Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12108 del 18/05/2010

Cassazione civile sez. lav., 18/05/2010, (ud. 29/04/2010, dep. 18/05/2010), n.12108

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo – Presidente –

Dott. PICONE Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

BELLIGOLI S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in (OSTIA – ROMA), VIA PISISTRATO 11,

presso lo studio dell’avvocato ROMOLI Gianni, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato DEL GIUDICE UMBERTO, giusta mandato a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati CORRERA

FABRIZIO, CORETTI ANTONIETTA, CALIULO LUIGI, giusta mandato in calce

al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1238/2006 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 16/10/2006 r.g.n. 1655/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

29/04/2010 dal Consigliere Dott. PICONE Pasquale;

udito l’Avvocato DEL GIUDICE UMBERTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per: a nuovo ruolo in attesa di

decisione delle SEZIONI UNITE; in subordine, accoglimento.

 

Fatto

PREMESSO IN FATTO

1. La sentenza di cui si domanda la cassazione accoglie l’appello dell’Istituto nazionale della previdenza sociale – Inps – e, in riforma della decisione del Tribunale di Grosseto – giudice del lavoro – n. 419/2004, rigetta la domanda proposta dalla Belligoli s.r.l. per l’accertamento della natura autonoma e non subordinata dei rapporti di lavoro con V.G., V.P. e R.A., come invece ritenuto all’esito di ispezione dell’Inps ed ai fini della sussistenza del credito dell’Istituto ai relativi contributi assicurativi.

2. La Corte di appello di Firenze rileva che l’azione di accertamento negativo dell’obbligo contributivo imponeva alla societa’ di fornire la prova (nella specie, dell’insussistenza della subordinazione) contraria all’accertamento compiuto dall’Inps; che tale dimostrazione non era stata data, siccome la prova testimoniale aveva ad oggetto circostanze o pacifiche o irrilevanti ai fini della qualificazione dei rapporti di lavoro; che gli elementi di fatto risultanti dal verbale ispettivo, non validamente contrastati dalla parte attrice, erano idonei a qualificare come subordinato il lavoro degli operai V.G. e V.P. e del dirigente R.A..

3. Il ricorso di Belligoli s.r.l. di articola in due motivi, ulteriormente precisati con memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c.; resiste con controricorso l’Inps.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. nonche’ vizio di motivazione, perche’ la documentazione prodotta offriva elementi presuntivi idonei a contrastare l’accertamento dell’Inps ed inoltre era stata chiesta l’ammissione di prova per testimoni richiamata nell’atto di appello, ammissione ingiustificatamente rifiutata dalla Corte di appello;

l’Inps, poi, aveva proposto domanda riconvenzionale (ancorche’ non avesse chiesto la fissazione di una nuova udienza) di condanna al pagamento dei contributi e dunque aveva l’onere di provare i fatti costitutivi della pretesa, prova che comunque non avrebbe potuto fornire per effetto della costituzione in ritardo nel giudizio di primo grado.

2. Con il secondo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., degli artt. 2697, 2094 e 2222 c.c., nonche’ vizio di motivazione. Si deduce che gli elementi risultanti dal verbale ispettivo non erano idonei a suffragare la decisione e risultavano contrastati dai ventuno capitoli di prova testimoniale articolati e dalla documentazione prodotta; agli stessi, comunque, in presenza delle contestazioni mosse dalla societa’, non era possibile riconoscere alcuna efficacia probatoria.

3. La Corte, esaminati unitariamente i due motivi per la connessione tra le argomentazioni, giudica il ricorso fondato nel nucleo centrale della censura relativa alla mancanza della prova del credito dell’istituto previdenziale.

4. La decisione impugnata assume a suo essenziale fondamento il principio secondo cui, ove l’istituto previdenziale pretenda il pagamento di contributi ed il debitore assuma l’iniziativa giudiziaria per ottenere l’accertamento dell’insussistenza del credito, e’ sul debitore che grava l’onere di contestare la richiesta e di dimostrarne l’illegittimita’ attraverso la prova degli elementi che, sia pure in via soltanto presuntiva, risultino idonei a far ritenere insussistenti i fatti costitutivi della pretesa.

