Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12107 del 22/06/2020

Cassazione civile sez. III, 22/06/2020, (ud. 02/12/2019, dep. 22/06/2020), n.12107

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11595/2018 proposto da:

P.N., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. AVEZZANA,

1 INT. 3, presso lo studio dell’avvocato ORNELLA MANFREDINI,

rappresentato e difeso dagli avvocati GIANNOTTO ULIVI, MAURIZIO

RUDALLI;

– ricorrente –

contro

G.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FRANCESCO

DENZA 3, presso lo studio dell’avvocato ANGELO MARTUCCI,

rappresentata e difesa dall’avvocato DANIELE SANTUCCI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2259/2017 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 13/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/12/2019 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato ANGELO MARTUCCI per delega.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO

1. Con ricorso notificato via Pec l’11/4/2018 avverso la sentenza n. 2259/2018 della Corte di Appello di Firenze, pubblicata il 13/10/2017, il Dott. P.N. chiede la cassazione della sentenza per violazione del principio di necessaria corrispondenza tra chiesto e pronunciato, per violazione delle norme relative alla interpretazione del contratto e per violazione dei principi in materia di riparto dell’onere probatorio. Il ricorso è affidato a 3 motivi. Con controricorso notificato il 15/5/2018 resiste l’Arch. G.G. chiedendo il rigetto del ricorso. Il ricorrente ha prodotto memoria. Il Pubblico Ministero concludeva come in atti.

2. Per quanto qui di interesse, il 1/10/2006, l’Arch. G.G. aveva convenuto in giudizio, innanzi al Tribunale di Firenze, il Dott. P. chiedendone la condanna al pagamento della somma di Euro 193.263,00 a titolo di risarcimento dei danni subiti a seguito della mancata stipula di un negozio preliminare di vendita con riferimento ad un immobile sito in (OMISSIS). Le parti avevano in precedenza sottoscritto una “proposta d’acquisto” datata 6/12/2005, con la quale la sig.ra G. proponeva di acquistare il predetto immobile al prezzo complessivo di Euro 915.000,00, versando un deposito di Euro 25.000,00, che il Dott. P. si impegnava a restituire nel caso in cui fossero sorti impedimenti tecnici tali da impedire la stipula del preliminare, impegnandosi le parti alla stipula del definitivo “entro e non oltre il 31 dicembre 2005”. Era però accaduto che, allorquando le stesse si erano presentate per la stipula del contratto preliminare innanzi al notaio, Dott. R., il Dott. P., preso atto della presenza di impedimenti tecnici riferibili alla presenza di una pratica di condono edilizio pendente sull’immobile e di alcune difformità non ancora condonate, rifiutava la sottoscrizione del preliminare e, in seguito, restituiva all’Arch. G. gli assegni ricevuti. L’Arch. G., ritenendo che il Dott. P. si fosse ingiustificatamente rifiutato di dar corso alla stipula del preliminare e che, quindi, fosse inadempiente rispetto agli impegni assunti, avanzava domanda risarcitoria. La causa veniva istruita a mezzo produzioni documentali e prove orali. Il Tribunale, con sentenza n. 3777 del 5/7/2010, accertava la responsabilità del Dott. P. per ingiustificata rottura delle trattative e rimetteva la causa in istruttoria per l’accertamento del danno effettivamente subito dall’attrice. Il Dott. P. impugnava la sentenza parziale ritenendo che il Giudice di prime cure avesse errato nel ricostruire la volontà delle parti violando le norme di ermeneutica cui l’interprete deve in ogni caso attenersi e, comunque, venendo meno anche all’osservanza del principio della necessaria corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato.

