Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12109 del 16/05/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 16/05/2017, (ud. 08/02/2017, dep.16/05/2017),  n. 12109

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – rel. Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15222/2011 proposto da:

MEVERIN S.R.L., C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO TRIESTE 87,

presso lo studio dell’avvocato BRUNO BELLI, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato ANITA MOGLIA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS),

in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore,

in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. Società di

Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S. C.F. (OMISSIS), in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati ENRICO MITTONI,

ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO, CARLA D’ALOISIO, giusta delega in

atti;

– controricorrente –

e contro

EQUITALIA EMILIA NORD S.P.A.- già Equitalia Parma S.p.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 793/2009 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 12/05/2010 R.G.N. 844/07;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/02/2017 dal Consigliere Dott. ADRIANA DORONZO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIACALONE Giovanni, che ha concluso per l’inammissibilità del

ricorso;

udito l’Avvocato BRUNO BELLI;

udito l’Avvocato LELIO MARITATO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza depositata in data 12 maggio 2010 la Corte d’appello di Bologna rigettava l’appello proposto da Meverin s.r.l. contro la sentenza resa dal Tribunale di Parma che aveva rigettato l’opposizione contro la cartella di pagamento notificata in data 12 marzo 2004 nell’interesse dell’Inps, con la quale veniva intimato alla società appellante il pagamento di somme dovute a titolo di contributi SSN aziende.

Contro la sentenza, con ricorso notificato il 10 giugno 2011, la società propone ricorso per cassazione e formula quattro motivi, ai quali si oppone l’Inps con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso per cassazione è inammissibile. A fronte della sentenza pubblicata il 12 maggio 2010, il ricorso per cassazione è stato avviato per la notifica il 10 giugno 2011 come risulta dal timbro apposto dall’ufficio postale di Roma, cui l’atto è stato consegnato per la notificazione. E’ pertanto decorso oltre un anno dalla pubblicazione della sentenza. Trova infatti applicazione alla fattispecie in esame il disposto dell’art. 327 c.p.c., nel testo precedente alla sua modifica ad opera della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 46, comma 17, trattandosi di giudizio instaurato con ricorso depositato il 21/4/2004, e dunque prima dell’entrata in vigore della legge suddetta (art. 58, comma 1, L. cit.).

2. Consapevole della tardività dell’atto, la società solleva eccezione di illegittimità costituzionale della L. 7 ottobre 1969, n. 742, art. 1 e successive modificazioni e integrazioni, nella parte in cui non prevede la sospensione dei termini processuali nel periodo feriale nei processi di carattere previdenziale tra datore di lavoro e enti previdenziali aventi ad oggetto il recupero dei contributi pretesamente evasi. Assume che tale disposizione sarebbe in contrasto sia con l’art. 3 sia con l’art. 24 Cost..

3. La questione appare manifestamente infondata ed in tal senso questa Corte si è già pronunciata, sia pure con riferimento a controversie diverse da quelle in esame (Cass. 5/07/2004, n. 12236). Si è infatti ritenuto che il presupposto logico di un’eccezione di illegittimità costituzionale per violazione del principio,di eguaglianza è che la diversa disciplina, la cui estensione si pretende in attuazione di quel principio, sia più favorevole rispetto a quella della norma denunziata: la norma censurata, invece, che introduce la deroga alla sospensione dei termini feriali nei procedimenti di lavoro e previdenziali costituisce, nell’intenzione del legislatore, una tutela ed un beneficio in favore delle parti che controvertono onde pervenire ad un sollecito e rapido accertamento dei diritti in contestazione e ad una più celere definizione giudiziale. Queste ragioni sussistono anche nelle controversie in esame, di opposizione a cartelle di pagamento dei contributi asseritamente evasi, non solo perchè si tratta di controversie comunque assoggettate al rito del lavoro (v. Cass. 3/8/2007, n. 17073; Cass. 16/10/2007, n. 21614), bensì perchè ricorre l’identità di ratio sottesa alla disciplina unitaria dell’art. 3 della L. n. 742 del 1969, in ordine alle controversie di previdenza e assistenza obbligatoria, sia a quelle promosse dagli aventi diritto alle prestazioni, sia a quelle promosse dagli enti previdenziali contro i datori di lavoro per ottenere il pagamento dei contributi, “in quanto la sollecita definizione di queste ultime risponde all’esigenza di procurare agli enti stessi la disponibilità dei mezzi finanziari occorrenti per fornire le prestazioni dovute” (in tal senso, Corte Cost., n. 61 del 1992).

4. Le ragioni addotte dall’odierna ricorrente, ed essenzialmente incentrate sulla notoria lentezza dei tempi della giustizia anche nelle controversie di lavoro e previdenziali non ovviata dalla norma censurata, – sicchè le esigenze di celerità perseguite non sarebbero comunque soddisfatte -, non sono idonee a scalfire il valore di tali affermazioni, trattandosi di argomenti che nulla di nuovo apportano sotto il profilo delle denunciate violazioni degli artt. 3 e 24 della Costituzione.

5. L’inammissibilità del ricorso per cassazione esime la Corte dall’esaminare gli ulteriori motivi di ricorso. In applicazione del principio della soccombenza, la società deve essere condannata al pagamento delle spese del presente giudizio.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 4200, di cui Euro 4000,00 per compensi professionali, oltre al 15% di rimborso spese generali e altri accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 8 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 16 maggio 2017

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