5. Il principio cui si e’ uniformata la Corte di appello di Firenze, invero, risulta enunciato dalla prevalente giurisprudenza della Corte nella risoluzione della questione relativa all’onere della prova con particolare riferimento alle azioni di accertamento negativo, giurisprudenza che enuncia la tesi secondo cui l’onere della prova grava sul soggetto che agisce in giudizio (cfr. Cass. n. 11751/2004, n. 23229/2004,. 384/2007, contenenti principi in materia di prova di fatti negativi in relazione ad azioni di accertamento negativo; vedi anche Cass. n. 1454/1951, n. 4724/1989 e n. 2032/2006).

6. Ma in senso contrario si era pronunciata gia’ una risalente sentenza (n. 1391/1985) sulla base dell’esplicita affermazione che i principi generali sull’onere della prova trovano applicazione indipendentemente dalla circostanza che la causa sia stata instaurata dal debitore con azione di accertamento negativo, con la conseguenza che anche in tale situazione sono a carico del creditore le conseguenze della mancata dimostrazione degli elementi costitutivi della pretesa. Piu’ di recente, con riguardo specifico al tema del riparto dell’onere della prova nelle azioni di ripetizione di indebito, si e’ inteso da parte di questa Corte affermare un indirizzo contrario a quello che si e’ definito dominante (cfr. Cass. n. 19762/2008; n. 28516/2008). Questo indirizzo ha determinato la rimessione della questione alle Sezioni unite della Corte per la risoluzione di contrasto di giurisprudenza (art. 374 c.p.c., comma 2) ed in relazione a cio’ il Pubblico ministero ha chiesto il rinvio a nuovo ruolo della causa in attesa della decisione di composizione del contrasto. Osserva pero’ il Collegio che le Sezioni unite della Corte sono state investite della specifica questione del riparto dell’onere della prova nelle azioni di ripetizione dell’indebito (art. 2033 c.c. e segg.), fattispecie che, siccome caratterizzata dalla pretesa di chi assume l’iniziativa giudiziale di trattenere nel suo patrimonio l’adempimento effettuato in suo favore all’esito dell’accertata sussistenza di una causa giustificativa, si presenta nettamente diversificata dall’ipotesi di accertamento negativo del credito, nella quale l’attore non chiede l’accertamento di un suo diritto, ma solo che sia negato il fondamento dell’altrui pretesa.

E’ con riguardo al tema dell’onere della prova nelle azioni di accertamento negativo che il Collegio ritiene di non potere dare continuita’ al principio secondo cui il criterio di riparto dell’onere della prova si determina in funzione della posizione di attore o di convenuto assunta in giudizio, nella persuasione che la prevalente giurisprudenza di legittimita’ non abbia colto il carattere specifico di questo tipo di azioni.

7. L’orientamento giurisprudenziale dominante si collega, invero, ad opinioni autorevolmente sostenute in sede dottrinale gia’ nella vigenza del codice di procedura civile del 1865, sul presupposto del rilievo preminente svolto in materia di onere della prova dalla posizione processuale delle parti e dalla configurazione di un onere piu’ ampio, e primario, a carico dell’attore. Si e’ anche ritenuto che l’attribuzione in ogni caso dell’onere della prova all’attore in accertamento negativo costituisca una sorta di necessario contrappeso alla ritenuta ammissibilita’ delle azioni di accertamento, la cui proposizione altrimenti potrebbe mettere in difficolta’ la difesa del convenuto (o comunque vessarlo).