3. La Corte d’appello, investita dell’impugnazione da parte del Dott. P., respingeva il gravame.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si censura – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione o falsa applicazione di norme di diritto con riferimento agli artt. 112,163 c.p.c.. Il ricorrente lamenta che – confermando la sentenza del giudice di prime cure – la Corte d’Appello abbia accertato la responsabilità precontrattuale (configurandola come avente natura extracontrattuale) nonostante la domanda attorea fosse tesa all’accertamento della responsabilità contrattuale. Invoca l’indirizzo giurisprudenziale di cui a Cass. 14909/2002 secondo cui: “Costituisce questione nuova, come tale inammissibile se prospettata per la prima volta in sede di legittimità, la configurazione in termini di responsabilità extracontrattuale dell’originaria domanda di responsabilità contrattuale, avendo le due azioni “causa petendi” e “petitum” diversi, giacchè entrambe hanno riguardo a diritti cosiddetti “eterodeterminati”, per l’individuazione dei quali è indispensabile il riferimento ai relativi fatti costitutivi, che divergono sensibilmente fra loro ed identificano due diverse entità”.

1.1 Il primo motivo è inammissibile.

1.1. Già in appello l’odierno ricorrente aveva dedotto il vizio di extrapetizione in merito al principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato. In quella sede, la Corte d’Appello aveva ritenuto che il giudice di primo grado non era incorso in una violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 163 c.p.c., non avendo contravvenuto nè al divieto di pronuncia ultra petita, nè alle preclusioni di cui all’art. 163 c.p.c., che impongono all’attore la specificazione di petitum e causa petendi. Il primo giudice – secondo la Corte d’appello – aveva correttamente provveduto in ordine all’inquadramento sistematico della fattispecie e affermato, con ampia ed esaustiva motivazione, la natura precontrattuale dell’accordo in esame, che dà ingresso a una responsabilità extracontrattuale.

1.2 La qualificazione della domanda spetta al giudice di merito, secondo giurisprudenza costante di questa Corte (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 30607 del 27/11/2018; Sez. L, Sentenza n. 12943 del 24/7/2012), seppure con taluni limiti che – nel caso concreto – non sono stati travalicati. L’applicazione del principio “iura novit curia”, di cui all’art. 113 c.p.c., comma 1, importa la possibilità per il giudice di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti ed ai rapporti dedotti in lite, nonchè all’azione esercitata in causa, ricercando le norme giuridiche applicabili alla concreta fattispecie sottoposta al suo esame, potendo porre a fondamento della sua decisione principi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti. Tale principio, se posto in immediata correlazione con il divieto di ultra o extra-petizione, di cui all’art. 112 c.p.c., in applicazione del quale è invece precluso al giudice pronunziare oltre i limiti della domanda e delle eccezioni proposte dalle parti (mutando i fatti costitutivi o quelli estintivi della pretesa, ovvero decidendo su questioni che non hanno formato oggetto del giudizio e non sono rilevabili d’ufficio, attribuendo un bene non richiesto o diverso da quello domandato), fa salva la possibilità per il giudice di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti, ai rapporti dedotti in lite e all’azione esercitata in causa. Tuttavia, il coordinamento con il divieto il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c., vieta al giudice – nella qualificazione della domanda – di procedere ad un mutamento della stessa, sostituendo la “causa petendi” dedotta in giudizio, con una differente, basata su fatti diversi da quelli allegati dalle parti.

1.3 Nel caso concreto non si riscontra un vizio di tal genere: i fatti necessari per il perfezionamento della fattispecie in tema di “responsabilità precontrattuale” ex art. 1337 c.c., ritenuto applicabile nonostante la puntuazione scritta in atti prodotta, coincidono con quelli allegati e provati dalla parte attrice in relazione alla “responsabilità contrattuale” originariamente dedotta dalla parte attrice, poi diversamente qualificata dal giudice di primo grado, in adesione a un indirizzo giurisprudenziale prevalente. La Corte d’Appello, dunque, ha correttamente ritenuto che il primo Giudice – a prescindere dalla qualificazione giuridica della dedotta responsabilità, qui non in contestazione – abbia provveduto a qualificare la domanda nell’esercizio del proprio potere discrezionale, sulla base degli stessi fatti costitutivi e delle stesse ragioni allegate e dedotte a fondamento della domanda.

