Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12109 del 18/05/2010

Cassazione civile sez. lav., 18/05/2010, (ud. 29/04/2010, dep. 18/05/2010), n.12109

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo – Presidente –

Dott. PICONE Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.S., elettivamente domiciliato in (OSTIA – ROMA), VIA

PISISTRATO 11, presso lo studio dell’avvocato ROMOLI GIANNI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato CENCETTI SERGIO, giusta

mandato in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati SGROI ANTONINO,

CALIULO LUIGI, CORRERA FABRIZIO, giusta mandato in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 282/2006 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 05/10/2006 r.g.n. 418/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

29/04/2010 dal Consigliere Dott. PICONE Pasquale;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

PREMESSO IN FATTO

1. La sentenza di cui si domanda la cassazione giudica infondato l’appello di S.S. e conferma la decisione n. 47 del 22.4.2004 del Tribunale di Perugia – giudice del lavoro – con la quale era stata rigettata la domanda proposta dal S. contro l’Inps per la restituzione della somma di Euro 14.609,53 versata a titolo di sanzione una tantum.

2. La Corte di appello di Perugia accerta in fatto che il S., titolare di agriturismo, aveva versato per i dipendenti i contributi dovuti per gli addetti all’agricoltura, mentre assolutamente prevalente era in realta’ l’attivita’ alberghiera (pernottamento e ristorazione); ritiene, quindi, correttamente inflitta la sanzione una tantum prevista per le ipotesi di evasione (denunzie e registrazioni non conformi al vero) e non abrogata dalla L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 8, per i crediti accertati alla data del 30.12.2000.

3. Il ricorso di S.S. si articola in due motivi;

resiste con controricorso l’Inps.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 217, lett. b, in relazione alla L. n. 88 del 1989, art. 49 e alla L. n. 335 del 1995, art. 3, nonche’ vizio di motivazione. Si sostiene che nel caso di specie doveva escludersi l’ipotesi dell’evasione contributiva, siccome la situazione effettiva risultava dalle denunzie effettuate allo Scau quale azienda agricola negli anni 1996 – 1997, azienda agricola che non aveva l’obbligo di inviare i modelli DM 10, e doveva ritenersi comprovato che non vi fosse, da parte dell’obbligato, l’intenzione di occultare la realta’ per non pagare il dovuto; in ogni caso, l’inquadramento come azienda agricola non poteva essere mutato dall’Inps con effetti retroattivi. Il motivo si conclude con la formulazione del quesito diritto in questi termini: se, in presenza dell’osservanza da parte di un’azienda inquadrata come agricola di tutti gli adempimenti prescritti in relazione a tale inquadramento, costituisca fattispecie di evasione il mancato invio all’Inps dei modelli DM10, obbligo reso attuale soltanto dalla variazione di inquadramento disposta dall’Inps nel 1998 (dal settore agricolo a quello terziario), variazione che non poteva produrre effetti per il periodo precedente.

1.1. Il motivo non puo’ trovare accoglimento.

1.2. Il ricorrente invoca essenzialmente il principio di diritto secondo il quale, in materia di classificazione dei datori di lavoro ai fini previdenziali, la L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 3, comma 8 nella parte in cui (primo e secondo periodo) stabilisce che i provvedimenti di variazione della classificazione dei datori di lavoro a fini previdenziali, adottati dall’Inps di ufficio o su richiesta dell’azienda, producono effetti dal periodo di paga in corso alla data di notifica del provvedimento o della richiesta dell’interessato, ha valenza generale, ed e’ quindi applicabile ad ogni ipotesi di rettifica di precedenti inquadramenti operata dall’Istituto previdenziale dopo la data di entrata in vigore della predetta legge – o anche prima, nel caso in cui la modifica, cosi’ come attuata, formi oggetto di controversia in corso a quella stessa data – indipendentemente dai parametri adottati, si tratti cioe’ dei nuovi criteri di inquadramento introdotti dalla L. n. 88 del 1989, art. 49, primi due commi ovvero di quelli applicabili secondo la normativa previgente, in base ad una lettura sistematica e costituzionalmente orientata della norma, volta ad uniformare il trattamento di imprese di identica natura ed attivita’ ma disomogenee nella classificazione (Cass., sez. un., 12 agosto 2005, n. 16875).

1.2. Invocando il suddetto principio, in realta’ il ricorrente vorrebbe farne discendere non soltanto l’esclusione della fattispecie di “evasione” contributiva, ma addirittura di quella di “omissione”, siccome inevitabilmente la condivisione della tesi prospettata condurrebbe ad affermare che, per il periodo precedente quello in corso alla data dell’accertamento ispettivo 9.11.1998, i lavoratori occupati nell’azienda dovevano considerarsi agricoli a tutti gli effetti.

1.3. Ma questa tesi, siccome formulata per la prima volta in sede di legittimita’, si risolve in censura inammissibile alla sentenza impugnata. L’applicazione del richiamato principio di diritto, infatti, presuppone accertamenti di fatto che non sono stati chiesti al giudice del merito, quali, essenzialmente, l’avvenuto inquadramento nel settore agricolo e la successiva determinazione di ufficio del trasferimento nel settore economico corrispondente all’effettiva attivita’ svolta. Gli elementi di fatto, acquisiti alla causa, invece, consistono puramente e semplicemente nell’accertamento che vi erano state denunce e registrazioni relative a dipendenti inseriti in organizzazione produttiva che non svolgeva, in realta’, attivita’ agricola, risultando occupati come personale di sala e di cucina nell’ambito di attivita’ aziendale prevalentemente alberghiera e di ristorazione (pubblico esercizio).

