Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1213 del 22/01/2010

Cassazione civile sez. II, 22/01/2010, (ud. 10/12/2009, dep. 22/01/2010), n.1213

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. ODDO Massimo – Consigliere –

Dott. PICCIALLI Luigi – rel. Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 28281/2004 proposto da:

F.V. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA GUIDO RENI 2, presso lo studio dell’avvocato VIANELLO VALERIO,

rappresentato e difeso dall’avvocato ANANIA Giovanni;

– ricorrente –

contro

S.P., F.R., F.G., F.

M.;

– intimati –

sul ricorso 2949/2005 proposto da:

S.P. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA PIAVE 52, presso lo studio dell’avvocato CARCIONE RENATO,

rappresentata e difesa dall’avvocato FRICANO MASSIMO;

– controricorrente ric. incidentale –

contro

F.V., F.R., F.G., F.

M.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 112/2004 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 09/02/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

10/12/2009 dal Consigliere Dott. LUIGI PICCIALLI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CICCOLO Pasquale Paolo Maria, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso principale, assorbimento del ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 26.11.99 il Tribunale di Palermo, pronunziando nella controversia vertente tra S.P., vedova di F. V. deceduto il (OMISSIS) con testamento, la quale con atto del 17/.24.4.92 aveva convenuto i propri figli R., G., M. e F.V., deducendo la lesione della propria quota di legittima, chiedendo le conseguenti riduzioni delle disposizioni testamentarie e lo scioglimento della comunione ereditaria, oltre al riconoscimento del proprio diritto di abitazione sulla casa coniugale assegnata in nuda proprietà al figlio V., nonchè sulla domanda riconvenzionale di quest’ultimo, di rilascio di tale immobile con risarcimento dei danni, disattesa la preliminare eccezione d’inammissibilità (sollevata sull’assunto che l’attrice avrebbe dato esecuzione alle disposizioni testamentarie) della domanda principale, ritenuto che la S. aveva esercitato la c.d.

“cautela sociniana” ex art. 550 c.c., dichiarava il diritto della medesima a conseguire un quarto del patrimonio ereditario, ne rigettava la richiesta relativa al diritto di abitazione (per la ritenuta incompatibilità dello stesso con l’usufrutto, già gravante sull’immobile, in favore della terza F.M., poi deceduta), condannandola al rilascio dell’immobile ed al pagamento della somma di 88.500.000, oltre interessi, a titolo d’indennità di occupazione, rigettava infine (per carenza della documentazione urbanistica) la domanda di scioglimento della comunione ereditaria.

Contro tale sentenza F.V. propose appello, al quale resistette S.P., mentre gli altri eredi, che in primo grado si erano associati alle richieste materne, non si costituivano. Con sentenza del 21.11.03, pubblicata il 9.2.04, la Corte di Palermo dichiarata la contumacia dei non costituiti appellati, dichiarava inammissibile, con il carico delle spese, l’appello di F.V., recependo l’eccezione della S., secondo la quale la ricevuta copia dell’atto di citazione, introduttivo del gravame, mancava di alcune pagine, si da comportare la non completa conoscibilità da parte della destinataria delle ragioni dell’impugnazione e la totale assenza delle richieste conclusive, con conseguente indeterminatezza del petitum.

Contro tale sentenza F.V. ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo di censura.

Ha resistito la S. con controricorso, contenente ricorso incidentale.

Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va preliminarmente disposta la riunione dei ricorsi ai sensi dell’art. 335 c.p.c.. Il ricorrente principale deduce, nell’unico motivo d’impugnazione, “violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, falsa applicazione di una norma di diritto, in relazione all’art. 342 c.p.c., comma 1″, censurando la dichiarazione d’inammissibilità del proprio appello, sotto due essenziali profili:

a) perchè, quand’anche la copia notificata dell’atto di appello fosse stata incompleta, come assunto dalla controparte e ritenuto dalla corte di merito, quest’ultima e l’appellato avrebbero comunque potuto chiaramente desumere dal contenuto delle pagine presenti il tenore delle censure svolte contro la decisione di primo grado e, conseguentemente, quello delle richieste rivolte ai giudici di secondo, attinenti all’esclusione della tacita accettazione dell’eredità da parte della S., che avrebbe compiuto atti di disposizione dei cespiti provenienti dall’eredità del defunto marito, con conseguente inammissibilità della sua successiva domanda; da tali deduzioni e richieste dell’appellante la convenuta si era specificamente difesa, puntualmente controdeducendo alle stesse nella comparsa di costituzione risposta e formulando addirittura un appello incidentale; sicchè la corte sarebbe venuta meno all’obbligo di pronunziarsi sul gravame, comprensibile nel suo complesso e pertanto valido;

b) perchè l’attestazione di conformità ex art. 137 c.p.c., della suddetta copia all’originale, contenuta nella relazione di notificazione, effettuata senza vizi suoi propri, da parte dell’ufficiale giudiziario, avrebbe potuto essere contestata solo con querela di falso, che nella specie non era stata proposta.