8. E tuttavia, tale indirizzo giurisprudenziale non risulta conforme alla regola fondamentale sulla distribuzione dell’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c.; aggrava ingiustificatamente la posizione di soggetti indotti o praticamente costretti a promuovere un’azione di accertamento negativo dalle circostanze e specificamente da iniziative stragiudiziali o giudiziali mediante strumenti particolarmente efficaci della controparte; non e’ effettivamente necessitato dalla finalita’ di prevenire azioni di accertamento non aventi oggetti va giustificazione.

9. Quanto all’art. 2697 c.c., l’affermazione secondo cui la dizione, dallo stesso utilizzata – “chi vuoi far valere un diritto in giudizio” – implica che sia colui che prende l’iniziativa di introdurre il giudizio ad essere gravato dell’onere di “provare i fatti che ne costituiscono il fondamento”, contrasta innanzitutto con la stessa lettera della disposizione, poiche’ l’attore in accertamento negativo non fa valere il diritto oggetto dell’accertamento giudiziale, ma, al contrario, ne postula l’inesistenza, ed e’ invece il convenuto che virtualmente o concretamente fa valere tale diritto, essendo la parte controinteressata rispetto all’azione di accertamento negativo.

Una considerazione complessiva delle regole di distribuzione dell’onere della prova di cui ai due commi dell’art. 2967 c.c. (che, come osservato in dottrina, puo’ essere considerato specificazione del piu’ generale principio secondo cui l’onere della prova deve gravare sulla parte che invoca le conseguenze favorevoli previste dalla norma), conferma che esse sono fondate non gia’ sulla posizione della parte nel processo, ma sul criterio di natura sostanziale relativo al tipo di efficacia, rispetto al diritto oggetto del giudizio e all’interesse delle parti, dei fatti incidenti sul medesimo. Dare rilievo all’iniziativa processuale vuoi dire, quindi, alterare in radice i criteri previsti dalla legge per la distribuzione dell’onere della prova, addossando al soggetto passivo del rapporto, in caso di accertamento negativo, l’onere della prova circa i fatti costitutivi del diritto e quindi imponendogli la prova di fatti negativi, astrattamente possibile ma spesso assai difficile.

10. Con la prospettiva criticata sono in realta’ contraddetti i criteri elaborati dalla dottrina e dalla giurisprudenza ai fini dell’applicazione dell’art. 2697 c.c., in particolare la distinzione tra fatti costitutivi e fatti impeditivi come coerente con il principio secondo cui e’ maggiormente ragionevole gravare dell’onere probatorio la parte a cui e’ piu’ vicino il fatto da provare (in materia, cfr. Cass. Sez. un., n. 141/2006 sul ruolo costitutivo o impeditivo della dimensione dell’impresa ai fini dell’applicabilita’ della tutela c.d. reale ex L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 1, nei confronti di un licenziamento illegittimo).

Puo’, poi, specificamente rilevarsi che collegare la distribuzione dell’onere della prova al ruolo delle parti quanto all’iniziativa processuale, invece che alla posizione sostanziale delle stesse riguardo ai diritti oggetto del giudizio, crea particolari problemi quando relativamente allo stesso diritto le posizioni processuali si intrecciano a seguito della proposizione da parte del convenuto in accertamento negativo di una domanda riconvenzionale per il pagamento del credito oggetto del giudizio. In tal caso il criterio formulato dalla giurisprudenza (vedi Cass. n. 23229/2004 e 384/2007), secondo cui ambedue le parti dovranno ritenersi gravate dall’onere di provare le rispettive contrapposte pretese, non appare provvisto di un saldo fondamento logico – giuridico e non sembra suscettibile di avere in ogni caso implicazioni chiare e ragionevoli.

