Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12110 del 22/06/2020

Cassazione civile sez. III, 22/06/2020, (ud. 02/12/2019, dep. 22/06/2020), n.12110

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22643/2018 proposto da:

BANCA GENERALI SPA, in persona dei procuratori speciali,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BOCCA DI LEONE 78, presso lo

studio dell’avvocato GIOVANNI GIGLIOTTI, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato ENRICO MARIA PIETRO DEL GUERRA;

– ricorrente –

contro

G.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CRESCENZIO

20, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO STORACE, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato PIERTACITO RUGGERINI;

– controricorrente –

e contro

F.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 48/2018 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 15/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/12/2019 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato GIOVANNI GIGLIOTTI;

udito l’Avvocato PIERTACITO RUGGERINI.

Fatto

SVOLGIMENTO IN FATTO

1. Con ricorso notificato il 17 luglio 2018 Banca Generali S.p.A. ricorre avverso la sentenza numero 48/2018 della Corte d’appello di Brescia, pubblicata il 15 gennaio 2018, con la quale è stato respinto l’appello della banca qui ricorrente avverso l’ordinanza, emessa ex art. 702 bis c.p.c., mediante la quale il Tribunale di Mantova l’aveva condannata al risarcimento del danno, pari a Euro 112.830.37, in solido con il funzionario e promotore della banca, F.A., in favore di G.S., per il mancato investimento in titoli di Stato della somma di circa Euro 112.000,00, consegnata in contanti da quest’ultimo, a più riprese tra il gennaio 2010 e marzo 2010, al funzionario della banca F.S., promotore finanziario che – in tesi – l’aveva trattenuta per sè senza investirla nell’interesse del cliente della banca, dopo aver rilasciato distinte di versamento-assegni non corrispondenti all’operazione richiesta.

2. Per quanto qui di interesse, la Corte d’appello di Brescia confermava la sentenza di primo grado e rigettava il secondo motivo di gravame, sull’assunto che l’attore avesse adeguatamente dimostrato la consegna al funzionario della banca della somma, in contanti, dimostrata da “distinte di versamento-assegni”, sottoscritte dal promotore finanziario, ma prive di alcuna indicazione degli assegni di riferimento, ritenendo pacifico che le distinte di versamento-assegni vengano utilizzate per gli investimenti finanziari; riteneva, inoltre, che la mancata comparizione all’interpello del promotore rimasto contumace facesse ritenere ammessa la consegna dei suddetti documenti muniti dell’intestazione della banca a fronte della ricezione della somma in contanti; riteneva, inoltre, non applicabile il limite di cui all’art. 1309 c.c., posto che non si è in presenza di un riconoscimento di debito, bensì del riconoscimento di un fatto, vale a dire della ricezione di somme da parte del funzionario della banca, rimanendo impregiudicata ogni conseguenza giuridica ad esso ricollegabile; del pari assumeva che non avesse nessuna rilevanza il riferimento all’art. 1309 c.c., avente carattere generale, posto che al caso di specie deve applicarsi la norma di cui all’art. 31 TUF che sancisce la responsabilità solidale dell’intermediario per i danni arrecati a terzi dal promotore finanziario, prescindendo da ogni valutazione di culpa in vigilando o in eligendo; assumeva, inoltre, che era indubbio che lo stesso promotore aveva consegnato le attestazioni delle ricevute di pagamento su carta intestata della banca, qualificandosi promotore della stessa e avesse agito nell’ambito delle incombenze affidate dalla banca. Quanto al terzo motivo di gravame, la Corte d’appello, sotto il profilo dell’art. 1227 c.c., riteneva che il mancato utilizzo di regolari mezzi di pagamento non potesse configurare un concorso colposo del cliente, essendo il funzionario il destinatario della normativa di riferimento; assumeva che la banca non potesse avvalersi, per attenuare il grado di responsabilità, dell’inesperienza o della disattenzione del cliente.

3. Il ricorso è affidato a sei motivi. La parte intimata G.S. ha notificato separato controricorso nei termini indicati in epigrafe. Il P.M. ha concluso come in atti.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Con il primo motivo viene dedotta violazione degli artt. 31,3 TUF, artt. 2043,2049 e 2697 c.c., ex art. 360 c.p.c., n. 3, là dove la Corte d’appello non avrebbe considerato che l’attore non ha anzitutto assolto all’onere della prova dell’effettivo danno subito, onere collegato alla prova dell’effettivo versamento delle somme, considerato che detto versamento sarebbe avvenuto in contanti e con modalità non opponibili alla Banca; pertanto, si contesta la decisione ove ha ritenuto che vi sarebbe prova del nesso di causalità necessario o della destinazione delle somme in investimenti. Il resistente deduce che la consegna in contanti è attestata da quietanze su carta intestata della banca.

