Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12106 del 22/06/2020

Cassazione civile sez. III, 22/06/2020, (ud. 08/11/2019, dep. 22/06/2020), n.12106

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18143/2017 proposto da:

C.B., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA E. MOROSINI

16-A, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI GUERRA, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

FINTECNA FINANZIARIA SETTORI INDUSTRIALI E SERVIZI SPA, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 288, presso lo studio dell’avvocato

BENEDETTO GIOVANNI CARBONE, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

MINISTERO ECONOMIA FINANZE, (OMISSIS), AGENZIA DEL DEMANIO,

AMMINISTRAZIONE AUTONOMA MONOPOLI STATO;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2075/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 29/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

08/11/2019 dal Consigliere Dott. ANNA MOSCARINI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

C.B., conduttrice di un appartamento sito in (OMISSIS), di proprietà dei Monopoli di Stato di cui era dipendente, assumendo di essere titolare di un diritto di opzione-prelazione sull’acquisto del bene, inserito con decreto del Ministero delle Finanze del 10/12/2003 tra quelli alienabili, nell’ambito del programma di dismissione del patrimonio pubblico disciplinato dalla L. n. 123 del 1987, art. 19, agì davanti al Tribunale di Roma per sentir dichiarare illegittima la vendita del bene alla società Fintecna, posta in essere dai Monopoli di Stato in asserita violazione del proprio diritto di prelazione, e in conseguenza disporre il trasferimento del bene in suo favore e condannare al risarcimento del danno cagionato dall’Amministrazione con il suddetto illecito comportamento. Costituitosi il contraddittorio con il Ministero dell’Economia, l’Agenzia del Demanio e l’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato e con la società Fintecna, il Tribunale di Roma con sentenza del 1/12/2008 n. 23699 rigettò la domanda, ritenendo che la lettura sistematica delle norme disciplinanti la fattispecie inducesse ad escludere la configurabilità del beneficio invocato dall’attrice, sicchè la vendita a Fintecna andava considerata legittima.

Avverso tale sentenza fu proposto appello principale da C.B. e incidentale dal Ministero dell’Economia, dall’Agenzia del Demanio, dall’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato. La Corte d’Appello di Roma, con sentenza n. 2075 del 29/3/2017, premesso che la giurisdizione era del giudice ordinario, trattandosi di beni non strumentali all’attività istituzionale dell’Amministrazione, ma destinati alla vendita e dunque alla dismissione iure privatorum, ha escluso che la L. n. 123 del 1987, avesse inteso attribuire a coloro che avessero proposto istanza a norma dell’art. 19, comma 3, un diritto soggettivo di natura potestativa all’acquisto dell’immobile qualificabile quale diritto di opzione. E ciò sia in ragione di un argomento letterale – desunto dall’espressione contenuta nell’art. 19, comma 1, per cui l’Amministrazione autonoma “è autorizzata a vendere”: espressione reputata indicativa non dell’imposizione di un obbligo ma del conferimento di un potere o di una facoltà, a fronte del quale non poteva che configurarsi una mera aspettativa all’acquisto del privato conduttore e non certo un diritto in assenza di uno specifico rapporto obbligatorio mai venuto in essere tra le parti – sia in ragione di un precedente arresto di questa Suprema Corte (Cass.,(1, 27/11/1999 n. 13257) relativo ad una vicenda simile a quella oggetto del giudizio (peraltro afferente ad un immobile sito nella stessa (OMISSIS)), che aveva escluso la sussistenza di un diritto soggettivo a conseguire la titolarità di alloggi già detenuti in locazione da parte di dipendenti dell’Amministrazione dei Monopoli di Stato e da questa posti in vendita, in assenza di uno specifico e dedicato rapporto obbligatorio.

Avverso la sentenza, che ha rigettato tutti i gravami, C.B. propone ricorso per cassazione, affidandosi a tre motivi, illustrati anche da memoria. Resiste Fintecna con controricorso, pure illustrato anche da memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, articolato in più censure, la ricorrente denuncia dapprima la violazione e falsa applicazione della L. n. 123 del 1987, art. 19,D.L. n. 269 del 2003, art. 41 bis, comma 6, convertito in L. n. 326 del 2003, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 con riguardo al capo di sentenza che nega l’insorgenza di un rapporto obbligatorio a seguito della manifestata e concretizzata volontà di alienazione del bene. In secondo luogo censura la violazione e falsa applicazione del principio generale della tutela del diritto soggettivo in riferimento agli artt. 24 e 113 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con riguardo al capo di sentenza che nega la trasformazione della posizione giuridica soggettiva della C., da interesse legittimo a diritto soggettivo, coincidente con il momento in cui l’Amministrazione ha assunto la determinazione di alienare il bene a privati.

2. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 97 Cost. e della L. n. 241 del 1990, art. 1, come disciplinanti l’azione della pubblica amministrazione, con particolare riguardo al principio di buona fede ed imparzialità, violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nella parte in cui il Giudice non ha dichiarato illegittima la vendita del bene alla società Fintecna posta in essere dai Monopoli di Stato, in asserita violazione del proprio diritto di prelazione.

3. Con il terzo motivo la C. censura la sentenza per non aver pronunciato sulla propria domanda di risarcimento dei danni.

1-2-3 Con i tre motivi la C. insiste nella tesi, già diffusamente argomentata nei gradi di merito, che dalla L. n. 123 del 1987, art. 19, come successivamente interpretata dalla L. n. 326 del 2003, deriverebbe un diritto di opzione a favore del privato nel momento in cui l’Amministrazione decida di vendere un bene immobile condotto in locazione dal privato medesimo. In sostanza la discrezionalità dell’Amministrazione, pienamente integra in relazione alla decisione di vendere o no, rispetto alla quale il privato sarebbe titolare di una mera aspettativa o al più di un interesse legittimo, verrebbe meno, trasformando la posizione del privato in diritto soggettivo pieno, qualora l’Amministrazione decida di vendere.

L’Amministrazione, pena la perdita di senso del “diritto di opzione” configurato dal legislatore in favore del privato conduttore dell’immobile, diventerebbe allora obbligata a vendere al privato stesso che abbia esercitato il diritto di opzione, e non potrebbe più disporre, come avrebbe invece fatto nel caso in esame, una vendita a soggetti terzi. Questa interpretazione, oltre che dalla lettera della legge, sarebbe sostenuta dai principi di imparzialità e buona fede che devono guidare l’Amministrazione anche nell’ambito delle trattative nell’attività svolta iure privatorum. Il ricorso illustra diffusamente l’operatività dei principi di trasparenza, pubblicità, necessaria conformità al diritto comunitario, e si sofferma in particolare sul dovere di buona fede contrattuale nell’attività privatistica della Pubblica Amministrazione in riferimento alla pretesa violazione, da parte dell’Agenzia del Demanio, del legittimo affidamento maturato nel privato al rispetto del suo diritto di opzione, coincidente in sostanza con la comunicazione dell’Amministrazione di vendere e con la comunicazione alla parte di un sopralluogo UTE per la stima dell’alloggio. Lamenta, infine che la sentenza abbia omesso di pronunciarsi sulla richiesta di risarcimento dei danni morali e/o esistenziali.

4. Il ricorso è infondato in quanto la ricostruzione, pur suggestiva, da esso proposta non è supportata nè dalla lettera della legge nè dalla giurisprudenza di questa Corte. Quanto alla lettera della legge è del tutto evidente che il legislatore non ha inteso vincolare l’Amministrazione alla dismissione dei beni appartenenti al patrimonio disponibile, non strumentali al perseguimento dell’interesse pubblico, ma ha salvaguardato la discrezionalità della medesima ponendola nella condizione di valutare se ed a chi vendere, sulla base della ponderazione degli interessi coinvolti.

La sentenza impugnata è poi in linea con la giurisprudenza di questa Corte – cui questo collegio, condividendola, intende dare continuità la quale è univoca nel sancire questa interpretazione della L. n. 123 del 1987, art. 19, ritenendo espressamente che, dalla suddetta norma non derivi un diritto soggettivo dei privati conduttori ad acquistare ma la piena discrezionalità dell’amministrazione nel valutare, sulla base dei criteri generali di buona amministrazione e del perseguimento dei fini istituzionali pubblici, se vendere e a chi vendere (Cass., Sez. 1, 13257 del 27/11/1999; Cass. Sez. 12, n. 24382 del 1/12/2010; Cass., Sez. 3 n. 25814 del 31/10/2017). Questa giurisprudenza conferma quanto osserva l’impugnata sentenza e cioè che l’espressione contenuta nella legge e riferita all’amministrazione “è autorizzata” è chiaramente indicativa non dell’imposizione di un obbligo ma del conferimento di un potere, e che ad essa fa coerente riscontro la definizione della richiesta dei privati come “istanza di acquisto”, già di per sè escludente la configurabilità nella stessa legge di un’offerta irrevocabile dell’Amministrazione.

La citata giurisprudenza vede, pertanto, nel menzionato art. 19, solo l’identificazione di una categoria di possibili acquirenti degli alloggi in relazione alla quale la vendita sarebbe corrispondente all’interesse pubblico, non escludendo peraltro che, nell’ambito dell’esercizio della valutazione discrezionale dell’interesse pubblico, l’alienazione possa essere effettuata a soggetti non appartenenti a tale categoria.

5. Conclusivamente il primo motivo di ricorso va rigettato ed il secondo ed il terzo vanno assorbiti. In ragione della peculiarità della questione e del fumus boni iuris sotteso alla posizione giuridica soggettiva del privato, le spese del giudizio di cassazione devono essere compensate. Si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento del cd. raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso, assorbiti il secondo e il terzo, compensando le spese. Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 8 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2020

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