11. Appare, infine, improprio affidare ad una modifica del normale regime probatorio la funzione di contenimento della proposizione di azioni di accertamento negativo, considerato anche che a tal fine opera un diverso e piu’ puntuale criterio, comune alle azioni di accertamento positivo e negativo e fondato sulla configurabilita’ caso per caso di un giustificato interesse della parte attrice. E’ importante anche considerare che non di rado colui che agisce in via di accertamento negativo lo fa perche’ praticamente costretto dalla minaccia di attuazione, o anche da concreti atti di esercizio, del diritto vantato dalla controparte (situazione configurabile anche con riferimento ad atti dell’Inps dichiarativi di un suo diritto di credito contributivo, poiche’ l’ente ha la facolta’ di ottenere il pagamento mediante la formazione di titolo esecutivo stragiudiziale, quale l’iscrizione a ruolo).

12. Sulla base delle osservazioni che precedono in punto di onere della prova nelle azioni di accertamento negativo, deve pervenirsi alla conclusione che, nel caso di specie, l’acquisizione alla causa del solo verbale di accertamento ispettivo doveva reputarsi totalmente inidonea a comprovare il credito vantato dall’Inps.

Infatti, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza della Corte, i verbali redatti dagli ispettori del lavoro o dai funzionari degli enti previdenziali (al pari di quelli redatti dagli altri pubblici ufficiali) fanno piena prova, fino a querela di falso, unicamente dei fatti attestati nel verbale di accertamento come avvenuti alla presenza del pubblico ufficiale o da lui compiuti, mentre la fede privilegiata certamente non si estende alla verita’ sostanziale delle dichiarazioni ovvero alla fondatezza di apprezzamenti o valutazioni del verbalizzante (vedi Cass. sez. un., n. 12545/1992, n. 17355/2009). In particolare, per quanto concerne la verita’ di dichiarazioni rese da terzi al pubblico ufficiale, la legge non attribuisce al verbale alcun valore probatorio precostituito, neppure di presunzione semplice, ma il materiale raccolto dal verbalizzante deve essere liberamente apprezzato dal giudice, il quale puo’ valutarne l’importanza ai fini della prova, ma non puo’ mai attribuirgli il valore di vero e proprio accertamento addossando l’onere di fornire la prova contraria al soggetto sul quale non grava (Cass. n. 1786/2000, n. 1786, n. 6110/1998; n. 3973/1998; n. 6847/1987).

Va pertanto enunciato il seguente principio di diritto: “In tema di riparto dell’onere della prova ai sensi dell’art. 2697 c.c., l’onere di provare i fatti costitutivi del diritto grava sempre su colui che si afferma titolare del diritto stesso ed intende farlo valere, ancorche’ sia convenuto in giudizio di accertamento negativo, con la conseguenza che la sussistenza del credito contributivo dell’Inps, preteso sulla base di verbale ispettivo, deve essere comprovata dall’Istituto con riguardo ai fatti costitutivi rispetto ai quali il verbale non riveste efficacia probatoria”.

13. In applicazione dell’enunciato principio di diritto, la sentenza impugnata deve essere cassata perche’ affetta dall’errore di diritto consistito nell’avere addossato alla societa’, promotrice del giudizio di accertamento negativo del credito contributivo dell’Inps, l’onere di provarne l’inesistenza e attribuito efficacia probatoria alle dichiarazioni dei lavoratori riportate nel verbale. La causa va decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, con il rigetto dell’appello dell’Inps e la conferma della statuizione di primo grado perche’ non vi sono altri accertamenti di fatto da effettuare, considerato che la stessa sentenza accerta che l’Inps, costituitosi tardivamente in giudizio, non aveva articolato prove ammissibili. Le spese del giudizio di appello e di cassazione sono compensate per giusti motivi ravvisati nel contrasto di giurisprudenza sulla questione del riparto dell’onere della prova nelle azioni di accertamento negativo; e’ confermata la statuizione sulle spese recata dalla sentenza di primo grado.

P.Q.M.

LA CORTE Accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata; decidendo la causa nel merito, rigetta l’appello dell’Inps e conferma la sentenza n. 419/2004 del Tribunale di Grosseto anche nella statuizione relativa alle spese; compensa per l’intero le spese del giudizio di appello e di cassazione.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro, il 29 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 18 maggio 2010

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