2) Con il secondo motivo si deduce violazione degli artt. 115, 116, ex art. 360, n. 5; violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, art. 4 Cost., in relazione all’art. 31, comma 3 TUF, artt. 2043,2049,2697 c.c., violazione dell’art. 31, comma 3, TUF, artt. 2043,2049 e 2697 c.c., ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sub specie di omesso esame di un fatto decisivo e di nullità della sentenza per incomprensibilità e contraddittorietà della motivazione. Si impugna segnatamente l’affermazione secondo cui la somma in contestazione sarebbe stata consegnata al promotore per essere investite in strumenti finanziari, sull’assunto che sia pacifico che le distinte di versamento – assegni vengono utilizzate per investimenti finanziari; si deduce altresì la contraddittorietà della motivazione laddove si richiama che delle somme in contestazione non vi sarebbe traccia sul conto corrente; in sostanza, si denuncia che la documentazione prodotta non dimostrerebbe affatto la destinazione delle somme in investimenti finanziari.

3) Con il terzo motivo si deduce violazione dell’art. 31, comma 3 TUF, artt. 2043,2049,2697,2702,2733,1300,1310,1199 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4: si impugna segnatamente la sentenza nella parte in cui ha ritenuto opponibili alla banca le quietanze ravvisabili nelle distinte di versamento, quali confessioni stragiudiziali, e la mancata comparizione all’interrogatorio formale del promotore rimasto contumace, in spregio ai principi in merito alle obbligazioni solidali passive.

4) Con il quarto motivo si deduce la violazione degli artt. 31 e 3 TUF, artt. 2043,2049,2697 c.c. e D.Lgs. n. 231 del 2007, artt. 49 e 58, ex art. 360, n. 3 ecc.: si insiste sulla erroneità della svalutazione del fatto che le somme in contestazione sarebbero state versate in contanti, in spregio a qualsiasi normativa antiriciclaggio; si insiste sulla necessità di provare la preesistenza delle somme

5) Con il quinto motivo si deduce violazione degli artt. 31 e 3 TUF, artt. 2043,2049,2697 c.c., ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione alla mancata valorizzazione di elementi presuntivi atti a evidenziare l’esistenza di un rapporto diretto tra investitore e promotore, estraneo alle funzioni a lui affidate dalla Banca; si richiama il fatto che l’investitore, pur avendo ricevuto la documentazione informativa dalla quale non risultavano i pretesi investimenti, non si sia allertato e abbia reagito dopo due anni;

6) Con il sesto motivo si deduce la violazione degli artt. 31 e 3 TUF, art. 112 c.p.c. e art. 1227 c.c., ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4: ci si duole del mancato riconoscimento di un concorso colposo dell’investitore e si denunzia mancanza assoluta di motivazione sul punto.

7) I motivi vanno analizzati congiuntamente, in quanto intimamente collegati e comunque inerenti all’applicazione della disciplina di settore posta a tutela dell’investitore (art. 31 TUF). Essi risultano fondati per quanto di seguito esposto.

8) La scelta, espressa in linea generale nell’art. 2049 c.c., poi meglio trasfusa nell’art. 31 TUF con riguardo all’attività propria dell’intermediario finanziario, è nel senso di porre a carico del preponente, come componente dei costi e dei rischi dell’attività che svolge, i danni cagionati da coloro della cui prestazione si avvale per il perseguimento della sua finalità economica. In tale materia soccorre l’esigenza di tutela dell’affidamento dei terzi qualora vi siano elementi obiettivi atti a giustificare il convincimento della corrispondenza della situazione apparente a quella reale (Sez. 3, Sentenza n. 8210 del 04/04/2013). Sicchè il comportamento doloso (anche di rilevanza penale) del preposto non interrompe, di norma, il nesso causale fra l’esercizio delle incombenze dell’intermediario e il danno. In proposito è del tutto irrilevante la valutazione del suo stato soggettivo (cfr., su quest’ultimo specifico punto, Cass. n. 12448/12, nonchè già Cass. n. 20588/04 e, di recente, Cass. n. 18860/15), proprio perchè il titolo di responsabilità del preponente per il fatto del preposto prescinde dal dolo o dalla colpa quale criterio di imputazione, come correttamente indicato dal giudice del merito nell’affermare la sussistenza di un “nesso di occasionalità necessaria” tra la condotta del promotore-dipendente infedele e la Banca.