1.4 In più, la resistente ha eccepito che nella memoria istruttoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1, aveva chiesto il risarcimento dei danni cagionati dalla colpevole condotta del convenuto – a titolo di responsabilità contrattuale o precontrattuale ex art. 1337 c.c., a seconda della fattispecie giuridica in cui si voglia inquadrare il caso di specie, all’esito ed alla stregua delle risultanze istruttorie. Pertanto, vi sarebbe stata, al limite, una forma di emendatio libelli, in quanto l’originaria domanda è stata semplicemente oggetto di precisazione. Ed invero, nel 2015 (Cass. Sez. U., Sentenza n. 12310 del 15/6/2015), questa Corte ha sottolineato che se non muta la sostanza del petitum e della causa petendi non potrà parlarsi di mutatio libelli, ma di semplice emendatio libelli, come tale ammissibile.

1.5 In conclusione, quindi, nel caso specifico, non è ravvisabile una variazione del petitum, non risultando mutato il “bene della vita” per il solo fatto che l’azione è stata riqualificata nell’ambito della azione extracontrattuale, anzichè contrattuale, al fine di valutare la lesione dell’affidamento ingenerato nell’attrice da parte convenuta; inoltre, è restata ferma anche la causa petendi, perchè i fatti costitutivi su cui si basa la domanda attorea – a prescindere dalla natura attribuibile alla responsabilità precontrattuale – sono i medesimi. In merito agli elementi costitutivi delle due forme di responsabilità – contrattuale o extracontrattuale – si veda il successivo punto n. 3, relativo al terzo motivo.

2. Con il secondo motivo si denuncia – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione o falsa applicazione di norme di diritto con riferimento agli artt. 1362 c.c. e segg., con conseguente falsa applicazione dell’art. 1337 c.c., nell’interpretare le puntuazioni in atti. Il ricorrente deduce che la Corte d’Appello, nella lettura del documento “proposta G.”, sarebbe incorsa in una violazione delle regole dell’ermeneutica di cui agli artt. 1362 c.c. e segg., che si sarebbe tradotta in una falsa applicazione dell’art. 1337 c.c., atteso che la condotta illecita descritta da quella norma è stata fatta dipendere dalla interpretazione di quel documento. Nella specie, la Corte si sarebbe limitata ad una interpretazione letterale del documento e non avrebbe proceduto alla ricostruzione della comune intenzione delle parti.

2.1 Il motivo è inammissibile in quanto palesemente infondato, venendo a incidere su valutazioni di merito correttamente eseguite dal giudice di merito indagando il comportamento tenuto dalle parti, più che il testo delle puntuazioni intervenute in sede di trattative. La censura fa anzitutto riferimento alla violazione dell’art. 1362 c.c., in tema di interpretazione del contratto, secondo il quale la comune intenzione delle parti deve essere valutata sulla base del complessivo comportamento tenuto dalle parti, anche dopo la conclusione del contratto. Ed invero, secondo un consolidato orientamento di questa Corte (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 20294 del 26/7/2019; Sez. 1, Sentenza n. 16181 del 28/6/2017; Sez. L, Sentenza n. 10434 del 8/5/2006), l’interpretazione del contratto, o comunque di una scrittura privata, è attività riservata al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità solo per violazione dei canoni ermeneutici o per vizio di motivazione.

