Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1211 del 21/01/2021

Cassazione civile sez. trib., 21/01/2021, (ud. 21/10/2020, dep. 21/01/2021), n.1211

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 16149/2014 R.G. proposto da:

B.C., rappresentato e difeso dagli Avv.ti Pedrazzini

Viviana del Foro di Savona e Castellani Filippo del Foro di Roma e

domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in Roma, Lungotevere dei

Mellini n. 10;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro-tempore,

rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato,

presso i cui uffici è domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, n.

12

– controricorrente –

nonchè

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro

pro-tempore;

– intimato –

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Liguria n. 26/08/2013, pronunciata il 23.9.2013 e depositata il

14.1.2014;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21 ottobre 2020 dal Consigliere Saieva Giuseppe.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

Con sentenza n. 26/08/2013, pronunciata il 23.9.2013 e depositata il 14.1.2014, la Commissione tributaria regionale della Liguria accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Savona che accogliendo il ricorso del contribuente, B.C., aveva annullato l’avviso di accertamento con il quale l’Ufficio aveva determinato, con metodo sintetico, ai finì IRPEF e relative addizionali, per l’anno 2005, un maggior reddito imponibile rispetto a quello dichiarato.

Avverso tale sentenza il Bazzano ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi cui l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso. Il ricorso è stato fissato nella camera di consiglio del 21 ottobre 2020, ai sensi dell’art. 375, u.c., e art. 380 bis1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Preliminarmente, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze, poichè privo di legittimazione passiva in quanto il giudizio di legittimità è stato introdotto successivamente al 1 gennaio 2001, giorno in cui è divenuta operativa l’istituzione dell’Agenzia delle entrate, alla quale, per i giudizi introdotti dopo detta data, spetta in via esclusiva la legittimazione ad causam e ad processum (Cass., Sez. U., 14.2.2006, n. 3118; conf. Sez. 5, 19/11/2008 n. 27452; Sez. 5, 11/04/2011 n. 8177; Sez. 5, 30/12/2011, n. 30738).

2. Con il primo motivo il contribuente deduce ex art. 360 c.p.c., comma 1 n. 3, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, commi 4, 5 e 6 sul cd. redditometro, assumendo che tutti gli incrementi patrimoniali contestati dall’ufficio finanziario, rappresentati dall’acquisto di un’auto usata, di un immobile a Cairo Montenotte, nonchè dalle spese sostenute per mutui bancari, contratti di credito al consumo, dall’istituzione di un fondo pensione, nonchè dalle spese per il mantenimento proprio, oltre che dell’auto e della casa, traevano origine dall’impiego di somme derivanti da redditi esenti o dalla disponibilità di somme non rilevanti ai fini reddituali in quanto gran parte delle suddette operazioni erano state possibili grazie alla disponibilità di somme a lui corrisposte dalla moglie in sede di separazione personale a fronte della attribuzione alla medesima del 50% dell’abitazione coniugale.

Il motivo è inammissibile, oltre che infondato.

Questa Corte ha già chiarito (Cass. Sez. 5, 26/11/2014, 25104) che “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, comma 4, prevede (al primo periodo) che gli uffici finanziari, in base ad elementi e circostanze di fatto certi, possano “determinare sinteticamente il reddito complessivo netto del contribuente in relazione al contenuto induttivo di tali elementi e circostanze quando il reddito complessivo netto accertabile si discosta per almeno un quarto da quello dichiarato”. In sostanza, il dettato del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, prevede che il controllo della congruità dei redditi dichiarati venga effettuato partendo da dati certi ed utilizzando gli stessi come indici di capacità di spesa, per dedurne, avvalendosi di specifici e predeterminati parametri di valorizzazione (c.d. redditometro), il reddito presuntivamente necessario a garantirla. Quando il reddito determinato in tal modo si discosta da quello dichiarato per almeno due annualità, l’ufficio può procedere all’accertamento con metodo sintetico, determinando il reddito induttivamente e quindi utilizzando i parametri indicati, a condizione che il reddito così determinato sia superiore di almeno un quarto a quello dichiarato.

Con recente pronuncia, questa Corte (Cass. Sez. 5, 18/04/2014, n. 8995) ha chiarito i confini della prova contraria a carico del contribuente, a fronte di un accertamento induttivo sintetico D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 38, affermando che “a norma del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, l’accertamento del reddito con metodo sintetico non impedisce al contribuente di dimostrare, attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta, tuttavia la citata disposizione prevede anche che “l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione”. La norma chiede qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte), e, pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, chiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere). In tal senso va letto lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) della entità ditali eventuali ulteriori redditi e della “durata” del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi, escludendo quindi che i suddetti siano stati utilizzati per finalità non considerate ai fini dell’accertamento sintetico, quali, ad esempio, un ulteriore investimento finanziario, perchè in tal caso essi non sarebbero ovviamente utili a giustificare le spese e/o il tenore di vita accertato, i quali dovrebbero pertanto ascriversi a redditi non dichiarati. Nè la prova documentale richiesta dalla norma in esame risulta particolarmente onerosa, potendo essere fornita, ad esempio, con l’esibizione degli estratti dei conti correnti bancari facenti capo al contribuente, idonei a dimostrare la “durata” del possesso dei redditi in esame; quindi non il loro semplice “transito” nella disponibilità del contribuente”.