Il secondo profilo di censura, ancor prima che infondato (alla luce della più recente ed ormai costante giurisprudenza di questa Corte, che in caso di discordanza, attribuisce rilevanza alla copia notificata dell’atto di citazione rispetto all’originale, in modo che l’interessato possa far valere eventuali nullità, senza dover proporre querela di falso avverso la relazione di notifica: v., tra le altre, Cass. 7037/99, 21555/06, 14686/07, 3205/08), è inammissibile, deducendo una circostanza di fatto nuova, l’integrale conformità della copia dell’atto di appello consegnata alla S. rispetto all’originale, non opposta nel giudizio di appello, nel corso del quale la parte appellante non aveva contestato la difformità ex adverso eccepita, ma solo la rilevanza della stessa ai fini della valida instaurazione del giudizio di appello e della concreta possibilità dell’appellata di contraddire al gravame.

Fondato è invece il primo profilo di censura, rilevandosi dall’esame degli atti (consentito in questa sede dalla natura processuale della doglianza), che la suddetta difformità, contrariamente a quanto ritenuto dalla corte di merito, non ha comportato l’incomprensibilità dell’atto di gravame, in guisa tale da compromettere le garanzie di difesa e contraddittorio.

Ha in proposito affermato la giurisprudenza di questa Corte che, in siffatti casi di discordanza, la nullità della citazione ai sensi degli artt. 163 e 164 c.p.c., può configurarsi solo quando l’atto consegnato al convenuto non consenta, per la sua incompletezza, la cognizione degli elementi essenziali della editio actionis e della vocatio in ius (v. la già citata Cass. 7037/99), mentre nei diversi casi in cui l’atto, pur mancando di una o più pagine, consenta la comprensione dei suddetti elementi, ovvero, in caso di gravame, le ragioni dell’impugnazione (con riferimento al ricorso per cassazione v. S.U. n. 6136/95), tale nullità non si verifica, non risultando compromesse le esigenze del contraddittorio e della difesa della controparte, lesione che può senz’altro escludersi nei casi in cui quest’ultima abbia in concreto puntualmente controdedotto, nella propria comparsa di costituzione e risposta, alle avverse richieste contenute nell’originale dell’atto, ivi comprese quelle che sarebbero dovuto essere riprodotte nelle pagine mancanti (v. Cass. n. 4334/98, con riferimento a giudizio di appello).

Nel caso di specie, pur rilevandosi, dal raffronto tra l’originale dell’atto di appello (composto da dieci pagine) e la copia dello stesso consegnata all’appellata in sede di notificarne quest’ultima mancava di due pagine (ottava e decima), risulta tuttavia agevole, dalla lettura delle pagine presenti in quell’atto, comprendere come l’appellante si fosse essenzialmente doluto della reiezione della propria eccezione d’inammissibilità, opposta alla domanda dell’attrice, sul rilievo che la medesima avrebbe compiuto atti di disposizione dei beni ricevuti per testamento, tali da comportare la tacita accettazione e pertanto precluderle di avvalersi della facoltà di cui all’art. 550 c.c., che il primo giudice le aveva invece riconosciuto.

Essendo la massima parte delle censure, proposte contro la sentenza di primo grado, svolte nelle pagine antecedenti l’ottava e potendosi il petitum inequivocamente desumere dal tenore della disattesa eccezione, menzionata nella narrativa del processo, vale a dire nella richiestala proposta in primo e rinnovata ai giudici di secondo grado, di dichiarare inammissibile l'”impugnazione del testamento” proposta dalla S., concretamente irrilevante deve ritenersi la mancanza nella suddetta copia della pagina finale dell’atto di gravame, contenente tali conclusioni , nelle quali veniva ribadita la suddetta richiesta.

E di tale irrilevanza, agli effetti delle esigenze di contraddittorio e difesa, si trae conferma dalla lettura della comparsa di costituzione e risposta, con la quale la difesa della S., pur premettendo di non aver compreso il tenore dell’avverso gravame, tuttavia in concreto controdedusse puntualmente allo stesso, contrastando la richiesta di riforma della decisione di primo grado, in punto di reiezione di quella pregiudiziale eccezione.

L’accoglimento, per le suesposte ragioni, del ricorso principale comporta l’assorbimento di quello incidentale, con il quale si lamenta l’omesso esame di alcune richieste contenute nell’appello incidentale tardivo, considerato che la rimozione dell’erronea pronunzia d’inammissibilità dell’appello principale (in considerazione della quale la corte territoriale si è ritenuta dispensata dall’esame di quello incidentale, per inefficacia ex art. 334 c.p.c., comma 2) determina la necessità di rinnovo integrale del giudizio di secondo grado.

La sentenza impugnata va conclusivamente cassata, con rinvio ad altra sezione della corte di provenienza, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie quello principale, dichiara assorbito l’incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte d’Appello di Palermo.

Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2010

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