2.2 Tale indagine, tuttavia, non risulta essere stata effettuata in violazione dei canoni ermeneutici, soprattutto in riferimento al dato, incontestabile, che in tale caso non si tratta di dovere interpretare un contratto, bensì una dichiarazione di intenti che le parti hanno sottoscritto e si sono scambiate nel corso delle trattative precontrattuali, ove rileva l’esame del comportamento tenuto dalle parti, al di là delle “puntuazioni” formalmente indicate per iscritto, che non hanno valore contrattuale, ma sono certamente utili per valutare il comportamento tenuto dalle parti in relazione al “programma” di conduzione delle trattative che è stato concordato. Infatti, nel caso in esame non è stata ravvisata la stipulazione di un preliminare del preliminare (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4628 del 06/03/2015), che darebbe luogo a un vincolo contrattuale, bensì una “puntuazione scritta” del programma di trattativa, ove il nodo da sciogliere era relativo alla presenza di una pratica di condono edilizio in corso. A tal proposito, dunque, il giudice del merito ha correttamente messo in secondo piano il riferimento al dato testuale dell'”impedimento di carattere tecnico”, rinvenibile nella scrittura, scrutinando piuttosto i comportamenti tenuti dalle parti prima della fase precontrattuale vera e propria, durante le trattative e successivamente alla loro rottura, ove è emerso che, nonostante il notaio non avesse ravvisato nel condono in corso alcun ostacolo per il passaggio di proprietà dell’immobile, il convenuto aveva poi venduto a terzi l’immobile nella stessa condizione di irregolarità posta a giustificazione del suo recesso, da ciò desumendo un comportamento non conforme a buona fede nei confronti dell’attrice che, in proposito, era stata compiutamente informata del carattere non pregiudizievole di tale impedimento.

3 Con il terzo ed ultimo motivo il ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – di norme di diritto con riferimento all’art. 2697 c.c.. Con tale motivo di gravame il ricorrente, sul presupposto che la responsabilità precontrattuale derivante dalla violazione della regola di condotta posta dall’art. 1337 c.c., costituisca una forma di responsabilità extracontrattuale, lamenta che la resistente, nel corso del giudizio, non avrebbe chiesto di provare, nè avrebbe fornito la prova, che le questioni di carattere tecnico risultanti dalla relazione del 20.12.2005 del geometra incaricato fossero irrilevanti rispetto all’obbligo che il venditore avrebbe dovuto assumere entro il 31.12.2005 di garantire la perfetta regolarità dell’immobile, in relazione alla pratica di condono edilizio in corso.

3.1 Il motivo è inammissibile.

3.2 Il motivo non si dimostra idoneo a colpire la ratio decidendi, posto che, in proposito, la Corte di merito ha considerato che l’attrice ha compiutamente allegato e fornito la prova, testimoniale e documentale, del comportamento contrario a buona fede del promittente venditore e del suo recesso ingiustificato dalle trattative. La Corte di merito ha rilevato che l’attrice non si è solo limitata ad allegare e provare i fatti costitutivi della responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c., ma – in virtù dell’inquadramento in termini di responsabilità extracontrattuale operato dal giudice del merito in conformità a un consolidato orientamento giurisprudenziale (v. da ultimo Cass. 2, sentenza n. 24738 del 3/10/2919; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 14188 del 12/07/2016; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 16735 del 29/07/2011) – ha dimostrato anche la “colpa”, ossia il comportamento contrario alla regola di condotta secondo buona fede tenuto dal convenuto, odierno ricorrente. Nella motivazione impugnata si dà quindi sufficientemente conto che dall’istruttoria svolta è emerso che l’impedimento tecnico” addotto dal futuro venditore a motivo del suo recesso dalla trattativa non fosse nei fatti ostativo – come dichiarato dal notaio sentito come teste – della futura stipula. Così, una volta dimostrata l’assenza di giusta causa nel recesso dalla trattativa, il comportamento di parte convenuta non poteva che inquadrarsi in un mero abuso di libertà negoziale, in quanto tale contrario a buona fede.

4. Conclusivamente il ricorso è inammissibile, con ogni conseguenza in ordine alle spese, che si liquidano in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, a favore della parte resistente.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, liquidate in Euro 7.800,00, oltre Euro 200,00 per spese, spese forfettarie al 15% e oneri di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

“Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dal solo presidente del collegio per impedimento dell’tensore, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, art. 1, comma 1, lett. a)”.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 2 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2020

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