Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1213 del 21/01/2021

Cassazione civile sez. trib., 21/01/2021, (ud. 22/10/2020, dep. 21/01/2021), n.1213

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 6202/2014 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n.

12, presso l’Avvocatura generale dello Stato, che la rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

D.C., rappresentata e difesa dall’Avv. Moscarino Pierluigi,

con domicilio eletto in Roma, via A. Bertoloni, n. 30, presso lo

studio dell’Avv. Mirabelli Luca;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio,

Sezione staccata di Latina, n. 577/40/13 depositata il 18 luglio

2013.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22 ottobre

2020 dal Consigliere Nicastro Giuseppe.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

l’Agenzia delle entrate notificò a D.C. un avviso di accertamento con il quale determinò sinteticamente, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, commi 4, 5 e 6, (cosiddetto redditometro), un reddito complessivo, per il periodo d’imposta 2006, di Euro 76.271,00, in relazione al contenuto induttivo del sostenimento, da parte della contribuente, nel periodo 2007-2008, di spese per incrementi patrimoniali per Euro 381.356,00 (corrispondenti al quintuplo del reddito accertato);

l’avviso di accertamento fu impugnato davanti alla Commissione tributaria provinciale di Latina, che accolse il ricorso della contribuente;

avverso tale pronuncia, l’Agenzia delle entrate propose appello alla Commissione tributaria regionale del Lazio, Sezione staccata di Latina (hinc anche: “CTR”), che: a) in accoglimento dell’eccezione dell’appellata, dichiarò che “l’appello (…) va ritenuto inammissibile” per l’inesistenza della notificazione del relativo ricorso in quanto effettuata da un messo autorizzato dall’amministrazione finanziaria “che non poteva svolgere tale attività”; b) affermò, inoltre, l’infondatezza “nel merito” dell’appello, con la motivazione che “la Sig.ra Destro ha documentato: – che la figlia M.M.A., con atto Notaio C. del 26.07.2006, ha ottenuto un mutuo per l’importo di Euro 150.000,00 dalla Banca Carige SpA e che tale mutuo è stato messo a disposizione della madre; – che le Sig.re D.C., D.T. e De.Co. accettano a titolo di transazione a saldo di quanto dovuto la somma di Euro 240.000,00 e che detta somma per accordo tra le sorelle è rimasta nella disponibilità della Sig.ra D.C., così come documentato con dichiarazione rilasciata in data 13 ottobre 2010. In definitiva la ricorrente ha avuto la disponibilità finanziaria ed economica di ben Euro 390.000,00, somma sufficiente a coprire il totale della spesa indicata nell’avviso di accertamento di Euro 381.356,00”;

avverso tale sentenza della CTR – depositata in segreteria il 18 luglio 2013 – ricorre per cassazione l’Agenzia delle entrate, che affida il proprio ricorso, notificato il 3/7 marzo 2014, a tre motivi;

D.C. resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), la nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 53, 20 e 16, per avere la CTR negato la legittimazione dei messi autorizzati dall’amministrazione finanziaria a notificare il ricorso in appello;

con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, in quanto, premesso che, con riguardo alla transazione di cui alla sentenza impugnata, “l’Ufficio reputava che tale circostanza assicurasse in capo alla sig.ra D.C. la somma di Euro 80.000,00 (un terzo della somma), comprovata da assegni circolari emessi a suo favore che, in quanto emessi nell’anno 2007, valevano a giustificare la capacità di spesa solo per tale anno” e che, “ai fini dell’assolvimento dell’onere di prova contraria, (…) non è (…) sufficiente la sola dimostrazione della disponibilità dei redditi, ma occorre che il contribuente provi l’esistenza della causalità tra il possesso del reddito (esente o soggetto a imposizione alla fonte) ed il sostenimento della spesa”, “(n)e deriva che (…) la sig.ra Destro non ha assolto all’onere probatorio su di essa gravante, in quanto, contrariamente a quanto assunto a base della sentenza impugnata, (…) non ha fornito la prova della sua capacità di spesa”;