1.4. Le considerazioni che precedono sarebbero gia’ sufficienti alla confutazione dell’altro (ammissibile) profilo di censura, siccome la realta’ della situazione poteva essere accertata solo in base a specifica ispezione e non certo sulla scorta di quanto attestato nelle denunce e registrazioni effettuate dal datore di lavoro.

Comunque, ogni questione deve ritenersi definitivamente superata dall’intervento, a composizione di contrasto di giurisprudenza della sentenza delle Sezioni unite della Corte 7 marzo 2005, n. 4808, che enunciano il principio diritto secondo il quale, in materia di previdenza la fattispecie dell’omissione contributiva deve ritenersi limitata all’ipotesi del solo mancato pagamento dei contributi da parte del datore di lavoro, in presenza di tutte le denunce e registrazioni obbligatorie necessarie, mentre la fattispecie dell’evasione ricorre ogni qualvolta manchi anche uno solo degli altri necessari adempimenti, come la presentazione delle denunce mensili, in quanto strettamente funzionali al regolare svolgimento dei compiti di istituto dell’ente previdenziale, ed alla tempestiva soddisfazione dei diritti pensionistici dei lavoratori assicurati.

1.5. Nella fattispecie, quindi, il mancato invio dei modelli DM10, proprio perche’ consequenziale a denunce e registrazioni non conformi alla realta’, concreta certamente evasione contributiva, ricadente nella previsione della L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 217, lett. b), che commina una sanzione una tantum.

2. Con il secondo motivo di ricorso, denunciando violazione e falsa applicazione della L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 116, comma 8, unitamente a vizio di motivazione, si sottopone alla Corte il quesito se la norma indicata possa trovare applicazione alla controversia e se, in particolare, il comma 18 dell’art. 116 attribuisca il diritto di ripetere quanto pagato a titolo di sanzione una tantum.

2.1. Il primo profilo di censura e’ infondato perche’ alla fattispecie di inadempimento contributivo in oggetto non e’ applicabile lo ius superveniens di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 8 e segg., che detta norme piu’ favorevoli per i contribuenti, atteso che nessuna delle disposizioni ivi contenute induce a ritenerne la retroattivita’, cosicche’ ne e’ esclusa l’applicabilita’ ad omissioni contributive accertate prima della relativa entrata in vigore (Cass., sez. un., 7 marzo 2005, n. 4808, cit.).

2.2. In ordine al secondo profilo di censura, si osserva che il disposto della L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 8 con il riferimento ai crediti gia’ accertati al 30 settembre 2000 esclude che vi sia stata deroga al principio di irretroattivita’ quanto all’obbligo di immediato pagamento delle predette sanzioni, prevedendosi invece un meccanismo in base al quale la differenza tra quanto dovuto e quanto calcolato ai sensi dei commi precedenti costituisce un credito contributivo da porre a conguaglio successivamente e proprio per questo presuppone necessariamente l’avvenuto pagamento dei contributi e delle sanzioni (Cass. 17 dicembre 2003, n. 19334; 20 dicembre 2004, n. 23615).

2.3. Ed infatti, la conservazione delle sanzioni gia’ calcolate secondo la normativa previgente e’ prevista nelle ipotesi in cui il credito dell’Inps per contributi sia ancora sussistente alla data del 30 settembre 2000, e solo in caso contrario, se il credito dell’Inps a quella data non esisteva piu’, perche’ gia’ soddisfatto in epoca precedente, le vecchie sanzioni non sono piu’ applicabili, venendo sostituite da quelle nuove, ossia da quelle introdotte dalla L. n. 388 citata, art. 116, commi da 8 a 10, e cio’ nell’evidente intento di praticare un trattamento piu’ favorevole per il soggetto che, al 30 settembre 2000, aveva gia’ pagato la somma dovuta per contributi e sanzioni (Cass. 13 giugno 2007, n. 13794). Presupposto per l’applicazione della norma alla fattispecie controversa, quindi, e’ l’avvenuto pagamento dell’intera somma dovuta a titolo di sanzione civile una tantum alla data del 30 settembre 2000, ma tale circostanza di fatto non e’ stata allegata nel giudizio di merito (risultando non precisata anche in sede di ricorso per Cassazione).

Anche questo profilo di censura va percio’ rigettato correggendo, nei sensi indicati, la motivazione della sentenza impugnata il cui dispositivo e’ conforme al diritto (art. 384 c.p.c., comma 2).

3. Al rigetto del ricorso consegue la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese e degli onorari del giudizio di cassazione, nella misura determinata in dispositivo.

PQM

LA CORTE rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese e degli onorari del giudizio di cassazione, liquidate le prime in Euro 12,00 oltre spese accessorie, iva e cpa, ed i secondi in Euro 2000,00 (duemila/00).

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro, il 29 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 18 maggio 2010

 

 

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