Ciò posto, appare conforme alla normativa citata la decisione della C.T.R. che ha disatteso la pretesa dell’odierno ricorrente di giustificare incrementi e mantenimenti sulla base esclusivamente di un capitale disponibile (pervenutogli dalla moglie in sede di separazione e, come dedotto dall’Agenzia nel proprio appello in C.T.R., comunque insufficiente per tutti gli incrementi e mantenimenti citati).

3. Va poi disattesa in quanto nella specie inapplicabile ratione temporis la pretesa applicazione della nuova (e novativa) disciplina dell’accertamento sintetico per i redditi successivi all’anno d’imposta 2009, invero non suscettibile di applicazione retroattiva, mentre è palesemente inammissibile la pretesa del contribuente di ottenere una nuova valutazione di merito attraverso ulteriori “riscontri idonei ad integrare la presunzione statistica”.

Il D.L. n. 78 del 2010, art. 22, comma 1, (convertito in L. 30 luglio 2010 n. 122), stabilisce, infatti, che le modifiche apportate al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 hanno effetto “per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto” (vale a dire con esclusione degli accertamenti relativi a periodi d’imposta anteriori al 2009). Inoltre, nel sistema attualmente vigente, come delineato dal D.M. 24 dicembre 2012, non si riscontra una disposizione analoga a quella prevista – sempre in tema di accertamento sintetico – dal D.M. 10 settembre 1992, art. 5, comma 3, u.p., il quale – nel far salvi gli accertamenti emanati sulla base del precedente D.M. 21 luglio 1983 aveva previsto che il contribuente potesse chiedere, qualora l’accertamento non fosse divenuto definitivo, la rideterminazione del reddito sulla base dei criteri indicati nell’art. 3 del medesimo decreto. Peraltro anche il D.M. 24 dicembre 2012 – emanato in attuazione delle nuove norme in materia di accertamento sintetico – ha ribadito l’applicabilità delle disposizioni in esso contenute alla determinazione sintetica dei redditi e dei maggiori redditi relativi agli anni d’imposta a decorrere dal 2009, talchè sia il limite temporale individuato dal D.L. n. 78 che l’assenza di una previsione analoga a quella contenuta nel D.M. del 1992 consentono di escludere un’applicazione retroattiva del “nuovo redditometro”.

4. Con il secondo motivo il contribuente lamenta ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di discussione tra le parti, denunciando in particolare l’illegittimità della sentenza impugnata, avendo la C.T.R. omesso di pronunciarsi in ordine alla eccezione relativa ai versamenti effettuati dalla moglie, ritenuti dall’Ufficio quale indice di spesa corrispondente ad un incremento patrimoniale, mentre in realtà si trattava di attribuzione di beni neutra ai fini fiscali, essendo intervenuta in sede di separazione personale e di divisione della comunione dei beni sorta con il matrimonio.

Tale doglianza è inammissibile.

Il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 può, infatti, essere dedotto solo in caso di omesso esame di un “fatto storico” controverso, che sia stato oggetto di discussione e appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione, essendo preclusa l’impugnazione della sentenza per criticare il percorso argomentativo adottato dai giudici di merito sulla base di una valutazione degli elementi fattuali acquisiti, da questi ritenuti determinanti oppure non pertinenti (Cass. Sez. U, 7/4/2014 n. 8053; Cass. Sez. U. 22/9/2014 n. 19881; Cass. Sez. 3, 10/6/2016 n. 11892).

Ne consegue che esula dal vizio di legittimità di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 qualsiasi contestazione volta a criticare il “convincimento” che il giudice si sia formato all’esito dell’esame del materiale probatorio, previa valutazione della sua attendibilità talchè va disattesa la doglianza del contribuente secondo cui i giudici di secondo grado non avrebbero adeguatamente tenuto conto di tutti gli elementi di prova contraria da lui offerti al fine di dimostrare l’erronea valutazione dell’Amministrazione in ordine alle somme corrisposte dalla moglie per compensare il maggior valore della porzione di immobile a lei ceduta e del carattere neutro a fini fiscali del trasferimento di tali somme.

5. Il ricorso va quindi rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso nei confronti del Ministero dell’Economia e Finanze; rigetta il ricorso proposto nei confronti dell’Agenzia delle Entrate e condanna il contribuente al rimborso delle spese sostenute dall’Agenzia medesima che liquida in 2.300,00 Euro, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 21 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2021

 

 

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