con il terzo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l'”insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio” atteso che la CTR “non ha espresso i motivi del proprio convincimento, in quanto in modo apodittico ha affermato che le spese (…) sono state documentate dalla contribuente, ma non ha indicato la documentazione esaminata su cui si fonda tale assunto”, considerato che, con riguardo alla transazione, “l’Ufficio reputava che tale circostanza assicurasse in capo alla sig.ra D.C. la somma di Euro 80.000,00 (un terzo della somma), comprovata da assegni circolari emessi a suo favore che, in quanto emessi nell’anno 2007, valevano a giustificare la capacità di spesa solo per tale anno” e che, con riguardo al mutuo, “l’Ufficio rappresentava che il contratto di mutuo della figlia della contribuente, M.M.A., non costituiva prova, in quanto oltre a mancare il nesso eziologico tra il finanziamento concesso alla figlia ed il soddisfacimento degli impegni della madre, non veniva prodotta alcuna documentazione bancaria che tracciasse il flusso di denaro intervenuto tra le parti”, “censure, (delle quali) la CTR non ha tenuto conto, omettendo di valutare criticamente tutti i motivi di impugnazione”, con la conseguenza che, “(s)otto tale profilo, (…) la sentenza impugnata è insufficientemente motivata”; il primo motivo – rispetto al quale non ha fondamento, in quanto del tutto inconferente, l’eccezione di inammissibilità “del ricorso” sollevata dalla controricorrente sull’assunto che “esso reca in realtà l’inaccettabile pretesa di introdurre in sede di legittimità un’inammissibile questione di fatto circa la sussistenza o meno nel caso di specie di fatti e circostanze idonee a provare l’effettiva capacità contributiva della ricorrente” – è fondato;

costituisce infatti ius receptum – rispetto al quale la controricorrente non ha fornito argomenti che possano indurre a mutare il consolidato orientamento di questa Corte – il principio secondo cui, “(i)n tema di contenzioso tributario, il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 16 ha natura di norma generale e regola le modalità delle notificazioni degli atti del processo tributario, dettando una disciplina speciale sia per il contribuente sia per gli organi dell’Amministrazione tributaria; il comma 4 della cit. disposizione ha per oggetto solo atti dell’Amministrazione tributaria, prevedendo un’ulteriore modalità di notificazione a disposizione degli uffici pubblici, che consiste nella possibilità di avvalersi di messi comunali o di messi autorizzati. Tale regola, per ragioni, non tanto letterali, quanto logiche e sistematiche, si applica anche alla notificazione del ricorso in appello” (Cass., 11/11/2011, n. 23618, Rv. 620209-01, 30/12/2015, n. 26053, Rv. 638459-01, 11/04/2018, n. 8898; nello stesso senso, Cass., 10/07/2009, n. 16267);

la sentenza impugnata, negando la legittimazione dei messi autorizzati dall’amministrazione finanziaria a notificare il ricorso in appello e, conseguentemente, affermando l’inesistenza della notificazione del ricorso in appello in quanto effettuata da un messo autorizzato e dichiarando l’inammissibilità dello stesso ricorso, si pone in aperto contrasto con tale principio;

il secondo e il terzo motivo motivo sono inammissibili alla stregua del principio – anch’esso consolidato – secondo cui, “(q)ualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità (o declinatoria di giurisdizione o di competenza), con la quale si è spogliato della “potestas iudicandi” in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l’onere nè l’interesse ad impugnare; conseguentemente è ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta “ad abundantiam” nella sentenza gravata” (Cass., Sez. U., 20/02/2007, n. 3840, Rv. 595555-01; Cass., 20/08/2015, n. 17004, Rv.636624-01,19/12/2917,n. 30393, Rv. 646988-01,23/05/2019, n. 13977,17/06/2020, n. 11675, Rv. 657952-01);

pertanto, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al primo motivo, dichiarati inammissibili il secondo e il terzo, e la causa deve essere rinviata alla Commissione tributaria regionale del Lazio, Sezione staccata di Latina, in diversa composizione, affinchè riesamini la vicenda processuale e provveda altresì a regolare le spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

accoglie il primo motivo; dichiara inammissibili il secondo e il terzo motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio, Sezione staccata di Latina, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2021

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