9) Difatti, per giurisprudenza consolidata, il comportamento illecito del dipendente o preposto determina la responsabilità della Banca preponente ogniqualvolta il fatto lesivo sia stato prodotto o agevolato da un comportamento riconducibile alla sua attività lavorativa, e quindi anche se questi abbia operato oltrepassando i limiti delle proprie mansioni, sempre che sia rimasto nell’ambito delle funzioni proprie dell’intermediario (con riguardo alla responsabilità dei promotori, cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 8210 del 04/04/2013; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5020 del 04/03/2014; Sez. 1, Sentenza n. 22956 del 10/11/2015; Sez. 3, Sentenza n. 18928 del 31/07/2017). Sicchè l’intermediario finanziario risponde dell’illecito compiuto in danno di terzi da chi appaia essere un suo promotore o preposto, ed in tale apparente veste abbia commesso l’illecito, ogni qual volta l’affidamento del terzo risulti incolpevole e il comportamento – ancorchè solo omissivo – dell’intermediario abbia concorso alla falsa rappresentazione della realtà, fermo restando che la ravvisabilità, nel singolo caso, di una situazione di apparenza del diritto dipende da circostanze di fatto il cui accertamento e la cui valutazione sono riservati alla competenza esclusiva del giudice di merito e, come tali, possono essere sindacati in cassazione solo per eventuali difetti logici o giuridici della motivazione (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 8229 del 07/04/2006).

10) Per affermare la concorrente responsabilità dell’intermediario è quindi sufficiente che il dipendente si presenti come tale sfruttando la posizione che ha all’interno dell’organizzazione dell’intermediario, tenuto a rispondere del fatto del dipendente o preposto. In tale contesto, ove la banca non può che agire che per il tramite dei propri funzionari, si crea una “solidarietà imperfetta” nella responsabilità per il fatto illecito commesso dal dipendente infedele e il relativo accertamento compete insindacabilmente al giudice di merito.

11) E’, invece, configurabile l’estraneità dell’intermediario al fatto dell’impiegato o preposto, sì da interrompere il nesso causale ed escludere la responsabilità dell’Istituto, solo ove si verifichino determinate circostanze, quali una condotta del cliente del tutto “anomala”, vale a dire se non di collusione, quanto meno di consapevole e fattiva acquiescenza alla violazione delle regole gravanti sull’impiegato, note al cliente. All’uopo non è sufficiente la mera consapevolezza da parte del cliente della violazione da parte del “promotore” delle regole di settore, ma occorre che i rapporti tra promotore e investitore presentino connotati di anomalia, se non addirittura di connivenza o di collusione, in funzione elusiva della disciplina legale, quanto meno di consapevole acquiescenza alla violazione delle regole gravanti sul promotore, palesata da elementi presuntivi, quali ad esempio il numero o la ripetizione delle operazioni poste in essere con modalità irregolari, il valore complessivo delle operazioni, l’esperienza acquisita nell’investimento di prodotti finanziari, la conoscenza del complesso “iter” funzionale alla sottoscrizione di programmi di investimento e le sue complessive condizioni culturali e socio-economiche (v. Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 30161 del 22/11/2018; Cass. sez. 3, Ordinanza n. 7533 del 7 marzo 2018; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 18928 del 31/07/2017; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 22956 del 10/11/2015; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 27925 del 13/12/2013).

12) Quanto alla ripartizione degli oneri probatori, all’investitore spetta l’onere di provare l’illiceità della condotta del promotore legata a quella dell’intermediario da un rapporto di necessaria occasionalità, mentre all’intermediario spetta l’onere di provare che l’illecito sia stato consapevolmente agevolato in qualche misura dall’investitore in collusione con il promotore (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 18928 del 31/07/2017).

13) Orbene, la motivazione della sentenza non convince proprio là dove, dopo avere correttamente affermato i principi sopra riportati, non è stata data considerazione alla deduzione della Banca in merito alla particolarità del caso, rilevabile dal fatto che il cliente, investitore esperto, nel 2010 ha consegnato nell’arco di circa tre mesi al promotore della Banca una ingente somma in contanti, pari a complessivi Euro 112.830,37 (di cui una tranche pari a Euro 95.000,00), con modalità di registrazione dell’operazione del tutto anomale anche sotto il profilo del rispetto della normativa antiriciclaggio (cfr. D.Lgs. n. 231 del 2007, art. 49, al tempo in vigore) e, per converso, il promotore ha rilasciato una distinta “versamento – assegni” non corrispondente all’operazione di investimento affidata al promotore, indicata dalla Corte di merito, invece, come pacificamente utilizzata nella prassi per gli investimenti finanziari (cfr. p. 16 della sentenza). Sicchè le critiche mosse circa la non corretta applicazione dei principi sopra richiamati appaiono fondate, soprattutto alla luce del rilievo circa la mancata considerazione della qualità di investitore esperto dell’attore e della tempistica dei rilievi del cliente sulla non rintracciabilità bancaria delle somme versate in contanti al promotore finanziario nei primi mesi del 2010, mossi al promotore e alla Banca, rispettivamente con lettera del 5 luglio 2011 e con raccomandata del 23 maggio 2012.

