interpretazione delle deposizioni testimoniali ha anche omesso di riprodurre le relative dichiarazioni nonchè i capitoli di prova di cui si è chiesta l’ammissione, in violazione del principio di autosufficienza (ex plurimis, Cass. 13 gennaio 1997 n. 265; v. anche Cass. 12 settembre 2000 n. 12025; Cass. 11 gennaio 2002 n. 317). Quanto all’applicazione del contratto collettivo applicabile (Commercio o piccolo Commercio) ed alla conseguente contestazione dei conteggi operati dal CTU il Giudice a quo ha tenuto a precisare – ed a prescindere dalla labile e generica contestazione – che non era mai stata dedotta l’esistenza dei presupposti per l’applicabilità del CCNL settore commercio per imprese aventi otto dipendenti. Trattasi di accertamento di fatto non suscettibile di contestazione in questa sede. Per quanto precede il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese di questo giudizio, liquidate in Euro 19,00 oltre Euro 3.000,00 per onorari ed oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 15 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2011

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