14) In merito, è sufficiente mettere a confronto le diverse deduzioni delle parti, su cui gravano i distinti oneri probatori sopra richiamati, per comprendere come le affermazioni svolte sul punto dalla Corte d’appello appaiano apodittiche e non attinenti alla fattispecie per come ricostruita dal giudice del merito. La Banca ricorrente, difatti, ha sottolineato che le richieste in ordine all’investimento arrivarono a circa due anni dalla chiusura del conto e che l’attore chiese anzitutto conto delle somme non alla Banca, ma tout court al promotore finanziario che ricevette le somme in contanti, di cui non vi è significativa traccia nella documentazione bancaria (cfr. anche documenti n. 8 I grado e 7 II grado citati a pag. 27 del controricorso), dimostrando di avere intrapreso un rapporto diretto e anomalo con il dipendente infedele; mentre l’investitore controricorrente ha indicato che le somme erano destinate a confluire nel dossier titoli e non nel conto corrente e che le condotte non denotano collusione o fattiva acquiescenza, e comunque non ingenerano condotta anomala del cliente tale da interrompere il nesso di causalità.

15) Pertanto, appare evidente che la Corte non ha considerato che la difficoltà della questione qui in esame nasce dal fatto che la Banca, che certamente non risponde perchè ha “confessato”, sia pure per il tramite dell’agente infedele, la ricezione delle somme in contanti rilasciando una distinta di versamento-assegni di cui non vi è corrispondente traccia sul conto corrente o conto titoli del cliente, ma in base al principio della occasionalità necessaria, ha dedotto circostanze atte a mettere in luce il comportamento anomalo del cliente idoneo a interrompere, in tutto o in parte, detto nesso di causalità. Sulla base dei principi sopra esposti resta infatti da stabilire se per le somme versate in contanti in una apprezzabile quantità che fa presupporre un versamento al nero, non regolarmente registrato dal funzionario della banca, non vi siano gli estremi, in ragione delle caratteristiche dell’investitore (esperto), di un concorso colposo ex art. 1227 c.c., comma 1, che, per la sua gravità, potrebbe addirittura arrivare a recidere il nesso di occasionalità necessaria (Cass. Sez. 6-3, Ordinanza 30775 del 22/12/2017).

16) In definitiva, in relazione al caso concreto è mancata la valorizzazione degli elementi presuntivi, indicati dalla Banca, atti a evidenziare l’esistenza di un rapporto esclusivo e diretto tra investitore esperto e promotore, del tutto estraneo alle funzioni a lui affidate dalla Banca, quali: i) la consegna da parte del cliente esperto al promotore, in un breve arco di tempo, di un rilevante importo in danaro contante, non registrato e non tracciato secondo la normativa antiriciclaggio vigente (D.Lgs. n. 231 del 2017, art. 49), ii) il rilascio al cliente di distinte bancarie di versamento – assegni che, contrariamente a quanto assunto dai giudici di merito, non sono riferibili a operazioni di investimento finanziario, ma ad operazioni di incasso di assegni pacificamente non avvenute, iii) la tardiva richiesta di rendiconto, a distanza di tempo dalla chiusura del conto corrente, rivolta prima al promotore, e poi alla Banca, da parte del cliente esperto. Il Giudice del rinvio, pertanto, in relazione ai suddetti elementi indiziari, del tutto trascurati nella loro complessiva pregnanza dal giudice a quo, sarà tenuto a valutare la condotta tenuta dal cliente investitore, certamente non sprovveduto, ai fini della valutazione dell’incidenza causale del suo comportamento “anomalo” ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 1.

17) Conclusivamente il ricorso va accolto e, pertanto, la sentenza va cassata con rinvio alla Corte d’appello di Brescia, in diversa composizione, anche per le spese.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso, cassa la sentenza e rinvia alla Corte d’Appello di Brescia, in diversa composizione, anche per le spese.

“Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dal solo presidente del collegio per inadempimento dell’estensore, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, art. 1, comma 1, lette a)”.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 2 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2020

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